Capitolo 39
Ci sono un mucchio di scatole impilate nell’ingresso del cottage.
In così poco tempo, io e Johnny abbiamo accumulato tanta di quella roba. Forse è nella natura umana attaccarsi alle cose materiali, lo facciamo per ricordarci che siamo vivi. Eppure ho imparato a cavarmela con meno, a godermi la bellezza dei momenti che vivo. Come il sole che sorge in questa limpida mattina d’inverno; i pipili che svolazzano nella boscaglia; il fragore lontano della sirena da nebbia mentre il traghetto entra nel porto. Ma faccio volentieri a meno della corrente del fiume. Nei miei incubi ingoio ancora l’acqua, cerco ancora di afferrare Mia che mi scivola via.
Ryan Greene l’ha recuperata appena in tempo. Aveva portato con sé i paramedici, e la polizia ha arrestato Eris. Ma è stato Johnny a salvare me. Johnny, il mio angelo custode.
Esce dalla cucina con una scatola di piatti e la posa direttamente nel bagagliaio della sua auto. Torna indietro con passo lungo e sicuro, anche se ha ancora i capelli un po’ arruffati dal sonno. «Quasi pieno», annuncia.
«Per fortuna non resta molto». Prendo una scatola di vestiti, ma lui mi ferma.
«Non devi sollevare pesi», mi ricorda.
«Sto bene». Ma i polmoni mi fanno ancora un po’ male. Il dottore voleva tenermi in osservazione un’altra notte, ma io mi sono rifiutata. Ne avevo abbastanza dei soggiorni in ospedale.
«Ci penso io». Tiene in equilibrio due scatoloni di vestiti, ma li mette giù quando vede arrivare il furgone di Ryan Greene. Il comandante dei vigili del fuoco sembra un taglialegna dilettante con i jeans sdruciti, la camicia a quadri e gli scarponcini.
«Buongiorno», saluta. «Traslocate, quindi?»
«Non vedevo l’ora», rispondo.
«Dove vi trasferite?»
«Abbiamo affittato una casa in un quartiere residenziale», risponde Johnny, stringendo la mano a Ryan.
«Finché non decidiamo cosa fare», aggiungo io.
Ryan annuisce, si guarda le scarpe, poi alza gli occhi verso di me. «Sono appena stato a Sitka Lane, ho parlato con il vostro vicino, Felix Calassis».
«Come sta?»
«La sera dell’incendio ha visto Eris Coghlan che litigava con Todd Severson».
Quella donna è sinonimo di guai. «Pensavo che avesse visto Jessie uscire di nascosto. Invece ha visto Eris».
«Non sono sicuro che sappia cosa ha visto», ribatte Ryan. Prende qualcosa dalla tasca posteriore dei jeans e me lo dà. È un foglio di carta ripiegato, scritto a mano. Ed è la mia scrittura. Sono le mie emozioni più profonde messe nero su bianco. Il dolore del tradimento. Una pagina staccata dal mio diario con cura affinché non me ne accorgessi. La mia grafia rabbiosa, disordinata, riempie il foglio.
«Che cos’è?», chiede Johnny, avvicinandosi.
«Niente». Ripiego in fretta il pezzo di carta e me lo infilo in tasca. Ho il viso in fiamme. Non oso guardare Ryan. Deve aver letto quello che ho scritto. È come se mi avesse vista nuda.
«Che significa niente?», chiede Johnny. «Che cos’è?»
«È una pagina del mio diario», spiego. «Me l’aveva rubata lei. Eris».
Johnny inarca le sopracciglia. «Oh», mormora. Lui e Ryan si scambiano uno sguardo, poi Johnny chiede: «Che c’è scritto?»
«Solo... alcune riflessioni». Prendo coraggio e guardo Ryan. «Dove l’hai trovata?»
«Tra gli effetti personali», risponde. «Ho pensato che la rivolessi».
«Non vi serve come... prova?»
«Abbiamo già tutto quello che ci serve. Quella pagina è tua». Sostiene il mio sguardo.
«È vero. Non posso credere che Eris me l’abbia presa. Mi sento... violentata».
«Non ti biasimo», commenta Ryan.
«Grazie», dico. «Per avermela restituita».
«Figurati. È giusto che la tenga tu».
Ryan guarda verso la casa di Eris. Io e Johnny seguiamo il suo sguardo. Tutta la sua proprietà è stata transennata come scena del crimine. Ci sono due auto della polizia parcheggiate nel vialetto.
Gli investigatori stanno ancora setacciando le stanze. Eris si nascondeva dietro quei vetri a specchio e ci osservava, aspettava il momento giusto per intrufolarsi nel cottage e rubarmi i segreti.
Mentre ero in ospedale, Ryan ha spiegato tutto a Johnny: la folle ossessione di quella donna per lui, le prove di laboratorio che collegavano Eris a Todd Severson e incastravano lui per aver acquistato l’accelerante la sera dell’incendio.
«Per fortuna è sotto custodia», commenta Johnny. Mi prende la mano, le dita calde e rassicuranti.
Ryan gli fa un cenno col capo. «Le telefonate anonime sul suo cellulare. Abbiamo rintracciato il mittente, era lei».
«Pazzesco», dice Johnny.
«Non era la prima volta», aggiunge Ryan. «Ha perseguitato un altro medico qualche anno fa. Prima di dedicarsi a voi. Gli scriveva lettere, bigliettini...».
«Cazzo», impreca Johnny.
«Ha scritto lei il biglietto con lo spicchio d’aglio, quello che diceva del fuoco come preludio di cose migliori», dico io. «Non è vero?».
Ryan annuisce. «Molto probabile». Si riavvia verso il furgone.
Lascio la mano di Johnny e lo seguo. «Che ne sarà di lei?»
«Per prima cosa dovrà affrontare un processo penale. Vi terrò aggiornati». Sale sul furgone, abbassa il finestrino e mi guarda. Abbiamo una strana intimità ormai. Lui sa cosa ho scritto su mio marito, quali terribili e devastanti emozioni ho provato.
Johnny resta in silenzio dietro di me, imperturbabile.
«Avete visto la bambina?», chiede Ryan.
«Ieri», rispondo. «Sta bene». A casa di Harriet, Mia giocava tranquilla con le Barbie, quelle nuove che le avevamo regalato noi. Era pensierosa, non diceva una parola. Ma era viva.
«Ha parecchia strada da fare», osserva Ryan. «Non sarà facile riprendersi, dopo tutto quello che ha passato».
«Grazie per averla salvata», gli dico.
«L’hai salvata tu», mi corregge Ryan. «Ben due volte».
Esce dal vialetto e imbocca la strada, lasciandosi dietro solo una nuvola di gas di scarico.