Capitolo 37

Uscii di corsa dalla stanza, la musica scemò dietro di me mentre mi precipitavo giù per le scale, chiamavo il 911 con il cellulare e urlavo all’operatore che la mia vicina squilibrata aveva rapito Mia Kimball, che doveva mandare subito qualcuno. Lasciai un messaggio a Johnny. «Torna subito. Eris è una pazza. Ha preso Mia. L’ha portata da qualche parte». Poi lasciai un messaggio a Ryan Greene e corsi fuori nel vento, percorsi il vialetto e arrivai in strada chiamando Mia a squarciagola. Dove poteva averla portata Eris?

Al fiume.

All’imbocco del sentiero, il nastro rosa che Mia portava nei capelli pendeva da un ramo, come se Eris lo avesse messo lì di proposito per attirarmi. La pioggia si era fermata per il momento, ma una nuova devastante tempesta autunnale si preparava all’orizzonte. Avevo lasciato Mia con una psicopatica. Come avevo potuto combinare un simile disastro?

Mentre correvo lungo il sentiero fangoso, cominciai a gridare il nome di Mia, ma non ottenni risposta. La pioggia cadde con uno scroscio improvviso, formando piccoli rivoletti sul sentiero e infilandosi nel mio impermeabile. A un tratto avevo le scarpe fradice. Sentivo la mia voce che chiamava Mia e veniva portata via dal vento. Alla fine scorsi Eris con il suo impermeabile giallo, era ferma sulla riva scoscesa del fiume e teneva per mano una persona più piccola, che frignava.

«Mia!», gridai, e corsi verso di loro. «Eris, lasciala andare!».

«Non ti avvicinare», urlò Eris. Trascinò Mia verso il dirupo. Il vento aumentò e sferzò gli alberi. Un ramo sporgente si spezzò e cadde nell’acqua.

«Non ti azzardare a farle del male!», gridai tremando. «Allontanati da lì!».

«Altrimenti? Resta dove sei». Eris si avvicinò ancora di più al burrone. Zolle di terra caddero nel fiume.

«Ridammi Mia».

Mia gridò ed Eris la strattonò, per poco non le lussò la spalla. «Zitta tu, stronzetta».

Mia tacque.

«Lasciala andare», ripetei, sforzandomi di stare calma. «Mia, andrà tutto bene».

«Zia Sarah!».

«Non parlarle», disse Eris.

«Che cosa vuoi?», chiesi.

«Lo sai cosa voglio».

«No, non lo so. Dimmelo».

«Dovevi morire nell’incendio. Così tutto questo non sarebbe stato necessario».

Dovevi morire. Quelle parole mi travolsero con la potenza di un uragano. «Lasciala andare. Mia, va tutto bene. Ci sono io. C’è zia Sarah. Eris, dimmi solo cosa vuoi».

«Quell’idiota non sapeva quello che faceva. Ha incendiato la casa sbagliata, maledizione. Le case sembrano tutte uguali in quel quartiere. Così ho dovuto sistemare tutto io».

«Hai mandato tu Todd ad appiccare il fuoco in casa nostra».

«Quell’uomo era un idiota, un piromane e un drogato. Non capiva quando era il momento di fermarsi».

Todd Severson. Aveva lavorato per Eris fin dal principio, riparava gli scarichi e dava fuoco alle case. «Non coinvolgere Mia», dissi. «Dalla a me». E se la polizia non avesse visto il nastro sul ramo? Se non avesse saputo dove andare? Presi il cellulare.

«Fai una sola telefonata e Mia finisce nel fiume», mi avvertì Eris.

«Mamma!», urlò Mia.

«Zitta», esclamò Eris.

«Lei non c’entra niente», dissi.

«Sono andata da lui, sai?», disse Eris con voce infantile. «Ma lui ancora non se la sente».

«Sei andata da chi? Da Johnny? Quando?»

«Gli avevo dato il tempo che gli serviva. Alla fine era riuscito a sganciarsi da te. Così sono andata da lui. Ma lui non era pronto».

«Che vuoi dire?». Feci un passo avanti e cercai di calcolare la distanza tra me ed Eris. Se mi fossi avventata contro di lei, Eris avrebbe comunque avuto il tempo di gettare Mia nel fiume.

«Stai ferma», mi ammonì Eris. «Ci provi sempre. Vuoi sapere perché non ho fatto io il lavoro? Perché sono buona. Concedo alle persone il beneficio del dubbio. Dopo l’incendio, ho avuto dei ripensamenti. Erano morti due innocenti. Non era quella la mia intenzione. Questa povera bambina ha sofferto. Tutti hanno sofferto. Johnny ha sofferto. Non avrei mai voluto causargli un dolore».

«Gliene causerai uno ancora più grande se fai del male a Mia». Mi battevano i denti. Mia piagnucolava.

«No, non è vero. Lui non la vuole».

«Sì che la vuole».

«Visto che Todd aveva combinato un casino, ho deciso di essere più comprensiva. Ma poi ho capito che forse non aveva commesso un errore così grave, dopotutto. Ho letto il tuo diario, della relazione di Johnny. Monique meritava di morire».

«No, non è vero». Avevo scritto così tante cose su quel diario... Eris aveva letto tutto?

«Ho letto della cotta di Jessie per Chad, che squallore. Pensavo che il suo adorabile fidanzato, Adrian, dovesse saperlo. Non credi?»

«Sei stata tu a dirglielo?»

«Prendo molto sul serio le mie responsabilità».

«Hai una vaga idea di ciò che hai fatto? Avrebbe potuto ammazzarla».

«Oh, alla fine ci sarebbe arrivato anche da solo. Jessie e Adrian, con loro è stato facile. Sei tu il vero scoglio. Ho provato a farti capire che non eri la donna giusta per Johnny. Ma a te non sono bastate tutte le prove che ti ho sbattuto in faccia».

«Quali prove?»

«Theresa. La ricevuta dei fiori».

«Hai messo tu la ricevuta a casa mia». Avanzai ancora, un passetto alla volta.

«Ti ho dato tantissime occasioni. Ti ho mostrato quel piccolo rifugio dello scrittore, era bello e isolato, assolutamente perfetto».

«Hai detto a tutti che io e Johnny stavamo divorziando».

«Non hai comprato il rifugio. Sei un’idiota».

Feci un altro passo avanti. «Parliamone in un posto più caldo e asciutto...».

«Zitta!». Eris si avvicinò con passo malfermo al burrone e scivolò leggermente. Mia urlò. Alcune pietre caddero nel fiume in piena. «Che ottusa. Non ci voleva molto. Eppure tu non sei voluta andare via».

«Ora capisco tutto», dissi. «Tu e Johnny siete fatti l’una per l’altro. Me ne andrò, ma devi darmi Mia».

«Credi che sia stupida? Non hai fatto altro che ripetere quanto ti mancasse. Poi hai scritto tutto quel melodramma sul tuo diario. Hai capito di amare ancora tuo marito. Bla bla bla».

Facevo fatica a vedere la Eris che pensavo di conoscere, l’agente immobiliare sicura e disponibile. La mia amica. «Lasciala venire da me. Ti darò tutto quello che vuoi».

«Non puoi darmi quello che voglio, perché non è tuo. Sei sempre stata fra i piedi, cazzo. Io e Johnny... l’ho capito non appena l’ho conosciuto. Era evidente. L’ultima volta che ci siamo visti abbiamo parlato di tutto. Del mercato immobiliare, di arte, di architettura e anche dei nostri sogni. Tu non sai nemmeno come parlare con lui. Non hai nessun interesse in comune con lui. L’hai abbindolato per farti sposare».

«Il tango si balla in due». Un altro passo e sarei stata abbastanza vicina da afferrare Mia. Eris era praticamente in bilico sull’orlo del dirupo.

«Non capisco. Tu sei un’incapace e una sciattona. Eppure lui pende ancora dalle tue labbra. Lo hai minacciato?»

«Che mi dici di Steve?»

«È il mio avvocato divorzista, idiota».

Il suo cipiglio, i suoi modi bruschi. Adesso avevano senso. «Porterò Mia a casa», affermai. Un fulmine rischiarò il cielo – una linea frastagliata che squarciò le nuvole – e un attimo dopo si udì il fragore del tuono. Mia scoppiò a piangere.

«Zia Sarah. Mamma! Zia mamma!».

Al diavolo Eris. Feci uno scatto in avanti, troppo tardi. Un altro fulmine squarciò il cielo, proprio mentre Eris buttava Mia giù dal dirupo, facendola ruzzolare dalla riva scoscesa.

«Mia! Aggrappati a un ramo. Reggiti!», gridai. Ma Mia continuò a rotolare giù quasi al rallentatore, con le manine cercava di afferrare arbusti e rami sporgenti, ma continuava a scivolare e, non trovando niente a cui appigliarsi, cadde nel fiume.

«Mia!». Corsi di qua e di là lungo la riva, trovai un varco e scesi giù seduta, con le mani che sfregavano contro le rocce appuntite. «Resisti, tesoro, arrivo».

Ma la corrente aveva già catturato Mia e la stava portando via. Guardai su, ma non vidi traccia di Eris in cima al burrone. La riva era troppo ripida in quel punto. Non avevo scelta. Presi fiato e mi tuffai nelle gelide profondità del fiume scuro e impetuoso.