Capitolo 39
Mackenzie
Mackenzie, credo tu abbia visite». Liam si è affacciato alla finestra del salotto non appena ha sentito il rumore di un’auto parcheggiare proprio davanti casa. Ha uno strano sorriso sulle labbra. Soddisfatto, ghignante. Mi guarda e ammicca. «Sembra piuttosto incazzato e non porta mazzi di fiori con sé».
«Ma tu non dovevi tornare a casa tua? Perché sei ancora qui?». Lo fulmino con lo sguardo, mentre il cuore comincia a galoppare furioso all’idea di quello che mi attende.
«Dovevo, ma a questo punto resterò per vedere come va a finire».
«Invece io credo che andò via dal retro».
Mia madre si para davanti a me per impedirmi di muovermi. «Ferma lì, signorina. Io non ti ho insegnato a scappare davanti alle difficoltà».
«Ma delle volte è l’unica soluzione possibile, mamma».
«Ho detto ferma». Mia madre mi arpiona il braccio; sento le unghie conficcarsi nella carne.
«Non voglio vederlo. Cosa gli dico?»
«Che sei una cretina, per esempio», rincara mio fratello.
«Liam! Vedi di piantarla anche tu», lo rimprovera mia madre, poi torna con lo sguardo su di me e prosegue: «Digli quello che hai detto a me, che hai avuto paura, che sei stata impulsiva, scusati, lascialo sbraitare se deve, litigate pure. La lite è la strada più breve per il matrimonio, così io non dovrò più mentire alle tue zie». Respira tastandosi le tempie. «Voi ragazzi mi farete morire. Se avessi saputo come stavano le cose prima del matrimonio di Keith, non avrei insistito perché facesse la parte del finto fidanzato oppure sì, lo avrei fatto lo stesso, già».
«Quello che è fatto è fatto. Il resto l’ho incasinato io». Mia madre conosce solo la parte della storia fuori dal letto. Ho accuratamente evitato di raccontarle quello che abbiamo fatto con quel vasetto di cioccolata. Se ci penso arrossisco ancora. Giro intorno a mia madre, ancora occupata a tastarsi le tempie e mi avvio al piano di sopra. «Se volete scusarmi, vado a nascondermi in camera mia. Se proprio devo parlargli, gradirei farlo senza un pubblico».
Jordan
L’ultima volta che mi sono sentito così è stato…
Mai. Ora che ricordo bene, non mi sono mai sentito così. Ho lo stomaco in subbuglio. La testa mi scoppia, il cuore sembra volermi uscire fuori dal petto. Tutto per quella strega capellona che strozzerei volentieri, adesso.
Le dita mi tremano quando suono il campanello. La porta si apre un istante dopo, come se mi stessero aspettando. Il fratello maggiore di Mackenzie, Liam, mi guarda con un sorriso che va da un orecchio all’altro. «Jordan, qual buon vento?». Con un gesto della mano mi invita a entrare. In piedi, in salotto, come due soldati sull’attenti, trovo i genitori di Mac.
«S-Salve, signori Morgan. Perdonate il disturbo, cercavo Mac».
«Mackenzie, sì, lo immaginavamo», dice la signora Morgan con sguardo severo. Ha l’aria così arcigna da farmi paura. Vacillo nelle mie convinzioni per qualche secondo, poi mi riprendo e inspiro.
«Vorrei parlarle, se fosse possibile».
«Sei un ragazzo educato, Jordan e mia figlia è una sprovveduta. Magari tu riesci a farle mettere la testa a posto».
«I-Io?»
«Tu. Perché diavolo sei qui, allora?»
«C-Certo». Nessuno mi ha mai fatto balbettare tanto quanto la signora Morgan. A pensarci bene io non ho mai balbettato in tutta la mia vita.
Liam mi si avvicina, mi dà una pacca sulle spalle. «È al piano di sopra. In camera sua. Seguimi».
Mi scuso con i genitori di Mac e seguo Liam. Una volta davanti alla porta della camera di Mac, Liam si avvicina per sussurrarmi all’orecchio: «Ricorda Jordan, falla soffrire e… coriandoli. Le tue palle diventano coriandoli, capito?».
D’istinto mi porto una mano alla patta dei pantaloni. «Coriandoli, certo».
Liam sorride e mi lascia da solo, impalato davanti alla porta della camera di Mac. E ora?
Mackenzie
E ora? Sento Jordan parlottare con mio fratello dietro la porta. Fra poco busserà e io non potrò più scappare o nascondermi. Dovrò affrontarlo. Forza Mac, prenditi la responsabilità delle tue azioni.
Il suo tocco sulla porta è deciso. Troppo deciso. «È aperto. Entra pure». Faccio la disinvolta, ma quando lo vedo mi sento come se la stanza mi vorticasse intorno. «Ciao, Jordan». Disinvolta.
«Davvero? “Ciao Jordan”?», ribatte lui. Cominciamo male.
«È buona educazione salutare». La disinvoltura comincia a barcollare.
«È buona educazione non sparire in questo modo, Mackenzie. È buona educazione lasciare qualcuno con due parole se proprio quel qualcuno non ti interessa, capito? È buona educazione non illuderlo con messaggi idioti tipo: “Ti chiamo io, okay?” se poi non chiami mai. È buona educazione dare spiegazioni, è buona educazione…».
«Va bene! Ho capito! Smettila!». Prendo fiato perché fino a questo momento sono stata in apnea. «Mi dispiace».
«Ti dispiace? Mi hai lasciato come un imbecille e io a correrti dietro per settimane, sempre più imbecille». Jordan alza la voce. È davvero furioso. Sembra fuori di sé.
«Hai detto a tua madre che con me non facevi sul serio. Lo hai detto! Ti ho sentito. Ti ho lasciato prima che lo facessi tu», urlo anch’io.
«Se proprio dovevi ascoltare la nostra conversazione di nascosto, saresti potuta rimanere fino alla fine, stupida capellona. Allora avresti saputo che a mia madre ho detto: “No, mamma, non faccio sul serio con Mackenzie. Con lei faccio molto più che sul serio. Ne sono innamorato”».
«Oh». Questa confessione mi costringe a sedermi di schianto sul letto. Le gambe hanno iniziato a tremare. La stanza ha smesso di vorticare e ora tutto è fermo, immobile. Forse anche il mio cuore.
«Oh? È tutto quello che hai da dire? Ti confesso che sono innamorato di te e tu dici “Oh”?»
«Sono… solo… sorpresa».
«Davvero, Mackenzie? Sul serio lo sei? Non lo avevi capito che mi stavo innamorando di te? Che mi stavi incantando giorno per giorno?»
«Come diavolo facevo a capirlo? Prima mi dici che siamo troppo diversi, poi mi dici che devi abituarti, poi… poi… Ah, sei impossibile. Non riesco a starti dietro».
«È che con te… con te…». Jordan si prende la testa fra le mani e chiude gli occhi, poi li riapre e li fissa nei miei. «Con te sono senza pelle, Mackenzie. Sono un nervo scoperto. Mi tocchi e impazzisco, mi parli e vado fuori di me, mi baci e perdo la testa. E non… non ho mai voluto nessuna come voglio te, dannazione».
«Jordan?»
«Che c’è?», chiede massaggiandosi le tempie come mia madre poco prima.
«Adesso sono io senza pelle». Mi alzo dal letto e con tutto il coraggio che ho e la consapevolezza che, forse, posso ancora sperare in qualcosa di buono, lo raggiungo e lo abbraccio intorno alla vita. Lo stringo forte, affondo il viso nel suo petto e quasi sussurro: «Mi dispiace. Mi dispiace tanto. Se solo avessimo parlato di più, se solo fossimo stati sinceri fin da subito».
Dopo interminabili secondi in cui non muove un muscolo e mi fa pensare che, dopotutto, la sua rabbia sia più forte dell’amore che prova, finalmente le sue braccia mi circondano le spalle e la sua bocca si posa sulla sommità del mio capo.
«Dispiace anche a me, perché se fossi stato meno idiota, se mi fossi deciso prima, se non avessi detto quelle stupidaggini su quanto siamo diversi, su quanto dovessi abituarmi a te, non saremmo arrivati a questo punto. Ti volevo già allora. Ti volevo. Forse l’amore è arrivato dopo, ma qualcosa era già cominciato fra noi. Lo sapevo anche se lo negavo».
«È un classico, no?». Lui annuisce, finalmente sorride e il mio cuore capitombola come un bambino che inciampa nei lacci delle scarpe.
«Un classico sarebbe anche che lei dica “ti amo”, a lui», mi ricorda Jordan.
«Stavo per farlo, belloccio. Stavo per farlo».
«Certo, sempre che tu lo pensi».
«Esiste un modo per farti stare zitto?»
«No. Non quando devo far valere le mie ragioni».
«Sei l’essere più insopportabile che conosca».
«E tu la ragazza più cocciuta del Vermont».
«Le hai conosciute tutte?»
«Riesci a litigare con me anche dopo che ti ho detto che ti amo?»
«Non hai risposto».
Jordan butta la testa all’indietro mentre mi tiene ancora fra le braccia, sospira e dice: «Sì, le ho conosciute tutte, dalla prima all’ultima. Ogni donna del Vermont, anche la buonanima di Gwendolyn Tantlebaum. Le cose che faceva lei col cioccolato… Da pazzi!».
«Ma sta’ zitto, scemo!». Gli do un colpetto sul petto, però non posso fare a meno di ridere prima che lui mi baci di nuovo. Ancora un capitombolo del cuore. Di questo passo dovrò munirmi di un betabloccante. Mi allontano di qualche centimetro dalla sua bocca così invitante, solo per dirgli: «Promettimi che litigheremo sempre in questo modo. Promettimi che ci saranno sempre queste scintille fra di noi. Promettimelo».
«Litigherò con te ogni volta che vorrai».
«Diventeremo come i miei genitori».
«Non mi pare una brutta cosa».
Le mani di Jordan mi accarezzano la schiena, il suo sorriso sembra illuminare tutta la stanza. Banale e abusata figura retorica, ma giuro che è così. Mi pare davvero che ci sia più luce in questa camera, ora che c’è lui.
«Sto ancora aspettando», riprende Jordan.
«Che cosa?». Gli riservo un piccolo ghigno.
Lui scuote il capo e riduce gli occhi a due fessure. «Mi sto cacciando in un grosso, grosso guaio, vero?»
«Sono disordinata, linguacciuta, testarda come poche, ho i ricci indomabili, vivo la vita come viene. Tu che dici?»
«Dico che sono fottuto».
«Lo hai detto».
Lui mi guarda. Attende. Solleva un po’ la testa. «Ma?»
«Ma ti amo e dovrebbe bastare questo a farti sopportare tutto».
«Basta».
Direi che abbiamo parlato anche troppo, meglio lasciare spazio solo ai baci, alle carezze, ai sospiri che non abbiamo avuto modo di condividere in queste inutili settimane di lontananza.
Ho perso il negozio di Gwendolyn a causa del belloccio che ho davanti e l’ho detestato per questo, ma ho trovato l’amore grazie a lui. Perciò, non tutto il male viene per nuocere e forse… forse la teoria di Helena sulle anime gemelle non è solo fantasia. Comincio a crederci sul serio.