32
Sabato, ore 07.35
Un rumore su in cucina.
È tornato il poliziotto?
Rachel prende la pistola e la punta verso le scale. «Chi è?» chiede.
Prende la mira e trattiene il fiato.
È Pete che scende di corsa.
«Ho l’iniettore. È arrivato al punto di ritiro!» esclama.
«Grazie a Dio!»
Rachel si fa da parte mentre Pete fa l’iniezione ad Amelia. Funziona quasi subito. Come un miracolo. Dopo due spasmi, Amelia comincia a respirare.
Tossisce, aspira, tossisce ancora.
Pete le dà da bere. Altri rantoli.
Pete le sente il polso. «Sta tornando normale. Adesso respira bene.»
Rachel annuisce, va al piano di sopra, trova l’armadietto degli alcolici e si riempie un bicchiere di scotch.
Lo beve e lo riempie di nuovo.
Venti minuti dopo, Pete la raggiunge. «Come sta?» gli chiede Rachel.
«Molto meglio», le risponde. «La febbre è scesa.»
«Stava molto male. Aveva smesso di respirare.»
«Colpa mia. Non ho controllato i cereali.»
«L’avrei lasciata morire, Pete.»
Lui scuote la testa, ma sa che lei l’avrebbe fatto, e probabilmente l’avrebbe fatto anche lui.
«Sono diventata una di loro», sussurra Rachel.
Si fissano per qualche secondo. Nei loro occhi ci sono le stesse cose: vergogna, stanchezza, paura.
«Quando non c’eri, è venuta una a controllare se ci fosse la padrona di casa, e poi ha chiamato la polizia», riferisce Rachel.
«E sono venuti qui?»
«Sì.»
«Siamo fregati?»
«Non penso. Ho fatto gli occhi dolci al poliziotto, gli ho fatto credere di essere una specie di milf che chiama il pronto intervento solo per abbordare gli uomini in divisa.»
«Non mi sembri messa così male», dice Pete con un sorriso, cercando di alleggerire l’atmosfera.
Altro che. Probabilmente sto morendo, Pete, pensa Rachel. «Allora, Amelia si è ripresa?»
«Direi di sì.»
«Vado giù a vedere.»
Ci vuole un’altra mezz’ora perché il respiro e il colorito di Amelia tornino alla normalità. Sono bastate poche tracce di arachidi a ridurla in quello stato, figuriamoci se ne avesse mangiata una.
«Perché avete sempre quelle maschere?» le chiede Amelia.
«Così quando ti riportiamo dalla tua mamma non potrai dirle che faccia abbiamo», risponde Rachel.
«Mamma non sa che faccia hai?»
«No.»
«Allora devi chiederle l’amicizia su Facebook», dice Amelia convinta.
«Magari più avanti. Vuoi un succo?»
«È di mela?»
«Sì», risponde Rachel porgendoglielo.
«Odio il succo di mela. Lo sanno tutti che odio il succo di mela.» Amelia mugola, butta via prima il succo di mela e poi il cavallo Lego con cui stava giocando, che si rompe in cinque o sei pezzi. «Odio questo posto e odio te!» grida.
«Devi abbassare la voce», le dice Rachel, che ha qualche dubbio sull’insonorizzazione del seminterrato.
«Perché?»
«Perché se gridi ti dovremo mettere del nastro adesivo sulla bocca.»
Amelia la guarda stupita. «E come faccio a respirare?»
«Dal naso.»
«Lo faresti davvero?»
«Sì.»
«Sei cattiva.»
Rachel annuisce. La piccola ha ragione. È cattiva. È così cattiva che sarebbe stata disposta a lasciarla morire.
Rachel prende dalla borsa un cellulare usa e getta. «Ti piacerebbe parlare con la tua mamma?» le chiede.
«Sì!» dice Amelia.
Rachel digita il numero di Helen Dunleavy.
«Pronto?» Dalla voce sembra a pezzi, oltre che terrorizzata.
«Vuoi parlare con Amelia?»
«Sì, per favore.»
Rachel mette il viva voce e avvicina il cellulare alla bambina.
«Tesoro, sei lì?» le chiede.
«Mamma, quando posso tornare a casa?»
«Presto, tesoro, molto presto.»
«Non mi piace questo posto. È buio e ho paura. Quand’è che viene a prendermi papà? Non mi sento bene. E mi annoio.»
«Verrà prestissimo, tesoro.»
«Quanti giorni di scuola devo perdere?»
«Non lo so, amore.»
«Odio questa catena che mi lega. La odio!»
«Lo so.»
«Saluta la tua mamma», dice Rachel prendendo il telefono.
«Ciao, tesoro! Ti voglio un bene dell’anima!» dice Helen.
Rachel comincia a salire le scale. «Hai sentito che è al sicuro e sta bene. Per ora. Ti devi sbrigare con la parte uno e la parte due.»
Rachel chiude la porta del seminterrato e va in cucina.
«Penso che potremo fare il bonifico stasera», dice Helen.
«Fatelo subito! E poi trovate un bersaglio. Uccideremo Amelia, se sarà necessario. Rivoglio mia figlia, vedete di non fare casini», dice Rachel. Poi spacca il cellulare, estrae la scheda, la calpesta fino a spezzarla in due, e infila tutto nel sacco della spazzatura che Pete ha messo in cucina.
È scossa dalla rabbia e dalla frustrazione.
I raggi di sole che filtrano dalle persiane chiuse intercettano granelli di polvere sospesi nell’aria. A un centinaio di metri le onde si frangono sulla spiaggia, e al piano di sotto la piccola sta canticchiando.
Rachel inspira ed espira, inspira ed espira. La vita è un accumulo di momenti senza scopo né significato. Di tutti i filosofi, Schopenhauer è l’unico che ci abbia preso.
«Vado a casa», dice Pete. Quando la via è libera, esce e si infila tra le dune. Rachel sente di essere sul punto di piangere, ma ha finito le lacrime da un pezzo. Adesso è fatta di pietra. Una volta di più si rende conto che la persona che era il giorno prima è scomparsa.