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Una tormenta. Freddo. I fagotti ai suoi piedi sono uccelli caduti dagli alberi, morti per congelamento. La neve le punge la faccia ma quasi non la sente. È lì e non è lì. Si osserva dall’esterno.
L’unica cosa che può fare è cercare di tornare a casa dalla cassetta della posta. Ma non vede nulla fra gli abissi bianchi e vorticanti di Old Point Road.
Non vuole sbagliare e finire nella palude. E procede con cautela, in pantofole e vestaglia.
Perché è vestita così leggera? Perché è così poco preparata?
La palude aspetta che colmi un’assenza. Hai riavuto tua figlia, quindi ci devi una vita.
Le anatre volano via spaventate. C’è qualcosa in agguato al margine del bacino.
Il vento fa turbinare la neve davanti ai suoi occhi. Che cosa l’ha spinta a uscire con questo tempo?
Nella neve prende forma qualcosa di scuro. Un uomo. La forma del cappuccio evoca un paio di corna.
Forse ha davvero le corna. Forse ha corpo umano e testa taurina.
Si avvicina a lei.
No, è un uomo. Indossa un lungo cappotto nero ed è armato. Punta la pistola contro il suo petto. «Sto cercando Kylie O’Neill», dice.
«Non è a casa, è... è... è andata a New York», balbetta Rachel.
«Sei tu Rachel O’Neill?» chiede l’uomo.
«Sì.»
L’uomo alza la pistola.
Rachel si sveglia di colpo.
Il letto è vuoto. Pete non c’è, e la casa è immersa nel silenzio. Non è la prima volta che fa questo incubo. Si ripete con poche variazioni, e il significato è chiaro. Non bisogna essere dei geni per interpretarlo. Sei in debito. Sarai sempre in debito. Una volta entrata nella Catena, non ne esci più. E se pensi di poterti liberare, ne pagherai le conseguenze.
È come il cancro.
Sarà sempre nell’ombra, in agguato, per il resto della sua vita. Per il resto delle loro vite.
Già, il cancro.
Sul cuscino vede qualche ciocca di capelli castani e neri e – novità – anche qualche capello grigio.
Quando è andata a vedere la dottoressa Reed, martedì mattina, le ha fatto fare subito una tomografia per risonanza magnetica. I risultati erano così preoccupanti da richiedere un intervento chirurgico immediato.
La stessa stanza color crema al Massachusetts General Hospital.
Lo stesso gentile anestesista texano.
Lo stesso brusco chirurgo ungherese.
Addirittura la stessa sinfonia di Šostakovič in sottofondo.
«Dolcezza, vedrai che filerà tutto liscio come l’olio. Adesso faccio il conto alla rovescia. Dieci...» ha detto l’anestesista.
«Filerà tutto liscio come l’olio.» Era da anni che non sentivo questa espressione, ha pensato Rachel.
L’intervento è stato giudicato un successo. Rachel dovrà fare «solo un ciclo di chemioterapia di sostegno». Facile prescriverla, per la dottoressa Reed. Tanto il veleno mica lo iniettano a lei.
Una volta ogni due settimane, per quattro mesi, è comunque qualcosa di gestibile. Nulla è così tremendo, adesso che la sua piccola è tornata.
Rachel pulisce il cuscino dai capelli e spazza gli incubi dalla propria testa. Al piano di sopra Kylie si sta facendo la doccia. Una volta cantava sempre, adesso non lo fa più.
Rachel tira su la tapparella e prende la tazza di caffè che Pete ha lasciato per lei sul comodino. È una bella mattina. È sorpresa che fuori non ci sia neve: il sogno sembrava così vero. La camera da letto dà a est, sul bacino. Rachel beve un sorso di caffè, apre la porta finestra, esce sul deck. Fa un freddo asciutto, e le acque basse sono piene di trampolieri.
Vede il dottor Havercamp che cammina tra le dune davanti a casa. La saluta con un cenno della mano e lei fa altrettanto. Scompare dietro una macchia dei prugni a cui devono il nome sia questa isola sia quella omonima vicino a Manhattan. Adesso le prugne sono mature. Lo scorso autunno hanno fatto la marmellata e l’hanno venduta alla fiera degli agricoltori. Ha diviso il ricavato con Kylie, che su ogni etichetta ha scritto «Autentica marmellata di Vinlandia». L’affascinava l’idea che i pericolosi pirati vichinghi, nella loro esplorazione delle coste del Nord America, potessero essersi spinti fino a Plum Island. In quei giorni il pericolo sembrava ancora qualcosa di affascinante.
Rachel annoda la cintura della vestaglia e va in soggiorno. «Tesoro, cosa vuoi per colazione?» chiede ad alta voce.
«Toast, per favore», risponde Kylie dal piano di sopra.
Rachel va in cucina e infila due fette di pane nel tostapane.
«Felice Giorno del Ringraziamento», dice qualcuno alle sue spalle.
«Cazzo!» dice Rachel, girandosi di scatto e impugnando il coltello con cui stava tagliando il pane.
Stuart alza buffamente le mani in segno di resa.
«Stuart, mi spiace, non sapevo che fossi qui.»
«Potrebbe abbassare il coltello, signora O’Neill?» ribatte Stuart, fingendo di essere terrorizzato.
«Scusa per la parolaccia. Non dirlo a tua madre.»
«Non c’è problema. Credo di averla sentita un paio di volte in vari... contesti.»
«Ti va un toast?»
«No, grazie. Sono solo venuto a salutare Kylie prima che partiate.»
Rachel annuisce e mette comunque del pane a scaldare anche per Stuart. Oggi lei, Kylie e Pete sono stati invitati a Boston da Marty.
Due giorni fa Rachel ha fatto la chemio e tutto va per il meglio. Mette altre due fette di pane su un piatto.
Pete, che era uscito a correre, rientra senza fiato ma felice. Ha iniziato il programma da due settimane e sta facendo progressi. Alla clinica per veterani di Worcester gli danno il metadone, in modo da eliminare gradualmente gli oppiacei dal suo organismo. Finora funziona. E funzionerà. Adesso la priorità è la famiglia di Rachel.
Pete le dà un bacio sulle labbra.
«Com’è andata, stamattina?» gli chiede lei.
Pete si accorge subito che qualcosa non va. «Hai fatto brutti sogni?» le chiede sottovoce.
Rachel annuisce. «Il solito.»
«Dovresti parlarne con qualcuno.»
«Sai che non posso.»
Non possono dire a nessuno che hanno attraversato lo specchio e hanno visitato il mondo dove gli incubi sono reali.
Pete si prepara un caffè e siede accanto a Rachel al tavolo del soggiorno.
Non le ha mai chiesto ufficialmente di trasferirsi da lei. È andato a Worcester a prendere la poca roba che gli serviva ed è rimasto lì.
Di loro tre, Pete è quello che probabilmente se la sta passando meglio.
Se ha degli incubi, non ne parla, e il metadone tiene a bada il craving.
Di loro tre, Kylie è quella che sicuramente se la sta cavando peggio.
Quella notte, a casa degli Appenzeller, Kylie era scesa dalla piccola Amelia. Quando la bambina si era svegliata, l’aveva consolata dicendole che tutto sarebbe andato per il meglio. Ma il punto era un altro. Era diventata complice del rapimento. Prima vittima e poi carnefice. Come tutti loro. È così che funziona la Catena. Prima ti tortura e poi ti rende complice di torture inflitte ad altri.
Kylie non bagnava il letto da quando aveva quattro anni. Adesso, quasi ogni mattina, le sue lenzuola sono fradice.
Di notte sogna sempre la stessa cosa: viene buttata in un sotterraneo ed è lasciata lì a morire da sola.
La sua vita non è più la stessa. A scuola, a fare la spesa, in qualunque posto, non va mai da sola. Da nessuna parte.
Prima era raro che chiudessero le porte a chiave, ora lo fanno sempre. Pete ha rinforzato e cambiato le serrature; ha tolto gli spyware dagli apparecchi di Rachel, ha chiamato il suo amico Stan per bonificare la casa e nelle scarpe di Kylie ha messo dei localizzatori GPS grandi come monete. Così è sempre monitorata da qualunque parte vada, specialmente quando sta con suo padre a Boston.
Kylie sa che non può raccontare a suo padre quello che è successo. Né a lui né a Stuart né agli insegnanti né a sua nonna, ma Marty non è stupido e capisce che qualcosa non va. Problemi di cuore? Non insisterà, ha già i suoi guai. All’improvviso Tammy è dovuta tornare in California per occuparsi della madre, che ha avuto un incidente. E gli ha detto subito che una relazione a distanza non faceva per lei. Qualche breve email, e addio Marty.
Pete non si è stupito. Marty ha evitato che le pignorassero i beni, l’ha aiutata a riavere la carta di credito e a risolvere tutte le beghe legali, poi lei gli ha dato il benservito. Grazie tante, me ne vado in California. Come è stata abile a ingannare tutti, pensa Pete. Ne ha conosciute, di ragazze come lei; anzi, ne ha sposata una quasi identica. E ha conosciuto anche la versione maschile.
Alla fine Kylie scende. Si è messa pantaloni della tuta e maglietta.
Rachel sa che cosa significa: il pigiama è nel cesto della biancheria.
«Ah, ciao, Stuart», dice.
È sempre triste. Forse andare a Boston sarà una distrazione. Rachel la osserva mentre fa finta di leggere i libri di filosofia. Stuart le sta dicendo qualcosa e lei risponde a monosillabi.
Alla fine il ragazzo la saluta. Fanno colazione e si preparano.
All’una in punto Pete le lascia davanti alla nuova casa di Marty a Longwood, a due passi da Fenway Park. Un quartiere tranquillo. Avvocati, medici, commercialisti, staccionate bianche e prati ben tenuti. «Qualunque sia l’assegno che ti passa Marty, chiedi il doppio», le dice Pete.
Marty non ha neanche provato a far da mangiare. Ha ordinato tutto con una app, il che è anche meglio. La casa è mezza vuota e non c’è nessuna nuova fidanzata. Rachel ne è un po’ sorpresa: Marty è sempre stato uno specialista del piano B.
Marty li aggiorna sulla fuga di Tammy e sulla propria carriera. Non riesce a credere che quella donna lo abbia mollato con un’email e che da quando è in California non si faccia sentire, ma non è tipo da cadere in depressione. Sparla dei suoi clienti, racconta un buffo episodio relativo alla lettura di un testamento e fa una battuta dopo l’altra.
Non chiede a Kylie della scuola. Ha saputo del suo calo di rendimento e pensa sia meglio sorvolare.
Kylie è assente, Rachel è troppo stanca per dire alcunché, e per una volta è Pete a tenere viva la conversazione. Parla del progetto di fare in canoa l’Intracoastal Waterway e delle difficoltà che si incontrano a Cape Cod e nella baia di Chesapeake.
La madre di Rachel chiama dalla Florida e Marty insiste per parlarle. C’è un momento di panico quando Marty le chiede di Hamilton, ma Judith si ricorda di mentire.
Quando Rachel riprende il cellulare, sua madre le dice che dovrebbe decidersi a tagliare i ponti con tutti gli O’Neill. Rachel ascolta, le dà ragione, le augura un felice Giorno del Ringraziamento e termina la chiamata.
«Dov’eri l’anno scorso in questo periodo, zio Pete?» gli chiede Kylie.
«Ero in viaggio a Singapore. Non ho fatto molto. Non ho trovato nemmeno il tacchino.»
«E il tuo ultimo Giorno del Ringraziamento tradizionale? In famiglia?» gli chiede Rachel.
Pete ci deve pensare. «L’ultimo che ricordo è stato a Okinawa, a Camp Butler. In mensa c’era il tacchino col purè. Non era male.»
Rachel ascolta e sorride. Tiene la mano di Kylie sotto il tavolo, sposta il cibo nel piatto e fa finta di mangiare. Guarda Kylie, che ride alle battute di suo padre, ma più spesso sembra sul punto di crollare. Guarda Pete, l’introverso taciturno, che ora fa del proprio meglio per tenere viva la conversazione. Guarda Marty, bello, vulcanico e divertente. Che cretina, Tammy. Uno così se lo doveva tenere stretto.
Rachel si alza e va in bagno.
Si vede riflessa nello specchio del corridoio.
Ha ripreso a svanire. Si sta dissolvendo. Mentre va in bagno, tira quel noioso filo rosso del suo maglione preferito.
Si siede sul water con la testa tra le mani e pensa.
Un segnale di notifica sul cellulare. È un nuovo messaggio di Wickr. L’unico che usa quella app è l’Utente sconosciuto. La Catena.
Apre il messaggio.
Devi essere profondamente grata, Rachel. Ti abbiamo ridato tua figlia. Ti abbiamo ridato la vita. Sii grata per la nostra clemenza e ricorda che una volta che sei nella Catena, ci rimani per sempre. Non sei la prima e non sei l’ultima. Noi vediamo e sentiamo; possiamo venire da te in qualunque momento.
Rachel lascia cadere il cellulare e soffoca un grido.
Scoppia in lacrime. Non sarà mai finita. Mai.
Si accascia sul pavimento e dopo qualche secondo si ricorda di respirare.
Poi si sciacqua la faccia, preme il pulsante dello sciacquone, fa un respiro profondo e torna dalla sua famiglia.
Tutti la guardano. Tutti sanno che ha pianto. Due di loro conoscono il motivo.