31

Sabato, ore 07.27

La porta in cima alle scale si apre.

«Questa mattina la colazione è in orario», annuncia l’uomo, scendendo con un cartone di succo di arancia, una fetta di pane tostato e una ciotola di cereali. Kylie cerca la pistola ed eccola lì, infilata nei pantaloni, sotto l’ombelico, dove secondo suo zio Pete non si dovrebbe mai mettere.

«Sei sveglia?» le chiede.

«Sì», risponde Rachel, mettendosi a sedere nel sacco a pelo.

«Bene. Ti piace la marmellata? Io l’adoro. L’ho scoperta quando sono andato a Londra, qualche anno fa.»

«Sì, mi piace. Ogni tanto mia mamma la compra.»

«Ecco qua. Pane tostato, burro del Maine, ovviamente bio, Coco Pops e succo d’arancia. Per un po’ hai di che tirare avanti.»

L’uomo appoggia il vassoio.

Kylie ha lasciato Moby Dick aperto sul pavimento, a faccia in giù, a un terzo dalla fine. Sa che lui lo raccoglierà, meravigliato.

«Caspita, quanto sei andata avanti! Sei a più di metà...»

Mentre si china, Kylie lo colpisce in testa con la chiave inglese. Il fatto che indossi la maschera la facilita, perché può fare finta che quello non sia un essere umano. L’uomo geme e Kylie lo colpisce un’altra volta.

Lui crolla in avanti e si accascia sul bordo del materasso, in una posa patetica.

Kylie non ha idea di dove l’ha colpito, ma ha raggiunto il suo scopo. È svenuto.

Adesso non ha un secondo da perdere. Deve girarlo, prendere la chiave delle manette dalla sua tasca, liberarsi, salire di corsa.

Fuori ci potrebbe essere la donna, un cane o qualunque altra cosa. Avrà la pistola e se necessario sparerà. Altrimenti correrà verso la strada il più velocemente possibile. Se è nella parte del New Hampshire che immagina, il terreno sarà paludoso, ma andando verso est a un certo punto troverà la I-95, la Route 1 o l’oceano. E non si fermerà per niente al mondo.

L’uomo è pesante, ma Kylie riesce a rovesciarlo sulla schiena tirandogli la maglietta sudata e sollevandolo per le ascelle.

Gli toglie la pistola dalla cintura e fruga in tutte le sue tasche.

Niente portafogli, niente carta d’identità e soprattutto niente chiavi.

Per sicurezza cerca un’altra volta. Indossa un paio di vecchi pantaloni marroni dalle tasche profonde, ma sono vuote. Non ci sono tasche posteriori, la camicia però ha un taschino. Sarebbe un posto ideale dove mettere una chiave.

Sì! pensa. Ma non c’è nulla neanche lì.

Bisogna passare al piano B. Kylie esamina la pistola. Nel tamburo ci sono sei proiettili. Adesso aspettiamo che si svegli, pensa.

Passa un minuto.

Due.

Oh, Dio, e se l’avesse ucciso? L’ha solo colpito con una chiave inglese. Nei film la gente non muore così. Non voleva ucciderlo.

L’uomo comincia a muoversi.

«La mia testa», dice abbozzando un sorriso. «Che mazzata.»

Dopo qualche lamento si mette a sedere. Vede che la ragazza ha in mano la pistola.

«Con cosa mi hai colpito?» chiede. Si mette le mani sotto la maschera e si sfrega gli occhi.

«Con questa», risponde Kylie, alzando la chiave inglese con la mano sinistra.

«Ah, però. E dove l’hai presa?»

«Sotto il boiler.»

«Impossibile! Ho controllato.»

«Bisognava essere in un certo posto in un certo momento. Mi sono ricordata di quello che ha detto Howard Carter quando ha scoperto la tomba di Tutankhamon: non basta vedere, occorre saper guardare.»

«Sei molto sveglia, Kylie. Bene, e adesso che cosa succede?»

«Voglio la chiave delle manette. Visto che a quanto pare non ce l’hai tu, chiama tua moglie e dille di portarla.»

«Altrimenti?»

«Ti sparo.»

«Pensi di esserne capace?»

«Certo. Mio zio mi ha portata a sparare più di una volta. So come si fa.»

«Un conto è sparare a un bersaglio o a un pezzo di carta, un conto è a una persona.»

«Ti sparerò a una gamba, così vedrai che faccio sul serio.»

«E poi?»

«Tua moglie mi darà la chiave e me ne andrò.»

«E perché dovrebbe lasciarti andare?»

«Altrimenti ti ucciderò» ribatte Kylie. «So che non volevate arrivare a questo e vi faccio una promessa. Quando me ne sarò andata, dirò a mia mamma che non riesco a ricordare niente. Passate ventiquattr’ore, dirò alla polizia dov’è questo posto. Così avrete tempo di prendere un aereo e di andare in un paese dove non c’è... come si chiama...»

«L’estradizione.»

L’uomo scuote la testa mestamente. «Mi spiace, Kylie. È un buon piano, ma non hai tenuto conto di una cosa. A Heather non importa un accidente di me. Lascerà che tu mi spari tutti i proiettili che vuoi.»

«Figurati se non le importa. Chiamala! Dille di portare le chiavi!»

«No.» L’uomo sospira. «Non le è mai importato niente. Jared è il figlio del suo primo marito. Io sono stato solo un rimpiazzo che le è capitato tra i piedi. Non che non le voglia bene, ma penso di non essere mai stato ricambiato.»

Kylie memorizza i due nomi che gli sono sfuggiti nel suo stato di confusione. Heather e Jared. Potrà rivelarsi un’informazione utile, ma adesso deve pensare solo a scappare.

«E a me non importa niente di tutto questo. Voglio solo andarmene! Non sto bluffando.»

«Non lo penso nemmeno. Mi sembri una ragazza molto decisa. Ti consiglio di premere il grilletto.»

«Lo farò.»

«Allora fallo.»

Kylie si alza, punta il revolver verso il ginocchio dell’uomo e preme il grilletto come le ha insegnato zio Pete.

Il percussore si abbatte sulla capsula di innesco della cartuccia. A uno scatto metallico segue il silenzio. Kylie preme di nuovo il grilletto. Il tamburo gira, il cane arretra e il percussore si abbatte su un’altra cartuccia. Ancora una volta non succede nulla. Kylie preme il grilletto altre quattro volte fino a esaurire tutti i proiettili.

«Non capisco», dice.

L’uomo allunga la mano e si impossessa del revolver. Lo apre e le mostra le sei luccicanti cartucce vuote che ha messo nel tamburo.

The chain - Edizione italiana
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