35
Domenica, ore 02.17
Rachel non avrebbe potuto fare una scelta migliore di Mike e Helen Dunleavy. Da genitori terrorizzati e inconcludenti, nel giro di poche ore quei due si tramutano in macchine da guerra.
Scelgono un ragazzino di East Providence chiamato Henry Hogg. È su una sedia a rotelle, e suo padre è vicepresidente di una compagnia petrolifera, così potrà pagare centocinquantamila dollari senza battere ciglio. Sabato sera il padre è a Boston a una cena del Rotary Club. La matrigna di Henry lo va a prendere da un amico a tre isolati da casa. Ma a casa non torna.
Kylie è all’oscuro di tutto questo, ma, qualche ora dopo la mezzanotte, la porta del seminterrato si apre e la donna, Heather, le dice di alzarsi.
Rachel viene informata di tutto questo alle 02.17.
È rannicchiata sul divano, in uno stato di dormiveglia. È conciata da buttare via. Non ha mangiato nulla e non si è fatta la doccia. Non riesce a chiudere gli occhi per più di qualche minuto.
Ha la testa che pulsa e il seno sinistro che le fa male.
Accanto a lei l’I Ching, aperto alla pagina dell’esagramma 40. Hie - La liberazione. Il suo sguardo indugia sulla frase «Nel campo si abbattono tre volpi e si riceve una freccia gialla». La freccia indica che Kylie è salva?
La suoneria la riscuote dal torpore. Afferra il cellulare come se fosse un salvagente.
Utente sconosciuto.
«Pronto?»
«Rachel, ho da darti una buona notizia», dice la donna che ha rapito Kylie.
«Sì?»
«Tra poco Kylie verrà liberata. Le verrà dato un cellulare usa e getta e ti chiamerà.»
Rachel scoppia a piangere. «Oh, Dio. Sul serio?»
«Sì. Sta bene e non le è stato fatto niente. Ma devi ricordare che tu e lei siete ancora in grave pericolo. Devi tenere prigioniera la tua vittima finché te lo dirà la Catena. Se trasgredisci gli ordini, vi uccideranno. Ricordati la famiglia Williams. Potranno ordinarmi di uccidere te e Kylie, e io lo farò, per proteggere mio figlio. Se mi rifiuto, ordineranno a quelli dell’anello precedente della Catena di uccidere me e voi. Non scherzano. Sono spietati.»
«Lo so», ribatte Rachel.
«Quando mio figlio è tornato a casa, ho avuto la tentazione di liberare Kylie. Per chiudere questa storia. Ma sapevo che, se l’avessi fatto, avrei messo in pericolo tutti noi.»
«Prometto di non fare nulla che possa mettervi in pericolo. Dov’è la mia Kylie?»
«La benderemo, faremo qualche giro e la lasceremo vicino a un’area di sosta. Le daremo un cellulare, così potrà dirti dove si trova.»
«Grazie.»
«Grazie a te, Rachel, per non avere complicato le cose. Siamo state sfortunate, ma il peggio è passato. Anche se la tua parte non è ancora finita. Attenta che la gente con cui sei in contatto non faccia cazzate. Ti saluto, Rachel.»
E Rachel non sente più niente dall’altra parte.
Chiama Pete e lo aggiorna. Lui è al settimo cielo. «Non posso crederci. Spero sia vero.»
«Lo spero tanto. Sto pregando.»
«Anch’io.»
«Come sta Amelia?»
«Sta dormendo nella tenda.»
«Meglio che lasci libera la linea.»
«Fammi sapere, qualunque cosa.»
Passa un’ora.
Un’ora e quindici minuti.
Un’ora e venti minuti.
Un’ora e venticinque minuti.
Rachel comincia a temere il peggio quando arriva una chiamata. Utente sconosciuto.
«Pronto?»
«Mamma!» dice Kylie.
«Dove sei?»
«Mi hanno detto di aspettare un minuto prima di togliermi la benda. Adesso se ne sono andati e sono su una strada in mezzo al nulla. È buio.»
«Cosa vedi?»
«Qui in fondo sembra che ci sia una strada più grande.»
«Dirigiti da quella parte. Oh, Kylie, ti hanno davvero liberata?»
«Sì, mamma. Vieni a prendermi.»
«Appena capisco dove sei, corro a prenderti.»
«Mi sembra di vedere l’insegna di un Dunkin’ Donuts. Sì, è il Dunkin’ Donuts di una stazione di servizio!»
«È aperto?»
«Mi sembra di sì.»
«Entra e chiedi dove si trova. Resta in linea, sta’ attenta quando attraversi la strada e non smettere di parlare.»
«Devo chiudere, non l’hanno messo in carica e ho solo una tacca. Ti chiamo quando sono dentro.»
«No, Kylie, per favore, resta in linea!»
Rachel non sente più nulla.
Dopo cinque minuti di silenzio il cellulare suona di nuovo.
«Tutto okay, mamma. Sono sulla Route 101, nel Dunkin’ Donuts di una stazione Sunoco.»
«Di che città?»
«Non lo so, mamma, non voglio chiedere altro. È strano arrivare a quest’ora della notte e non sapere dove sei.»
«Gesù, Kylie, chiediglielo e basta.»
«Mamma, cerca tu su Google. Sono nel New Hampshire, sulla 101, subito dopo l’incrocio con la I-95.»
Rachel cerca su Google. «È la Sunoco vicino a Exeter?»
«Sì. C’è un cartello che dice Exeter.»
«Sono lì tra venti minuti. Ce la fai ad aspettarmi?»
«Okay, mamma.»
«Fatti dare un bicchiere d’acqua, se non hai soldi.»
«No. Mi hanno dato dei soldi. Prendo un doughnut e una Coca. Gli ho chiesto il mio cellulare ma mi hanno detto che non l’avevano.»
«L’abbiamo trovato noi», dice Rachel correndo a prendere la macchina.
«Puoi portarmelo?»
«Dopo. Adesso sono in macchina.»
«Cos’hai detto a Stuart?» chiede Kylie.
«Che eri malata. E a tuo padre ho detto che eri a New York. Dio mio, Kylie, non sto sognando?»
«Sono io, mamma. Ho fame. Vado a prendere un doughnut. Anzi due. Adesso chiudo.»
«Resta lì! Sono da te tra cinque minuti!» dice Rachel, ma Kylie se n’è già andata.
In pochi minuti è sulla I-95. Rachel tira la Volvo fino a centotrenta all’ora. Più veloce di così non può andare.
Google Maps la porta allo svincolo per la 101, e si trova davanti alla stazione Sunoco.
Kylie è seduta da sola alla vetrina del Dunkin’ Donuts. I capelli castani, la faccia lentigginosa, il cerchietto argento. È proprio lei.
È così piccola e fragile, sotto quelle luci impietose.
«Kylie!» urla Rachel. Parcheggia la Volvo alla bell’e meglio, apre la porta, corre dentro.
Si abbracciano e scoppiano a piangere.
È vero.
La sua piccola è tornata.
Non c’è segno di frecce gialle, ma Kylie è di nuovo con lei.
Dio, ti ringrazio. Dio, ti ringrazio. Dio, ti ringrazio.
«Oh, mamma, pensavo che non ti avrei più visto», dice Kylie.
Rachel è incredula. Teme che il mondo sia troppo piccolo per contenere il suo sollievo e la sua gioia. «Sapevo che saresti tornata», le dice stringendola ancora più forte. Annusa l’odore della sua bambina. Che trema e ha freddo. Che deve avere fame ed essere tanto spaventata.
Altre lacrime.
Lacrime liberatorie e di gioia.
Una gioia incontrollabile, mai provata prima.
«Hai fame?» le chiede Rachel.
«No. Ho preso un doughnut e quando ero laggiù mi hanno dato da mangiare.»
«Cosa?»
«Roba normale. Cereali. Biscotti.»
«Dai, ti porto a casa. C’è zio Pete.»
«Zio Pete?»
«Sì. Mi ha dato una mano.»
«Non l’hai detto a papà?»
«No.»
«Per via di Tammy?»
Rachel annuisce.
«Mi hanno detto di non dire niente a nessuno, sennò siamo tutti in pericolo.»
«È quello che hanno detto anche a me. Vieni, ti porto a casa.»
«Devo andare in bagno», dice Kylie.
«Vengo con te.»
«No, mamma. Non c’è più niente di cui preoccuparsi.»
«Non posso perderti di vista.»
«Mamma, ci metto un minuto.»
Rachel la accompagna e rimane fuori dalla porta. È una toilette unica, per uomini e donne, ed è impossibile che dentro ci sia qualcuno che possa prendere Kylie e scappare da una finestra. Ma a Rachel quei pochi secondi in cui non può vedere sua figlia sembrano interminabili.
Mentre aspetta, la donna di mezza età alla cassa intercetta il suo sguardo.
«È sua figlia?» chiede a Rachel.
«Sì.»
«Stavo per chiamare la polizia. Pensavo fosse scappata da casa.»
Rachel sorride e manda un messaggio a Pete per dire che Kylie è salva.
«Passati gli undici, dodici anni bisogna cominciare a tenerle d’occhio», dice la cassiera. «È una brutta età. Lasci che glielo dica io, che di figlie ne ho avute quattro.»
«Io ho solo questa, ed è tutta la mia vita», ribatte Rachel.
La cassiera annuisce. «La tenga sempre d’occhio.»
«Può dirlo forte.»
Kylie esce dal bagno e Rachel la abbraccia. Escono dal Dunkin’ Donuts mano nella mano.
«Appena arriviamo a casa mi faccio una doccia calda che non finisce più», dice Kylie salendo in macchina.
«Tutto quello che vuoi.»
«Mi sento sporca.»
«Tutto a posto? Ti hanno toccata? Ti hanno fatto male?»
«No... cioè, sì. Lui, ieri. Che giorno è adesso?»
«Domenica mattina, credo.»
«Ho cercato di scappare e mi ha dato un ceffone», dice Kylie in modo neutro.
«Ti ha fatto male?» le chiede Rachel.
«Sì. La cosa buffa è che il cattivo non era lui, ma la moglie. Era spaventosa.»
Kylie ricomincia a piangere e Rachel la abbraccia.
«Torniamo a casa», dice Kylie alla fine. «Non vedo l’ora di vedere il mio gatto e zio Pete», aggiunge.
Rachel parte e si dirige a sud.
«C’è un’altra cosa, mamma.»
«Cosa?» chiede Rachel, aspettandosi il peggio.
«Non ne sono sicura, ma credo che abbiano ucciso un poliziotto. Ci aveva fermato una pattuglia e penso che gli abbiano sparato.»
Rachel annuisce. «Alla radio parlavano di un agente del New Hampshire che è stato... giovedì mattina.»
«È morto?»
«Non so di preciso», mente Rachel.
«Dobbiamo andare dalla polizia», dice Kylie.
«No! È troppo pericoloso. Ci uccideranno tutti. Tu, io, Pete, tuo padre. Non possiamo dire né fare nulla, Kylie.»
«Allora cosa facciamo?»
«Niente. Ce ne stiamo buoni e cerchiamo di dimenticare.»
«Impossibile!»
«Dobbiamo, Kylie. Mi spiace, ma non c’è altro modo.»
Quando arrivano a Plum Island, dieci minuti dopo, Pete le sta aspettando. Appena Kylie esce dalla macchina, lui la abbraccia, la solleva e la fa roteare in aria.
«Tesoro! Sei salva!»
Una volta in casa, Eli salta sul divano accanto a Kylie, che lo riempie di baci.
«Allora?» Rachel sussurra a Pete.
«Dorme. Alle cinque torno là. Volevo solo vedervi», risponde Pete.
«Zio Pete!» fa Kylie, reclamando un altro abbraccio.
È seduta tra Pete e Rachel, con Eli in grembo. È un miracolo, non c’è altra parola, pensa Rachel. A volte i ragazzi scomparsi tornano, ma a volte no, specialmente le femmine.
«Sai tutto quello che è successo?» chiede Kylie allo zio.
«Sì, sono venuto ad aiutare tua madre.»
«Abbracciamoci», dice Kylie ricominciando a piangere.
Pete cinge entrambe con le braccia.
«Non ci posso credere», dice Kylie. «Pensavo che sarei rimasta laggiù per un milione di anni.»
Rimangono così per un paio di minuti finché Kylie li guarda con aria sbarazzina. «Ho fame», annuncia.
«Tutto quello che vuoi», le dice Rachel.
«Pizza.»
«Vado a metterne una nel microonde.»
Fa per alzarsi, ma Kylie non la molla.
«Stai bene, Kylie?» chiede Pete. «Ti hanno fatto del male?»
«L’uomo mi ha dato un ceffone dopo che l’avevo colpito in testa per cercare di scappare.»
«Chissà che paura avevi», dice Rachel, mentre Pete stringe i pugni.
Kylie inizia a raccontare tutto quello che è successo. Pete e Rachel ascoltano. Se ha bisogno di buttare tutto fuori, non la interromperanno. Kylie non è una che si tiene tutto dentro, e Rachel gliene è grata. Le accarezza i capelli e sorride per il suo coraggio.
Quando Pete va a controllare Amelia, Rachel riscalda la pizza.
Kylie va in camera sua.
«Mamma, posso messaggiare con Stuart e i miei amici?»
«Sì, ma gli devi dire che hai avuto un virus intestinale.»
«Okay. E a papà, cosa dico?»
«Accidenti, è complicato. Devi dirgli che sei andata a New York», risponde Rachel, che poi le spiega la triangolazione tra suo padre, Tammy e sua nonna.
«E il mio cellulare dov’è?»
Rachel glielo dà. «Non ho potuto scrivere dei finti messaggi perché non conoscevo il pin.»
«Semplicissimo! Uno-due-nove-quattro.»
«E cos’è?»
«La data di nascita di Harry Styles. Oh, mio Dio. Ho un milione di messaggi.»
«Ricordati di dire che eri malata.»
«Me l’hai già detto. Ma lunedì voglio andare a scuola. Che giorno è domani?»
«Lunedì.»
«Voglio andare a scuola.»
«Non penso che sia una buona idea. Voglio che ti veda un dottore.»
«Ma sto bene! Voglio andare a scuola. Voglio rivedere i miei amici.»
«Sicura?»
«Non voglio restare di nuovo chiusa in una casa.»
«Intanto basta scuolabus. Non so che cosa mi sia passato per la testa.»
«Ehi, dov’è Marshmallow?» chiede Kylie.
«Te lo riporto domani.»
«Non l’hai perso?»
«Tranquilla.»
Kylie manda messaggi ai suoi amici, che probabilmente stanno dormendo. Poi, a letto, guardano su YouTube i loro video preferiti: Take on Me degli A-ha, la danza dei pesci schiaffeggianti dei Monty Python, cinque o sei clip dei Brockhampton, la sequenza di La guerra lampo dei fratelli Marx con Groucho allo specchio.
Kylie si fa la doccia e chiede di restare un po’ sola. Mezz’ora dopo Rachel va a controllare e vede che si è addormentata. A quel punto crolla su una poltrona e scoppia a piangere.
Pete torna alle sei di mattina e mette un paio di ceppi nel caminetto. «Tutto bene?» gli chiede Rachel.
«Sta ancora dormendo», le risponde lui.
Pete fa una tazza di caffè e siedono vicino al fuoco.
Tutto sembra tornato alla normalità. I pescherecci prendono il largo. Leonard Bernstein sulla WCRB. Il Boston Globe viene consegnato incellofanato sullo zerbino.
«Non riesco a credere che sia a casa», dice Rachel. «Ci sono stati momenti in cui ho pensato di averla persa per sempre.»
Guardano i ceppi diventare lentamente cenere. Poi suona il cellulare di Rachel. Utente sconosciuto. Mette il viva voce.
È la voce distorta. La voce della Catena. «So quello che pensi. È quello che pensano tutti, quando i loro cari tornano a casa. Pensi che puoi liberare i tuoi ostaggi e scrivere la parola fine. Ma non puoi infrangere la tradizione. Sai cos’è una tradizione, Rachel?»
«Non capisco.»
«Una tradizione è una prova vivente. La prova vivente di qualcosa iniziata molto tempo fa. Ed è così anche per la nostra tradizione. Se sfidi la Catena, pagherai tu e la tua famiglia. Cambia pure paese, va’ in Giappone, in Arabia Saudita o dove vuoi. Cambia nome e identità. Sta’ tranquilla che ti troveremo, sempre.»
«Ho capito.»
«Davvero? Spero di sì. Perché non è finita. Non sarà finita finché quelli che hai scelto faranno quello che devono senza sgarrare, e quelli che sceglieranno loro non faranno lo stesso. Da qualche anno fila tutto liscio, ma può sempre capitare. C’è gente che pensa di poter abbattere il sistema. Ma non può. Non può nessuno, a partire da te.»
«Mi hanno detto della famiglia Williams.»
«Ce ne sono stati altri. E non ci è riuscito nessuno.»
«Farò come mi avete detto.»
«Sarà meglio per te. Stamattina abbiamo fatto un bonifico di diecimila dollari sul tuo conto corrente. Il dieci per cento del riscatto dei Dunleavy, direttamente dal conto Bitcoin dove li hanno versati. Un po’ difficile da spiegare ai federali. Anche se dovessi scampare ai nostri killer, cosa che non è mai successa, passeremmo tutte le informazioni alla polizia e finiresti in prigione come il genio criminale alle spalle di una sofisticata catena di rapimenti. Capisci?»
«Capisco.»
«Sapevo che eri intelligente. Dato che probabilmente non ci parleremo più, ti saluto, Rachel. È stato un piacere fare affari con te.»
«Non posso dire lo stesso.»
«Sarebbe potuta andare peggio. Molto peggio.»
Finita la telefonata, Rachel rabbrividisce e Pete la abbraccia. Quanto è pallida e fragile. Come un uccellino ferito che si mette in una scatola da scarpe e si nutre, sperando che possa tornare a volare, un giorno.