Capitolo 8

Johnny si addormentò subito, ma io rimasi sveglia, il minimo rumore pareva amplificato, il ronzio del termosifone, gli scricchiolii di assestamento del cottage, il respiro profondo di Johnny.

Il vento soffiava tra le fronde, e da qualche parte in lontananza, un gufo reale bubolava. A Monique sarebbe piaciuto moltissimo il gufo. Era stato Felix Calassis a suscitare in lei l’interesse per gli uccelli. Una volta lei ci aveva detto come si diceva gufo in francese. Un gufo reale, con le orecchie pelose era une chouette, mentre il termine generico per indicare il gufo era un hibou. Le sue labbra si erano arricciate in modo provocante mentre pronunciava quelle parole. Tutto in lei trasudava sensualità, anche la sua voce quando canticchiava facendo giardinaggio. Parlez-moi d’amour.“Parlami d’amore”.

Potevo vederla, potevo vedere il modo in cui stava accovacciata sui talloni, asciugandosi la fronte con il dorso della mano, mentre guardava nel vuoto. Sognava spesso a occhi aperti. Che segreti inconfessati si era portata per sempre nella tomba? Che sogni irrealizzati?

Alla fine, mi addormentai e sognai anche la casa di Sitka Lane. Un raggio di luna illuminava gli oggetti famigliari. Eravamo felici e al sicuro. Monique e Chad stavano bene. L’incendio, le morti, era stato tutto un terribile malinteso.

Mi svegliai nell’oscurità e mi ricordai dov’ero, nel cottage di Shadow Bluff Lane. La mia casa non esisteva più. Chad e Monique se n’erano andati per sempre. Perché continuavo a dimenticarlo? Quando me ne resi conto il mio cuore sprofondò in modo devastante.

Un vago odore di fumo mi arrivò al naso. La finestra era aperta, la tenda fluttuava contro la zanzariera. Non di nuovo. Non è possibile che stia succedendo di nuovo. Il mio respiro si fece irregolare, le mani mi si chiusero a pugno. La radiosveglia segnava le 2:00 in grandi numeri blu. Cercai con la mano Johnny ma lui non c’era. Le mie dita scivolarono sulle lenzuola stropicciate, sul cuscino vuoto. Doveva poteva essere a quell’ora?

Mi alzai, indossai la mia nuova vestaglia e le pantofole. Il cottage era pervaso da odori non familiari: muffa e una traccia di profumo stantio. Strane ombre si creavano nella stanza, le forme dei mobili si allungavano, vive.

Forse il fumo proveniva dalla casa di un vicino o dalla foresta. Il battito del mio cuore accelerò. Cominciai a sudare copiosamente. «Johnny!», lo chiamai. Nessuna risposta.

In soggiorno non c’era traccia di lui. Non era da nessuna parte nel cottage. Si era dissolto nell’aria. Sbirciai fuori dalla finestra della cucina, attraverso il giardino leggermente in pendenza, verso la strada. Accanto a casa di Eris, un unico lampione tremolava, proiettando un triangolo di luce flebile.

L’odore di fumo proveniva da qualche punto dall’altra parte della strada.

L’auto di Johnny era ancora nel vialetto. Aveva lasciato il suo cellulare sul comodino, ma la giacca a vento non era appesa al gancio di fianco alla porta, le sue scarpe da corsa non erano sullo zerbino.

Trovai una torcia in un cassetto in cucina, mi infilai una felpa, jeans, calzini e scarpe da ginnastica. Fuori sul portico, nell’aria fredda, puntai il fascio di luce sul giardino anteriore. I grilli frinivano nel sottobosco e potevo udire in lontananza il precipitoso scorrere del fiume. Non c’era traccia di Johnny, e nessuno rispose quando chiamai il suo nome.

Il vento notturno mulinava attorno a me, spingendomi in avanti con le sue dita gelide mentre seguivo il fascio di luce della torcia lungo il vialetto, per la strada, verso la bianca dimora vittoriana. Mentre percorrevo il vialetto di Eris, il raggio della torcia si affievolì. La casa torreggiava davanti a me immersa nel silenzio, le finestre nere e minacciose, l’unica fonte di luce sul portico.

Se Johnny era venuto qui, ci sarebbe stata una luce accesa all’interno della casa. L’odore di fumo proveniva da un punto alle mie spalle ora, perciò feci marcia indietro e tornai sui miei passi.

Forse era andato nei boschi? Era uscito per una corsetta di mezzanotte? Forse si era semplicemente svegliato e non riusciva a riaddormentarsi. Quando ero a metà strada verso il cottage, la batteria della torcia si scaricò, lasciando che a guidarmi fosse solo un raggio di luna. L’odore di fumo viaggiò fino a me nell’aria, terroso e legnoso, diverso dall’odore caustico dell’incendio di casa Kimball. Seguii la curva grigia della strada e, quando arrivai nelle vicinanze del vialetto, un’ombra si mosse sotto il portico.

«Johnny!», chiamai. Picchiettai la torcia, premendo più volte il pulsante di accensione senza successo. «Johnny!», chiamai di nuovo. L’ombra si allontanò dal portico, diretta verso i boschi. Avevo solo immaginato che ci fosse qualcuno? Corsi in cima al vialetto, quasi inciampando nei miei piedi, con il cuore che andava a cento all’ora. Spalancai la porta d’ingresso, accesi la luce del portico con dita tremanti. La luce si diffuse sull’erba. Non c’era nessuno.

«Johnny», chiamai per l’ennesima volta, la mia voce stridula. La casa di Eris rimase immersa nell’oscurità, ma dall’altro lato, una luce si accese illuminando la finestra dei vicini. Credetti di sentire delle voci portate dal vento. Una figura avanzava lungo la strada, proveniente dalla casa con il tetto spiovente. Sarei dovuta rientrare, pensai, e avrei dovuto chiamare il 911, ma proprio allora la figura mi fece un cenno di saluto.

«Sarah!».

Era Johnny.

Era stato a casa dei vicini? Era andato a trovare Theresa?

«Sì!», gridai di rimando. Quasi collassai per il sollievo.

Mentre correva su per il vialetto, entrando nel cono di luce proveniente dal portico, riuscii a vedere che aveva indossato dei jeans e una maglietta sotto la giacca a vento. Il tutto mentre io dormivo. Di solito, avevo il sonno leggero. Riusciva a svegliarmi tirando su con il naso o con un colpetto di tosse. Ma stavolta non aveva fatto rumore o io avevo dormito più profondamente del solito. Forse la commozione cerebrale mi aveva alterato la chimica del cervello.

Incrociai le braccia sul petto, i denti che mi battevano per il freddo.

«Dov’eri? Che sta succedendo? Da dove viene il fumo?»

«Sono andato a indagare», disse, un po’ senza fiato. «Che ci fai sveglia?»

«Mi chiedevo dove fossi. Dov’è l’incendio?»

«Ero a casa dei vicini». Fece i gradini di corsa e mi abbracciò, conducendomi dentro casa. «Il fumo proviene dal caminetto, tutto qui».

«Hai parlato con i vicini?». Il sangue mi rombò fragorosamente nelle orecchie.

«Ho visto il fumo uscire dal comignolo», disse. «Tutto qui».

«A quest’ora?», guardai dalla finestra la luce ancora accesa attraverso gli alberi.

«Devono rimanere alzati fino a tardi». Mentre mi sorpassava, emanò da lui un odore lieve, strano, un vago odore chimico, simile all’acquaragia. E poi scomparve. La luce nella casa dal tetto spiovente si spense, facendo piombare la foresta nell’oscurità.