Capitolo 29
Ryan Greene mi fece accomodare in un ufficio arioso, decorato con targhe di encomio e foto di tre bambini – due maschi e una ragazzina adolescente – nessuna moglie. Notai per la prima volta che non portava alcun anello all’anulare sinistro. Com’era possibile che un uomo così attraente non fosse sposato?
Per molteplici ragioni. Aveva tradito sua moglie, o lei aveva tradito lui, o lui non era emotivamente pronto ad avere una relazione. O non lo era lei. O forse era gay. No, probabilmente no. Tenni a bada la mia immaginazione galoppante e mi concentrai sullo schedario con dei fogli impilati sopra.
«Che cosa posso fare per lei?». Si sedette dietro la sua scrivania. Sembrava appena uscito dalla doccia e sbarbato di fresco.
Mi sedetti di fronte a lui. «Mr Greene…».
«Chiamami Ryan».
«Andrò dritta al punto. C’è in giro una voce riguardo l’indagine».
«Non mi sorprende», disse, appoggiandosi allo schienale della sedia.
«L’incendio doveva esser appiccato a casa nostra? O a un’altra casa nel nostro quartiere?».
Lui non sussultò o sbatté le palpebre, e il suo respiro regolare non mutò.
Appoggiò le mani sulla scrivania. «Che cosa te lo fa credere?»
«È così?». Il tempo rallentò.
«Chi te l’ha riferito?»
«Che importa? È vero o no?»
«L’indagine è in corso», disse, picchiettando le dita sul tavolo.
«Non stai smentendo».
Rimase in silenzio per un attimo, poi disse: «Credi che tuo marito fosse dove ha detto di essere la notte dell’incendio?».
La sua domanda ebbe lo stesso effetto di uno schiaffo in pieno volto. Guardai la foto enorme sul muro, dei suoi figli abbronzati e sorridenti, e la mia mente si svuotò.
«Certo che gli credo. Perché non dovrei?». Ma non ne ero sicura per niente.
Ryan fece spallucce, per nulla turbato dal mio disagio. «Chiedevo soltanto».
«No, non è vero. Tu pensi che lui abbia qualcosa a che fare con l’incendio».
«Stiamo seguendo ogni pista possibile».
«E mio marito è una pista? È per questo che non puoi dirmi che cosa sta succedendo e se avete trovato o meno un cellulare?»
«Un cellulare? Dicono anche questo in giro?»
«Sì, pare che abbiate trovato un cellulare».
«Non posso confermarlo».
«Ma non stai nemmeno negando che potresti avere una prova che il piromane stesse cercando di colpire un’altra casa del quartiere. E dalle domande che mi hai fatto, pensi che mio marito possa essere coinvolto. Sei pazzo?»
«Non è la prima volta che mi definiscono pazzo», mi disse con un sorriso.
«Com’è possibile che qualcuno possa aver scambiato la casa dei Kimball per un’altra? Le case hanno struttura identica, ma hanno personalità distinte…».
«I piromani commettono degli errori. È successo di recente a Chicago, un’altra volta in Galles. In un caso il fuoco era stato appiccato per vendetta, una bomba lanciata da un’auto contro la casa sbagliata. Un’altra volta a Bend, in Oregon. Un ragazzo pensava di star dando fuoco alla casa della sua ex fidanzata, e per sbaglio ha incendiato quella della coppia di anziani accanto. Prendi due case identiche, con rivestimenti di cedro altamente infiammabili e tegole dello stesso materiale... entrambe vanno in fumo. Fai due più due».
«Ho fatto due più e due, e il risultato è: “Un piromane colpisce la casa dei Kimball per qualche motivo”, e l’esito è tragico per noi e per loro». Ma in quel momento mi ricordai una cosa. Una volta, pochissimo tempo dopo che Johnny e io ci eravamo sposati, avevo quasi svoltato nel vialetto dei Kimball una sera tardi, ma all’ultimo mi ero accorta dell’errore. Dopo quell’episodio, Johnny aveva affisso uno specchio riflettente in fondo al nostro vialetto, per distinguere la nostra casa dalle altre. Ma un piromane non l’avrebbe nemmeno saputo. «Perché qualcuno avrebbe voluto fare del male a qualcun altro nel nostro quartiere? Siamo tutte persone perbene. Non abbiamo nemici».
«Felix Calassis non sembra pensarla così».
«Che cosa ha detto?»
«Solo che quella notte c’era qualcuno di pericoloso nella vostra strada. Non sono riuscito a spillargli altro. Secondo te c’è qualcuno di pericoloso?»
«No», risposi, confusa.
«Sei una scrittrice. Non ricevi mai della lettere di qualche fan svitato?»
«Non direi, no».
«Tuo marito? Un impiegato scontento o un paziente?»
«Non che io sappia».
«Come va il tuo matrimonio? Attualmente vivi con tuo marito?».
Un’ondata di rabbia incontrollabile mi salì dentro. «Che cosa c’entra adesso questo?». L’aria si era fatta pesante e opprimente.
«Senti, fare domande fa parte del mio lavoro».
Mi alzai con le gambe tremanti. «Sì, ma hai scelto quelle sbagliate».
Me ne andai in fretta, mi sedetti in macchina, e feci diversi respiri profondi prima di mettere in moto.