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Venerdì, ore 01.11
Kylie aspetta finché è molto tardi, anche se ovviamente non sa quanto tempo è passato di preciso senza iPhone, iPad, Mac. E senza orologio, anche se, ormai, chi lo porta più un orologio, al giorno d’oggi?
Sdraiata sul materasso, sente macchine che passano in lontananza e ogni tanto un aereo che scende verso l’aeroporto di Boston Logan. Anche quello molto distante.
Si mette seduta, con le spalle alla telecamera, e dà un morso a un biscotto. Il piano iniziale è fallito. È impossibile aprire le manette con il tubetto del dentifricio. Ci ha provato per ore, inutilmente. Il nuovo piano, però, potrebbe andare meglio.
Verso sera l’uomo è venuto giù a portarle un hot dog e un bicchiere di latte. Ha appoggiato il vassoio sul pavimento accanto a lei. La pistola in una tasca della felpa. Poi è venuta la donna a riprendere il vassoio. Con la pistola in mano. Sono sempre armati. Lei ha solo tredici anni, è incatenata a una stufa che peserà una tonnellata, ma non vogliono correre rischi. Quando vengono giù, sono sempre armati.
Ed è questo, si rende conto Kylie, che le sarà d’aiuto.
C’è una cosa che ha notato qualche ora prima.
Mentre il sole si spostava lentamente, ha scorto un luccichio in un angolo. Avvicinandosi per quanto le consentiva la catena, ha visto che era una chiave inglese, appena visibile contro la parete sotto il boiler. Un attrezzo abbandonato lì e dimenticato, magari da anni. Naturalmente quei due hanno preparato lo scantinato perché facesse da prigione, ma per vedere la chiave inglese bisogna essere sdraiati sul pavimento e guardare il boiler illuminato dal sole del pomeriggio.
La chiave inglese può essere la sua salvezza.
Kylie aspetta. Aspetta ancora.
Deve essere notte da un pezzo, perché i rumori del traffico si sono diradati e anche gli aerei sono meno frequenti.
Kylie continua a pensare all’agente. Lo hanno ucciso? Deve essere così. Quindi è tenuta prigioniera da due assassini. Non sembrano capaci di uccidere una persona, ma l’hanno fatto. Cerca di non cedere alla paura, ma non riesce a scacciare il pensiero.
E poi le viene in mente sua madre.
Chissà come sarà preoccupata. Sarà a pezzi. Non è forte come mostra di essere. Non è passato neanche un anno da quando ha finito la chemio. E suo papà... è figo, però forse non è il papà più affidabile del mondo.
Si gira verso la telecamera. Che ora sarà? Quei due saranno svegli? A un certo punto dovranno pur dormire.
Aspetta ancora.
Saranno le due di notte. Adesso, pensa.
Si alza, tende la catena più possibile e con tutte le sue forze tira la stufa. È pesantissima, ma il pavimento di cemento è liscio e fa poco attrito. Prima ha versato dell’acqua attorno ai piedi della stufa e l’ha sparsa attorno, sperando che servisse.
Si tira all’indietro come in una gara di tiro alla fune. Sta sudando, le fanno male le braccia, sembra impossibile che una ragazzina...
La stufa fa uno scatto in avanti. Kylie perde l’appoggio e cade sul pavimento, battendo il coccige con un tonfo secco.
Si morde il labbro e deve reprimere un urlo.
Rotola sul pavimento e impreca.
Quando il dolore diminuisce, cerca di capire se si è rotta qualcosa. Non si è mai rotta un osso, ma crede che il dolore sarebbe molto più forte. Quando Stuart si è rotto un polso mentre pattinava sul laghetto ghiacciato di Newbury Common, urlava come un dannato.
Ma quello era Stuart.
Kylie si alza e si scrolla il dolore di dosso. Il dolore è debolezza che abbandona il corpo, ha detto una volta quel matto di suo zio Pete. Quindi adesso sono molto più forte, pensa, ma non ne è troppo convinta.
Afferra la catena, tira con tutte le sue forze, sente un altro scatto. Questa volta la stufa continua a muoversi lentissimamente. Deve essere questione di momento e di frizione, come le hanno detto alla lezione di fisica. La stufa è enorme, ma il pavimento bagnato è liscio.
È pesante, pesantissima, ma si sta spostando. Un millimetro alla volta ma si sta spostando. Fa un rumore orribile, gratta e stride, ma Kylie spera che non sia così forte da passare oltre i muri dello scantinato.
Rachel tira per altri due minuti, sudando, poi si ferma, sfinita. Si siede sul bordo del materasso e inspira.
Sentendosi a disagio, si gira verso la telecamera, ma è inutile. Non c’è una spia che segnali quando è accesa. Bisogna presumere che lo sia sempre.
Comincia a gattonare verso il boiler finché la catena legata al polso sinistro si tende. Cerca di allungarsi come Mister Fantastic, ma manca ancora un metro alla chiave inglese. Torna dentro il sacco a pelo e fa due conti. Magari stanotte può spostare la stufa di altri trenta centimetri. Probabilmente ci vorrà un’altra notte intera prima di raggiungere la chiave inglese, ma ce la farà.
Si sente sollevata. Ha un piano e sa come realizzarlo. Rischia che la uccidano, ma a non fare niente rischia la stessa cosa.