Capitolo 28
Per mostrarmi il loro sostegno, Orla, Pedra ed Eris mi portarono a pranzo allo Shadow Café. Orla indossava un maglione nero a collo alto e pantaloni di flanella grigi. Pedra una maglietta nera di seta e dei jeans che le stavano troppo stretti, tanto che i bottoni minacciavano di saltare. Sedeva alla mia sinistra, emanando una forte fragranza di gardenia. Eris sedeva accanto a me con una casacca di cotone verde oliva molto minimal, pantaloni neri, e scarpe sportive dello stesso colore. Le tre donne avevano già dimostrato apertamente la loro lealtà, sebbene non avessi ancora deciso se divorziare o meno.
«Sei sicura», mi disse Orla. «Riguardo al trasferimento e tutto».
«È sicura», replicò Eris, con un sorriso. «La casa è perfetta. Hai intenzione di comprarla, vero?»
«Ci sto pensando», dissi. Johnny mi aveva chiamato per sapere come stavo. Voleva tornare al cottage. Dovevo ammettere che lo avevo sognato spesso. Mi mancava.
«Siamo qui per te», disse Pedra, dandomi dei colpetti sul braccio. «Dìos mio. Nessuna persona al mondo dovrebbe affrontare così tanti problemi in una volta sola. L’incendio, e ora questo…».
«Hanno trovato una nuova prova, sai», disse Orla, tagliando una bistecca di salmone.
«Di che?», chiesi.
«Non lo riveleranno a nessuno».
«Se non lo riveleranno, come lo sai?», disse Pedra, e bevve un sorso di tè freddo.
«Non lo sa», disse Eris.
«Lukas è un pompiere volontario», disse Orla. «A Lenny non interessa».
«Non l’hai mai menzionato». Sentii un brivido improvviso. «Che cosa sa?»
«Non sa niente per certo». Orla ci guardò negli occhi a una a una, i suoi ridotti a fessure, e abbassò la voce in un sussurro teatrale, obbligandoci a sporgerci verso di lei. «Il piromane potrebbe aver appiccato il fuoco alla casa sbagliata».
Il coltello mi cadde rumorosamente nel piatto. «Che cosa intendi per la casa sbagliata?».
Eris rise. «Dove l’hai sentito?».
Pedra si raddrizzò, il viso pallido. «Sì, dove?»
«Una fonte fidata», disse Orla. «L’incendio avrebbe dovuto colpire un’altra casa nel nostro quartiere».
Il sangue mi defluì dal viso. «Quale casa?»
«Non ne ho idea», rispose Orla. «Forse la nostra».
Eris si accigliò. «Come ha potuto un piromane fare quel genere di errore?»
«Le nostre case sono tutte pressoché identiche», replicò Orla.
«Oh, non lo so», si intromise Pedra, alzando gli occhi dal piatto. «Ognuna ha una sua personalità».
«Al buio le differenze non si vedono», ribatté Orla. «Sembrano tutte uguali di notte».
«Che prova possono avere?», chiese Eris.
«Suppongo un cellulare», rispose Orla.
Eris arricciò il naso. «Stai solo facendo supposizioni?».
Il mio cuore batteva furibondo contro le costole. Perché Ryan Greene non mi aveva raccontato niente di tutto ciò? Forse quando era venuto al cottage non lo sapeva.
«Mio figlio pensa di averne visto uno in una busta per la raccolta di prove», disse Orla.
«Se lo dici tu, ma il telefono poteva essere appartenuto a Chad o Monique». Eris si condì l’insalata.
«Allora non sarebbe una prova», disse Orla.
«Ma certo che lo sarebbe», insisté Eris. «Solo che chi si occupa dell’indagine non condivide le sue scoperte con dei pompieri volontari».
Orla le lanciò un’occhiata acida.
«Che cosa potrebbe esserci in un cellulare?», chiesi. Mi sentivo instabile.
«Indirizzi, messaggi incriminanti», spiegò Orla. «Era un telefono usa e getta, bada bene. Irrintracciabile».
«Che tipo di messaggi? Che indirizzi?», insistei.
«Forse l’indirizzo esatto della casa da incendiare?»
«Sono solo congetture», disse Eris. Scavò nella sua insalata. «Non hanno trovato alcun telefono. E poi perché stiamo parlando di questa cosa?»
«Molto probabilmente stanno analizzando le prove», disse Orla. «Con la gascromatografia e spettrometria di massa. Ho fatto alcune ricerche su un caso di incendio appiccato per scopi fraudolenti un paio di anni fa. Possono analizzare gli acceleranti trovati sotto i tappeti o le assi del pavimento…».
«Acceleranti?», domandò Pedra.
«Sai, benzina o qualsiasi cosa possa aver innescato l’incendio», spiegò Orla.
Non avevo più fame. Gran parte della mia pasta fredda era rimasta nel piatto. L’odore di fumo sembrava impresso in modo indelebile nel mio naso.
«Ma i piromani di solito non usano degli acceleranti?», disse Eris. «Non buttano in giro la benzina o lanciano una molotov attraverso la finestra?»
«Se lo trovano, il combustibile ha una sorta di impronta digitale, tipo il dna», continuò Orla, gesticolando. «Qualche volta possono rintracciare la pompa di benzina dove è stato comprato, e possono guardare i video e forse scoprire chi ha riempito la tanica di benzina incriminata».
«Wow», esclamò Pedra, scuotendo il capo ammirata. «È incredibile cosa possono fare al giorno d’oggi».
«La vedo dura», disse Eris. «No?»
«Per nulla», replicò Orla. «Hanno metodi forensi sofisticati ora».
Eris aggrottò le sopracciglia, e le sue labbra si piegarono all’ingiù. «Se è vero, sono impressionata. Forse il piromane è lo stesso criminale mentalmente disturbato che ha appiccato altri roghi in giro per la città».
Mi sentii intorpidita. Vedevo offuscato il mio piatto di pasta. Orla aveva ragione? Gli investigatori avevano davvero trovato un telefonino tra le macerie? Il piromane aveva seriamente appiccato il fuoco alla casa sbagliata? Avevo bisogno di parlare con Ryan Greene. Subito.