15
Giovedì, ore 13.24
Rimane ferma. Trenta secondi di paura.
Nessun cane si avventa su di lei. Non suonano allarmi. Non grida nessuno.
Non è solo fortuna. Ha saputo scegliere bene.
La casa è disabitata e sa di chiuso. Un sottile strato di polvere ricopre i mobili della cucina. Nessuno viene qui da almeno tre mesi. Chiusa la porta della cucina, Rachel esplora il resto della casa.
Non le interessano i tre piani, ma il seminterrato con il pavimento di cemento. Contiene solo lavatrice, asciugatrice e boiler. La casa poggia su una serie di pilastri di cemento a cui – pensa disgustata di se stessa – potrebbe incatenare qualcuno. Valuta la finestrella sopra l’asciugatrice. Andrà al negozio di bricolage in città a farsi tagliare un’asse di quelle dimensioni.
Rachel è percorsa da un brivido che è sia di compiacimento sia di repulsione. Come fa a pensare con tanta disinvoltura a una cosa del genere? È un effetto dello shock?
Sì.
Le torna in mente il periodo della chemio. Il senso di torpore. La sensazione di tuffarsi nell’abisso e di non smettere di cadere.
Risale in cucina, esce dalla porta che ha scassinato, accosta la zanzariera e si assicura che non ci sia nessuno in vista prima di scendere in spiaggia.
Torna a casa tra gli spruzzi delle onde e la pioggerella.
Apre il MacBook sul tavolo del soggiorno e comincia a esaminare le facce dei suoi potenziali target.
La scelta del bersaglio è tutto. Devi selezionare la vittima giusta con la famiglia giusta, una persona in grado di reggere e di non andare dalla polizia, dotata sia dei soldi per pagare il riscatto sia della freddezza per organizzare un rapimento pur di riavere il proprio figlio.
Per l’ennesima volta si chiede perché sia stata scelta. Lei non l’avrebbe fatto. Neanche per idea. Lei avrebbe scelto qualcuno con una situazione molto più solida. Una coppia sposata benestante.
Prende un bloc-notes e stabilisce alcuni criteri per restringere la lunga lista. Nessuno che la conosca o possa magari riconoscere la sua voce. Nessuno di Newburyport, di Newbury o di Plum Island. Ma che non sia neanche troppo lontano. Nessuno nel Vermont, nel Maine o a sud di Boston. Gente che abbia il grano. Gente da cui non aspettarsi sorprese. Niente sbirri, giornalisti o politici.
Fa scorrere nomi e facce e si stupisce un’altra volta di come la gente sia disposta a condividere sul web informazioni estremamente sensibili. Indirizzo, numero di telefono, occupazioni, numero di figli e scuole frequentate da questi ultimi, hobby e attività.
Un ragazzino probabilmente è la soluzione migliore. Il soggetto più arrendevole, il meno incline a lottare e scappare. E il più adatto a toccare le corde del cuore dei suoi genitori. Ma al giorno d’oggi i ragazzini sono sempre tenuti d’occhio. Non sarà così semplice rapire un bambino senza farsi vedere da nessuno.
«Tranne mia figlia. Guarda com’è stato facile rapirla», dice singhiozzando.
Va su Facebook, Instagram e Twitter e comincia a scremare. Alla fine si ritrova con cinque ragazzini. Li mette in ordine di preferenza.
1. Denny Patterson di Rowley, Massachusetts.
2. Toby Dunleavy di Beverly, Massachusetts.
3. Belinda Watson di Cambridge, Massachusetts.
4. Chandra Singh di Cambridge, Massachusetts.
5. Jack Fenton di Gloucester, Massachusetts.
«Non posso credere che sto facendo una cosa del genere», dice a se stessa. Ovviamente non la obbliga nessuno. Può sempre andare dalla polizia o dall’FBI.
Prende tempo per rifletterci. Per pensarci seriamente. Quelli dell’FBI sono professionisti, ma la donna che tiene prigioniera sua figlia non ha paura della legge; ha paura della Catena. La persona che la precede nella Catena ha rapito suo figlio. E se Rachel dà l’impressione di non rispettare le regole, quella donna ha istruzione di uccidere Kylie e di scegliere un altro bersaglio. Una donna che sembra emotivamente instabile. Rachel non dubita che farebbe qualunque cosa pur di riavere suo figlio.
No. Niente FBI. Inoltre, quando farà la stessa telefonata che la donna ha fatto a lei, dovrà sembrare ugualmente determinata e pericolosa.
Rilegge gli appunti che ha preso sui vari bersagli. Il primo della lista sembra quasi perfetto: Denny Patterson. Dodici anni. Abita a Rowley con la madre, Wendy. Una madre single. Ma sembra non avere problemi economici.
Rachel si interroga. Che cosa vogliono, quelli che stanno dietro tutto questo? La cosa più importante è che la Catena continui. Alcuni di quelli coinvolti possono essere più ricchi di altri, ma soprattutto devono essere abbastanza intelligenti e discreti da aggiungere un altro anello e da perpetuare il meccanismo. Ogni anello è prezioso. I bersagli devono poter pagare ma anche essere organizzati, malleabili e con un punto debole. Come lei. Un anello affidabile con poche centinaia di dollari sul conto corrente è meglio di un anello debole milionario.
Kierkegaard dice che alle radici di ogni male ci sono noia e paura. La gente malvagia che sta dietro alla Catena vuole i soldi e teme chi è in grado di far inceppare il meccanismo.
Rachel non sarà quella persona.
Torna a Denny. Sua madre aveva un’azienda, poi comprata dalla AOL. Ama suo figlio e non fa che vantarsene. Sembra una dura ed è improbabile che crolli. Ha quarantacinque anni. Ha corso due volte la maratona di Boston: nel 2013 e l’anno scorso. La seconda volta ci ha messo meno tempo: quattro ore e due minuti.
A Denny piacciono i videogame, Selena Gomez, i film e – molto interessante dal punto di vista di Rachel – va matto per il calcio. Dopo la scuola va agli allenamenti tre volte la settimana e spesso torna a casa a piedi.
A piedi.
Un ragazzo normale, con i capelli ricci. Né allergie né problemi di salute. Non troppo alto, per la sua età. Anzi, leggermente più piccolo della media. Di certo non è il portiere della squadra.
La madre ha una sorella che vive in Arizona. Il padre è fuori dai piedi. Risposato, abita nel South Carolina.
In famiglia non ci sono né poliziotti né politici.
Wendy ha abbracciato la rivoluzione digitale, e usa Instagram e Twitter per far sapere dov’è e cosa fa praticamente ogni minuto. Così se Rachel dovesse spiare Denny durante gli allenamenti saprebbe di sicuro dove diavolo si trova la madre.
Il primo bersaglio sembra fattibile. Adesso passa al secondo: Toby Dunleavy, sempre di dodici anni, di Beverly. Ha una sorella più piccola. La madre posta continuamente su Facebook tutto quello che fanno.
Va sulla pagina Facebook di Helen Dunleavy. Una bionda sui trentacinque anni, di aspetto gradevole. Non sono nevrotica. Ho troppe cose da fare per essere nevrotica, recita la didascalia sotto la foto. Helen vive a Beverly con il marito Mike e con i figli Toby e Amelia. Mike lavora a Boston come consulente per la Standard Chartered Bank. Helen è insegnante part time alle scuole elementari di North Salem.
Amelia ha otto anni, quattro meno di Toby. Rachel esplora la pagina Facebook. Helen lavora due mattine la settimana e pare che passi il resto del tempo ad aggiornare gli amici sulle attività della sua famiglia. A quanto pare Mike è molto preso dal lavoro e spesso torna a casa la sera tardi. Rachel lo sa perché Helen scrive anche con quale treno torna il marito e se i figli staranno svegli ad aspettarlo.
Su LinkedIn Rachel trova un curriculum di Mike. Trentanove anni, originario di Londra, in seguito trasferito a New York. Nessun aggancio con politica o forze dell’ordine, sembra una persona abbastanza solida. Ha un blog di cucina e prima faceva il banditore d’aste: si vanta di avere venduto una scatoletta di Merda d’artista di Piero Manzoni.
Helen ha due sorelle. Lei è quella in mezzo. Entrambe sono casalinghe. Una ha sposato un avvocato; l’altra è divorziata da uno scienziato dell’alimentazione. Va a prendere i figli a scuola tutti i giorni, ma quello che interessa a Rachel è che Toby ha appena iniziato tiro con l’arco e due volte alla settimana va a una scuola di Salem.
Arco e frecce sono la nuova passione di Toby. C’è un link alla sua pagina Facebook e un simpatico video su YouTube in cui lo si vede colpire diversi bersagli con Here Comes the Hotstepper di Ini Kamoze come colonna sonora. Ma soprattutto Toby va a piedi da solo alla scuola di tiro. È un ragazzino giudizioso. I ragazzi dovrebbero essere lasciati più liberi, pensa Rachel, poi si rende conto che ha senso che esistano genitori iperprotettivi perché c’è in giro gente come lei.
Conclusione: i primi due bersagli sulla lista sembrano fattibili e comunque ha tre buone alternative.
Mentre sta andando in macchina al negozio di fai da te, squilla il cellulare. «Pronto?»
«Salve, potrei parlare con Rachel O’Neill, per favore?»
«Sono io.»
«Buongiorno, sono Melanie e la chiamo dal servizio antifrode della Chase Manhattan Bank. Volevo informarla di un’attività insolita che si è verificata stamattina sulla sua carta di credito.»
«La ascolto.»
Melanie le fa alcune domande di controllo e poi arriva al dunque: «La sua carta è stata usata per comprare il corrispettivo di diecimila dollari di Bitcoin. Ne è al corrente?»
«Non avrete bloccato il pagamento.»
«No, non l’abbiamo ancora fatto, ma ci chiedevamo...»
«Sono stata io. Non c’è nessun problema. È un investimento che sto facendo con mio marito. Senta, adesso sono impegnata e la devo lasciare.»
«Quindi non c’è stata alcuna attività irregolare?»
«Nessuna. Tutto a posto. Ma grazie di avermi chiamata. Devo andare. Buongiorno.» Rachel termina la chiamata.
Dal fai da te si fa tagliare un’asse per la finestrella dello scantinato e quando è sulla via del ritorno la chiama Marty. Era ora!
Rachel cerca di non scoppiare in lacrime quando lui la saluta allegro come al solito. «Ciao, tesoro, che succede?»
È un mistero, ma è praticamente impossibile odiare Marty, per quanto lo si voglia. Forse per i suoi occhi verdi e i capelli neri e ondulati. Sua madre l’aveva avvertita che era un mascalzone, ma le sue parole, come prevedibile, le erano rimbalzate addosso.
«Tammy mi ha parlato di una perdita sul tetto.»
«Scusa?»
«Il tetto. Cos’è, ci piove dentro?»
«Dove sei, Marty?» gli chiede, e si trattiene a stento dall’aggiungere: Ho bisogno di te.
«Ad Augusta. Siamo qui per il retreat.»
«Quando torni?»
«Venerdì sera. Non ti preoccupare, nel weekend Kylie la tengo io.»
Rachel soffoca un singhiozzo. «Oh, Marty», mormora.
«È domani, tesoro. Resisti.»
«Lo farò.»
«Non è il tetto, vero? Che succede, piccola? Dimmi tutto. Che c’è che non va?»
Niente, a parte il fatto che probabilmente sto morendo e che nostra figlia è stata rapita, sta per rispondere. Ma non lo fa, perché Marty andrebbe dritto dalla polizia, non capirebbe.
«Hai dei problemi di soldi? Non ho fatto il mio dovere. In futuro farò meglio, te lo prometto. Hai sentito un’impresa?»
«No», risponde Rachel apatica. «Non ho nessuno che mi aiuti.»
«Quanto è grave la perdita?»
«Non so.»
«Senti, piccola, ho controllato il meteo. Magari può venire lì Pete.»
«Pete? Dov’è Pete?»
«A Worcester, credo.»
«Gli manderò un messaggio. Penso di essere autorizzata a farlo.»
«Che stai dicendo? Autorizzata da chi?»
«Niente. Da nessuno. Adesso ci penso e magari lo chiedo a lui.»
«D’accordo, piccola. Adesso devo proprio andare. Okay?»
«Okay, Marty», ribatte lei mesta.
«Allora ciao», la saluta l’ex marito. Senza la sua voce profonda e rassicurante, in macchina tornano gelo e silenzio.