Capitolo 17

Jordan

 

 

 

 

 

 

Non so come sia riuscita a convincermi. So solo che non ci ha messo più di due minuti. Ho detto sì quasi senza pensarci. Ha preso una borsa con pochi effetti personali. Ha infilato il costume da bagno e ci siamo diretti a casa mia, dove ho riempito anch’io una borsa con un cambio di abiti, mentre lei, in cucina, preparava da mangiare per la giornata, compresi i dolci che non ci serviranno affatto. L’ho lasciata fare senza obiettare perché mi piace vederla muoversi tra i fornelli e affondare le mani nel cioccolato. C’è qualcosa di tremendamente affascinante in quello che fa.

Questa volta la musica l’ho scelta io. I Coldplay ci accompagnano per le successive quasi tre ore di viaggio da Pretty Creek fino a Dorset. Mackenzie conosce tutte le loro canzoni. Le ha canticchiate una per una stonando in maniera imbarazzante.

Sto per vivere una giornata che non ho pianificato. Non posso crederci. Non posso credere neanche di aver lasciato il cellulare a casa per non essere disturbato. Partiamo che è quasi mezzogiorno. Mackenzie ha perso tanto di quel tempo in cucina. Durante il viaggio se ne sta spaparanzata sul sedile del passeggero, con la mano fuori dal finestrino ad assaggiare il vento. A volte mi guarda e sorride ed è allora che sento una specie di pizzicore alla pelle e uno strano solletico alla bocca dello stomaco.

Giunti a destinazione devo convenire con lei che questo posto è uno dei più belli che abbia mai visto. «Ci vengo spesso, soprattutto quando ho bisogno di staccare un po’ dal resto del mondo», mi dice, mentre cerca un posto adatto a noi. Tutto intorno è un tripudio di verde, sembra quasi sommergerci. È una delle cave di marmo più frequentate del Vermont, racchiusa fra le Green Mountains. Dirupi altissimi, lisci, che variano dal grigio chiaro al grigio scuro, si tuffano in acque profonde, che riflettono il verde rigoglioso della boscaglia.

Ci sono alcune famiglie sulle rocce più basse. I giovani più temerari si tuffano da altezze spaventose che arrivano oltre i trenta metri.

«Ti va di provare a fare cliff jumping iniziando dal basso per poi arrivare lì?». Indica il dirupo più alto in assoluto. Osservo gli altri buttarsi giù in acqua urlando. Qualcuno prova persino delle acrobazie. «Hai detto che volevi fare un volo? Questo è il posto giusto per volare. Alla fine, non vorrai più andartene».

Ammetto che mi spaventa un po’, ma l’adrenalina comincia a scorrermi già nelle vene, quindi annuisco. «Perché no? Tu lo farai con me?»

«Puoi giurarci, belloccio».

Cominciamo a spogliarci degli abiti. Al contrario di quanto credevo, Mackenzie indossa un bikini. Uno striminzito bikini. Semplice, nero e senza troppi fronzoli. Non riesco a staccarle gli occhi di dosso mentre lancia sull’erba i vestiti e si stiracchia offrendosi al sole.

Credo di essere fottuto.

«Che ne dici? Passiamo subito all’attacco?», chiede avvicinandosi. Troppo.

«Non vedo l’ora», rispondo allontanandomi. Poco. «Un tuffo nell’acqua fredda è quello che mi ci vuole».

Mackenzie solleva un angolo della bocca in un mezzo sorriso. Deve aver capito. Lo fa apposta. È una strega, lo dicevo io. Eppure mi piace che lo faccia. Di certo non è di quelle che fingono di essere delle santarelline prima di svelare la loro natura di femmes fatales. Lei sembra così naturale, senza artifici. Mackenzie è così, quello che le passa per la testa lo fa, senza pensarci troppo. Ha deciso che deve farmi impazzire e ci riesce benissimo.

Decido, perciò, di renderle pan per focaccia. Lentamente mi sfilo la maglietta e rimango a torso nudo davanti a lei. Le giornate in palestra hanno aiutato molto, lo so, perciò mi godo il suo sguardo ammirato che, con mia sorpresa, non nasconde. Mi destabilizza questo suo modo di reagire così diretto. Ho ancora i pantaloni addosso. Ora non so più se toglierli.

«Lo sai che sembri un po’ scemo, lì, in posa come una statua di marmo? Bello, per carità, ma scemo. Avanti, spogliati e facciamo un tuffo. Ormai lo hanno visto tutte che sei figo».

Mi guardo intorno, ma nessuno mi sta guardando. Mackenzie se la ride. Mi sta prendendo in giro, la maledetta. Con lo sguardo le prometto guerra. Anche se ho l’impressione di averla persa in partenza.

Raggiungiamo un punto abbastanza basso da cui tuffarsi. Mackenzie sembra fremere all’idea di finire nell’acqua che di sicuro sarà freddissima. Io un po’ meno, ma non mi farò di certo scappare l’occasione di fare il “belloccio” davanti a lei. Per questo la precedo e senza un minimo di preavviso, mi lancio in acqua. Quando riemergo non la vedo in cima, ma me la ritrovo alle spalle con un: «Buh!».

«Sei una…».

«Non dirlo o potresti pentirtene», mi minaccia, ma il sorriso sulle sue labbra la smentisce. Nuota fino a riva, risale, ma stavolta si dirige verso la parte più alta della cava. Se ne sta ritta in piedi, con i capelli più scuri a causa dell’acqua, incollati alla pelle bianca. Lo sguardo è fiero. Sembra una dea nordica. Quando la raggiungo e la affianco mi afferra la mano e la stringe. «Lo facciamo insieme?».

Annuisco di nuovo senza dire una parola. A volte riesce a farmi dimenticare che so parlare.

Guardiamo giù. La sento fare un profondo respiro. Lo faccio anch’io. La osservo e mi sembra di non avere poi tanto timore di saltare da quassù se c’è lei. Le stringo ancora di più la mano. Sento qualcosa. So che c’è qualcosa. Lei muove un piccolo passo avanti. «Pronto?», mi chiede.

«Sempre».

«Si vola, ora».

Saltiamo subito dopo, sempre tenendoci per mano. Tagliamo l’acqua. Affondiamo nelle sue profondità. Riemergiamo con urli soffocati. «Wow!», esclama Mackenzie, sistemandosi il bikini che sembra essersi spostato nell’impatto con l’acqua. Ha una ciocca di capelli che le va sugli occhi. Allungo una mano per scostargliela e la ritiro subito dopo, quasi imbarazzato.

«È stato… scioccante quel salto, ma bellissimo», le dico.

«Hai visto come si vola?».

Non aspettiamo molto per rifarlo. Circa cinque tuffi dopo, però, ci viene fame. Ci sediamo nel nostro angolino appartato, coperti fin sulle spalle da pesanti teli da bagno. Mackenzie tira fuori da uno zaino le cibarie. Ce n’è per un esercito. Mangiamo in un silenzio inusuale, soprattutto per la lingua lunga che ho accanto. Darei non so cosa per sapere cosa sta pensando. La vedo tremare. «Te l’ho detto che avresti sentito freddo», le dico.

«Non lo hai detto affatto», puntualizza.

«Te lo dico adesso».

«Ho portato la felpa apposta». La indossa e toglie il pezzo sopra del bikini.

«Hai ancora freddo?», le chiedo, notando che non ha smesso di tremare.

«Solo un po’».

«Vuoi che andiamo via?»

«Scherzi? Adesso viene la parte migliore: il tramonto».

È già passato tanto? Le ore sono volate e non me ne sono accorto. «Vieni qui, avvicinati», le dico senza pensarci. La faccio sedere tra le mie gambe, si appoggia contro il mio petto, la circondo con il mio telo da bagno e le strofino le braccia per riscaldarla.

Lei piega la testa all’indietro e mi guarda. «Ci stai provando, Jordan?».

Le sorrido, forse incerto. «Non cerco guai, Mackenzie».

«Ma ci stai provando».

Non è che io ci stia provando. È solo che mi piace fare quello che sto facendo. E va bene, forse ci sto anche provando.

All’improvviso, senza preavviso alcuno, o nessuno che io abbia saputo interpretare, Mackenzie solleva una mano e infila le dita tra la mia barba, accarezzandola. È la fine. È la fine del mio autocontrollo, la fine della consapevolezza di essere un bravo ragazzo. La fine.

La sua bocca è troppo, troppo vicina. Il suo corpo troppo attaccato al mio. I suoi capelli troppo rossi. Le sue mani troppo presenti sul mio viso. Perdo me stesso e mi perdo tra le sue labbra. Mi accoglie con un gemito strozzato e, quando sento la sua lingua accarezzare la mia, è come se fossi di nuovo su quel dirupo, come se mi stessi lanciando di nuovo in acqua, ma non affondo mai, non affondo. Resto in aria e volo.

Un bacio, solo un bacio. Un bacio per volare. Un bacio che si infila nella pelle, tra i capelli, nell’anima. Un bacio di quelli che ti fanno ricordare la prima volta che ne hai dato uno, lo stupore genuino che hai provato, l’arrampicata delle emozioni dallo stomaco al cuore, la meraviglia delle sensazioni simili a quelle provate su un’altalena. Su e giù, su e giù. Un bacio che non assomiglia a nessun altro, perché tutti gli altri li hai già visti, vissuti, sentiti, ma questo… questo no, questo è diverso, nuovo, autentico.

Lo stesso provano le mie mani, che si avventurano sulla sua pelle fino a ora sconosciuta, chiedendo quasi il permesso che, lei, con la mano su una delle mie, mi accorda. Le sfioro un seno sotto la felpa. Sussulta, ma si muove solo per sentire di più il mio tocco. Mi sembra di accarezzare molto più di un seno. Mi sembra di toccarla fin dove non si vede. E mi pare di sentire persino sapore di cioccolato. Sto impazzendo e se sto impazzendo non è un buon segno. Smetto di fare quello che sto facendo e la allontano di qualche centimetro. Le mie mani ora sono nude. La mia bocca anche. È una brutta sensazione. Mai provata. «Mi dispiace, non avrei dovuto… non avrei dovuto».

«No, non scusarti. A me non dispiace affatto. Tu non avresti dovuto, ma io avrei voluto».

Mi scappa quasi da ridere. «Che cosa stiamo facendo, Mac?»

«Ci stavamo baciando, toccando… stavamo facendo quello che volevamo fare da un pezzo».

«Forse avrebbe dovuto rimanere una fantasia».

«Non essere incoerente, Jordan».

«È bastato poco per arrivare a questo punto. Quanto pensi ci servirebbe per infilarci in una storia?»

«Sarebbe così brutto?»

«Sarebbe un guaio». Mi passo una mano fra i capelli. Mi sollevo in piedi lasciandole addosso il telo da bagno nel quale si avvolge. «No, grazie. Ci sono già passato».

«Parli di Katherine?», mi ricorda Mackenzie. «Ma lei non ti voleva, lei aveva Kyle. Non ha funzionato perché era innamorata di un altro».

Sento che potrebbe arrivare qualche sorta di confessione che non sono pronto a conoscere, perciò la interrompo. «Non funzionerebbe, Mac. Siamo incompatibili. Tu vivi la tua vita in modo istintivo. Fai cose fuori dall’ordinario come incatenarti per quello in cui credi, tenti di soffocare chi non ti sta simpatico con cioccolatini al peperoncino, fai cliff jumping per rilassarti. Io non posso permettermelo. Questo, tutto questo, è stato solo un’eccezione che conferma la regola della mia vita: io ho delle responsabilità e sono a capo di un’azienda a cui devo dedicare tutto me stesso. Non posso fare quello che mi pare e con te sarebbe solo fare quello che mi pare. Non posso permettermi di vivere in questo modo».

Mackenzie mi osserva in silenzio. Un silenzio atroce, fino a che non dice: «Hai finito?».

Annuisco a testa bassa e quando lei riprende, mi dà la stoccata della vittoria. «Non è che non puoi permetterti di vivere in questo modo. Non puoi permetterti di vivere e basta. Tu esisti, Jordan, ma vivere è un’altra cosa». Comincia a raccogliere le nostre cose. Le infila negli zaini, mentre io sono incapace di muovermi. «Tranquillo, belloccio, non ti molesterò più. Farò solo quello per cui mi paghi e poi tornerò alla mia vita istintiva. Tornerò a incatenarmi per difendere i miei diritti, continuerò a soffocare chi non mi sta simpatico con cioccolatini al peperoncino e farò cliff jumping fino a che le ossa mi reggeranno, perché io non esisto e basta, io vivo e non mi voglio perdere nessuna delle cose belle che la vita mi offre per stare dietro al nulla. Oh, per la cronaca, io non faccio solo quello che mi pare. Lavoro duro da quando ho memoria, pezzo di imbecille». Mackenzie mi lancia il telo da bagno e indossa i pantaloncini. «Questa giornata è stata produttiva, devo ammetterlo. Ho trovato l’ispirazione. Il cielo mi ha suggerito l’idea. O meglio, tutto l’infinito del cielo». Si avvicina pericolosamente e sotto al naso mi dice: «Questa sarà l’idea che risolleverà le sorti della tua azienda: un cioccolatino a forma di infinito. Due perfette metà che si riconoscono, si cercano, che sono l’una la continuazione dell’altra, in una parabola senza fine. Due sapori differenti ma complementari. Svilupperò la cosa una volta a casa». Mi sbatte addosso la mia borsa. «E grazie del bacio. Ho gradito».

Lo avevo detto no, che avrei perso la guerra?