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Giovedì, ore 09.26
La filiale della First National Bank in State Street a Newburyport apre alle nove e trenta. Rachel cammina avanti e indietro davanti all’ingresso fumando la sua Marlboro.
State Street è deserta, c’è solo un signore di una certa età, pallido e nervoso, con cappotto e berretto dei Red Sox, che si sta dirigendo verso di lei. Si ferma e i loro sguardi si incrociano.
«Lei è Rachel O’Neill?» le chiede.
«Sì.»
L’uomo deglutisce e abbassa il berretto. «Sono incaricato di dirle che un anno fa sono uscito dalla Catena. Ho fatto quello che mi è stato detto e la mia famiglia è salva. Le devo anche dire che ci sono centinaia di persone come me che possono essere incaricate di portare un messaggio a lei o alla sua famiglia, se la Catena lo ritiene necessario.»
«Capito.»
«Lei non è... incinta, vero?» le chiede l’uomo esitante, come se per un attimo uscisse dal copione.
«No.»
«Allora ecco il messaggio», dice, e di punto in bianco le sferra un pugno nello stomaco.
Rachel rimane senza fiato e si accascia a terra. L’uomo è sorprendentemente forte, il dolore è terribile. Ci vogliono dieci secondi prima che lei torni a respirare. Lo guarda spaventata e interdetta.
«Le devo dire anche che se ha bisogno di altre prove del nostro potere, cerchi su Google la famiglia Williams di Dover, nel New Hampshire. Lei non mi vedrà più, ma ci sono molti altri come me. Non cerchi di seguirmi», aggiunge. E mentre lacrime di vergogna gli rigano le guance, si gira e si allontana a passo spedito.
In quel momento si aprono le porte della banca e la guardia giurata la vede accasciata sul marciapiedi. Osserva l’uomo che si sta allontanando, serra i pugni, capisce che è successo qualcosa.
«Ha bisogno di aiuto, signora?» le chiede.
Rachel tossisce cercando di riprendersi. «Tutto bene, almeno credo. Sono inciampata.»
La guardia le porge la mano e l’aiuta a rialzarsi.
«Grazie», dice Rachel, con una smorfia di dolore.
«Sicura di star bene, signora?» le chiede.
«Sì, certo.»
La guardia sembra perplessa e poi osserva di nuovo l’uomo che si sta allontanando. Probabilmente si sta chiedendo se quella donna è una specie di esca in un tentativo di rapina. La sua mano si avvicina alla fondina.
«Grazie, davvero», dice Rachel. E poi, a bassa voce: «Non sono abituata ai tacchi. Meno male che volevo fare una buona impressione alla banca!»
La guardia si rilassa. «L’ho vista solo io», dice. «Non so come facciate voi donne a camminare con quei cosi.»
«Mi viene in mente una freddura che ho detto a mia figlia. ’Sai che malattia arriva camminando sui tacchi alti?’»
«Prego?»
«’La tacchi-cardia.’ Non ride mai per i miei giochi di parole.»
La guardia sorride. «A me sembra divertente.»
«Grazie di nuovo», dice Rachel. Si sistema i capelli, entra in banca e chiede di vedere Colin Temple, il direttore.
Temple è un anziano signore che abitava a Plum Island prima di trasferirsi in città. Invitava sempre Rachel ai suoi barbecue e viceversa, e aveva una barca su cui Marty qualche volta era andato a pescare. Non aveva sollevato problemi quando Rachel, dopo il divorzio, aveva saltato il pagamento di qualche rata del mutuo.
«Rachel O’Neill, non ci posso credere.» Sorride. «Perché gli uccelli appaiono improvvisamente ogni volta che sei vicina?» le chiede, citando la canzone Close to You.
Perché in realtà sono cornacchie e io una specie di zombi, pensa lei, ma si limita a dire: «Buongiorno, Colin, come stai?»
«Io bene. Che cosa posso fare per te, Rachel?»
Lei reprime una fitta di dolore e si sforza di fare un mezzo sorriso. «Ho qualche problema, volevo sapere se ne possiamo parlare.»
Si ritirano nell’ufficio, che è pieno di immagini di yacht e di complicati modellini fatti dallo stesso Colin. Ci sono varie foto di un Cavalier King Charles spaniel di cui non ricorda il nome. Colin lascia la porta socchiusa e si siede alla scrivania. Rachel si piazza di fronte, cercando di assumere un’espressione gradevole.
«Cosa posso fare per te?» chiede Colin, ancora cordiale ma con un accenno di sospetto negli occhi.
«È la casa, Colin. Il tetto sopra la cucina perde. Ieri l’ho fatto vedere a un’impresa e mi hanno detto che se non lo faccio sostituire prima che nevichi rischia di crollare tutto.»
«Sul serio? L’ultima volta che sono stato da voi sembrava a posto.»
«Lo so. Ma è ancora il tetto originale degli anni Trenta. Ogni inverno ci piove dentro. E adesso è diventato un pericolo. Non solo per me e per Kylie, ma anche per voi della banca. C’è un’ipoteca, su quella casa, e se crolla non vale più niente.» Riesce anche a simulare una risatina.
«E quanto ti avrebbe chiesto l’impresa?»
Rachel aveva pensato di chiedere tutti i venticinquemila, ma sono effettivamente troppi per riparare un tetto. Da parte non ha un soldo, ma con la Visa può farsi anticipare diecimila dollari. Al modo di recuperarli penserà quando Kylie sarà a casa al sicuro.
«Quindicimila. Ma ci sto dentro, Colin. Da gennaio ho un nuovo lavoro.»
«Davvero?»
«Devo fare dei corsi al Newburyport Community College. Introduzione alla filosofia moderna. Schopenhauer, Wittgenstein, esistenzialismo, quella roba lì.»
«Finalmente puoi mettere a frutto la tua laurea.»
«Già. Guarda, ho portato il contratto. Non è molto, ma arriva tutti i mesi, e guadagno comunque di più che fare la tassista di Uber. Le cose cominciano a mettersi bene, Colin. Tetto a parte», gli dice porgendogli i documenti.
Colin esamina i fogli e poi la guarda negli occhi. Ha capito che c’è qualcosa che non quadra. Probabilmente lei non deve sembrare in gran forma. Avvizzita, magra, preoccupata. Come una che si è ammalata di nuovo o che rischia ogni giorno di morire di overdose.
Colin socchiude le palpebre. Cambia espressione e scuote la testa. «Purtroppo è impossibile posticipare altre rate e non possiamo aumentare il prestito in corso. Non mi darebbero neanche l’autorizzazione. In queste cose non sono io a decidere.»
«Allora pensiamo a un’ipoteca di secondo grado.»
Colin scuote la testa un’altra volta. «Mi spiace, Rachel, ma la tua casa non è una garanzia sufficiente. Per essere brutalmente onesto, è solo una baracca sulla spiaggia. Carina, non lo metto in dubbio, ma non ha nemmeno la vista mare.»
«Abbiamo davanti il bacino, Colin. Tecnicamente si chiama vista mare.»
«Mi spiace molto. So che tu e Marty per anni avete pensato di ristrutturarla, ma non l’avete mai fatto, vero? Non c’è un riscaldamento adeguato, non c’è l’aria condizionata...»
«Allora parliamo del terreno. Da queste parti i prezzi ultimamente sono saliti...»
«Sei sul lato meno richiesto di Plum Island. Hai davanti una palude e sei in una zona soggetta a inondazioni. Mi spiace, Rachel, non posso farci niente.»
«Ma... ho il nuovo lavoro.»
«Il contratto del college dura solo un semestre. Sei un debitore molto rischioso per una banca, te ne rendi conto anche tu.»
«Sai che ce la posso fare, Colin», insiste Rachel. «Sono quasi sempre puntuale con le rate. I miei debiti li pago. E mi spezzo la schiena.»
«Sì, ma non è questo il punto.»
«E Marty? È diventato junior partner di uno studio legale. Ultimamente mi sono sobbarcata io le spese per il mantenimento di nostra figlia, perché Tammy ha dichiarato fallimento...»
«Tammy?»
«La sua nuova compagna.»
«Ha dichiarato fallimento?»
Merda, pensa Rachel. Si rende conto che quell’informazione non gioca a suo favore, e cerca di minimizzare.
«Niente di grave. Aveva un negozio di cioccolatini a Boston, in Harvard Square, e ha dovuto chiudere. Non è un’imprenditrice. Non ha neanche venticinque anni e...»
«Come fai a non fare soldi in una posizione così centrale?»
«Non lo so. Senti, Colin, ci conosciamo da una vita e... ho bisogno di quei soldi. Appena possibile. È un’emergenza.»
Colin si allunga sullo schienale della sedia.
Rachel lo vede rimuginare. È probabile che sappia riconoscere molto bene chi racconta balle.
«Mi spiace, Rachel, sul serio. Se ti serve un’impresa, ti raccomando Abe Foley. È onesto e veloce. Altro non posso fare.»
Rachel annuisce. «Grazie», dice abbattuta, ed esce dall’ufficio, sconfitta.