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Fin da piccolo, tutti l’hanno chiamato Red. Il nome di battesimo sarebbe Daniel, come suo padre, ma il genitore è un po’ troppo manesco per essere simpatico al figlio.
Sotto le armi lo chiamano Red. O sergente. O sergente Fitzpatrick. Lui preferisce Red.
L’esercito gli è utile. In pratica gli insegna a leggere e scrivere.
Red frequenta i corsi per adulti dislessici. Legge i fumetti, l’enorme sole rosso di Krypton, Superman con il mantello rosso.
L’esercito lo manda a migliaia di chilometri di distanza.
Nella giungla.
Nel delta del Mekong.
Frequenta i bordelli di Nha Trang e di Saigon.
Sa che le puttane hanno paura di lui. Dei suoi occhi o della voglia a forma di squama che ha sul collo. Le puttane non lo chiamano né Red né sergente. Alle sue spalle lo chiamano ông ma quy, ossia «demone marino».
In elicottero.
Uno scontro a fuoco a Ia Drang. Sangue freddo sotto il tiro dei mortai. Viene raccomandato per la Silver Star.
Torna a casa. La sua fidanzata, una ragazza del Sud, gli sforna un bambino.
Entra nella polizia di Boston.
È la metà degli anni Sessanta e ci sono molte opportunità per un giovane intraprendente. A volte devi usare le maniere forti.
A volte devi essere ancora più drastico.
Macchie rosse sul pavimento di uno spaccio clandestino di Dorchester.
Rosso sulle pareti del seminterrato dove vive un informatore.
Mani rosse. Occhi rossi. Stanze rosse.
La moglie di Red scappa nel Michigan con un altro uomo. Impronte rosse nella neve attorno a una casa di Ann Arbor.
Il figlio di Red cresce e segue le orme paterne entrando nelle forze dell’ordine.
Un gran bel periodo.
Prima del disastro. Prima che quella troia hippie entri nella vita di suo figlio.
Adesso Red è un vecchio. Ha i capelli bianchi. Ma il vecchio Red è sempre lì.
Pensano di potermi uccidere?
Sono duro a morire.
Red si rialza dal ripostiglio dove ha ripreso le forze. Zoppicando raggiunge il locale accanto alla biblioteca. C’è fumo dappertutto. La casa è in fiamme. Trova il kit del pronto soccorso. Un proiettile l’ha beccato al fianco, ma ha visto di peggio. Come in quello scontro a fuoco nel ghetto, nel ’77. O come quella volta a Revere, nell’85, con quelli che non volevano pagare il pizzo.
Solo che allora era giovane. Molto più giovane.
Sta perdendo un sacco di sangue. Bende rosse. Arranca fino alla rastrelliera. Dal vecchio mattatoio arrivano grida e spari.
Prende un M16 cui è stato agganciato un lanciagranate M203.
Una scelta obbligata, quando ti serve qualcosa di davvero convincente.
Barcolla verso la cucina, tossendo. Il fumo è denso e nero.
Il dolore è pazzesco. Almeno quattro costole rotte e probabilmente un polmone bucato, ma può farcela. È sempre Red, anche se ha i capelli bianchi.
Si trascina sotto la tempesta di neve fino al retro del vecchio mattatoio.
Un passo alla volta, tra una fitta e l’altra.
La neve gli offusca la vista.
Cinquanta passi che sembrano cinquecento metri.
È costretto a strisciare. Ogni volta che espira gli esce sangue dalla bocca. Gli devono avere beccato proprio il polmone.
Adesso è alla porta sul retro. La porta della morte.
Rosso sulla neve. Rosso sul corrimano.
Ogni respiro fa male. Ha un solo polmone che funziona e si sta riempiendo di sangue anche quello.
Sale l’ultimo gradino e lancia uno sguardo all’interno.
La lampadina è accesa e vede tutto.
I suoi due amati nipoti sul pavimento. Morti. I ragazzi che aveva salvato tanti anni prima. Gli unici che l’hanno davvero amato e capito. Gli unici a essere entrati nel suo mondo.
Ed ecco la donna, che stringe i due ragazzi sotto un telo. Marty e un altro uomo sul pavimento. Sembrano ancora vivi. Non per molto.
Red imbraccia l’M16 e appoggia il dito sul grilletto del lanciagranate. È armato con un ordigno perforante ad alto potenziale che probabilmente ucciderà tutti quelli lì dentro. Probabilmente anche lui.
Bene, pensa, e tira il grilletto.