Capitolo 29
Mackenzie
Quando i miei genitori decidono che è arrivato il momento di venire a trovarmi, è un po’ come se stessero arrivando i Cavalieri dell’Apocalisse. Per l’esattezza, Guerra e Carestia. Mia madre, cattolica praticante, da buona irlandese, comincerà a elencarmi i vantaggi che una vita rispettosa della Parola del Signore porterà nella mia vita. Come se conducessi un’esistenza dissoluta. Sono solita dissentire su molte delle sue idee al riguardo, ma non perché non rispetti la fede, solo ho le mie particolari convinzioni sull’argomento. Così comincerà a rovistare nel mio armadio alla ricerca di capi che potrebbero sconvolgere la vista di un uomo. Quindi via le mie magliette troppo scollate e troppo larghe che scivolano sulle spalle. Via i jeans troppo stretti e soprattutto quelli a vita bassa. E sarà carestia di vestiti da indossare fino a quando non se ne andrà. Un comportamento che mio padre disapprova su tutti i fronti. Ed ecco che si scatena Guerra. La loro.
Dal momento in cui sono nata non hanno fatto altro che urlarsi contro dalla mattina alla sera e ogni volta che gliel’ho fatto notare, hanno sempre risposto: «Ma tesoro, le coppie litigano, è normale. È strano che non lo si faccia. Litigare denota una grande passione».
Davvero?
Posso confermarlo perché per tutto il tempo in cui ho abitato con la mia famiglia, ho avuto la scioccante consapevolezza che, ogni volta che i miei si rintanavano in camera a ore improbabili del giorno e la chiudevano a chiave, stava a significare solo una cosa: ci stavano dando dentro. Di solito accadeva dopo ogni litigio, e considerato che litigavano una volta sì e l’altra pure, è chiaro che non facevano altro che fare l’amore.
Quattro figli non sono venuti fuori dal nulla.
D’altra parte trovo ipocrita che ora mia madre si scandalizzi del fatto che mio fratello abbia messo incinta la sua ragazza, dopo un tale esempio. Sì, il sesso decisamente non è demonizzato a casa mia. Almeno non quello all’interno del sacro vincolo matrimoniale.
Mamma, quando mi vede, mi abbraccia come se fossi un soldato pronto per la guerra. Mi squadra da capo a piedi, poi dice: «Dio del cielo, come sei magra». No, non lo sono. Sto benissimo, ma il punto di vista di mia madre è alterato dal fatto che, appunto, è una madre.
«Mamma, che bello vederti». Le prendo la giacca e la borsa e le deposito con cura sul divano.
«Dovresti avere un appendiabiti, tesoro», mi rimprovera. Lo so, ogni volta mi riprometto di comprarlo, ma puntualmente mi scordo. Helena ci pensa ancora meno di me.
Papà mi bacia sulla fronte e quasi di nascosto dalla mamma, mi sussurra: «Stai benissimo, dolcezza».
Ecco il vero uomo della mia vita.
«La tua amica?», chiede mia madre guardandosi intorno.
«La mia amica aveva un impegno di lavoro a New York», le dico, «e starà via per parecchio tempo. Ha affittato un appartamento per un po’». Helena sta costruendo la sua carriera di avvocato a costo di molti sacrifici. L’ammiro per questo.
«Ecco perché ha declinato l’invito al matrimonio di tuo fratello», riflette mia madre. «Bene, dovremmo venire a prenderti noi oppure mandare uno dei tuoi fratelli».
«No, mamma», rispondo mentre li guido nella minuscola cucina dell’appartamento. Mia madre sembra avere un attacco di claustrofobia ogni volta che ci mette piede. «Verrò con un amico, se non vi dispiace».
«Un amico?». Mia madre socchiude gli occhi. Mi lancia il suo sguardo a raggi X. «Quale amico? Non sapevo avessi un amico».
«Ne ho diversi in effetti, ma non come li intendi tu».
«Vuoi dire che non ci esci insieme?»
«Rose, per favore, non cominciare», la rimprovera mio padre passandosi una mano tra i capelli ormai radi.
Sorrido a mio padre per tranquillizzarlo, mentre servo loro dei cioccolatini appena fatti. «Non ci esco insieme». In teoria. In pratica abbiamo saltato parecchi appuntamenti per finire direttamente sul divano di casa sua, anche se poi, non è successo un bel niente. Insomma, come direbbe qualcuno: siamo passati direttamente dal via. «Siamo solo amici». Sempre in teoria. «Si tratta di Jordan Peterson, te ne ho parlato qualche settimana fa al telefono, ricordi, mamma?»
«Quello che ti ha tolto la cioccolateria? Quello che poi ti ha chiesto di creare il cioccolatino per la sua azienda? Quello?»
«Quello».
«Oh benedetta figlia!», esclama mia madre giungendo le mani sul cuore. «Quell’uomo ti ha circuito. Dille qualcosa, John».
«Come va, piuttosto? Hai detto che l’idea che hai proposto ai pubblicitari è piaciuta, vero?»
«Molto, papà. Pare che abbiano già iniziato a girare lo spot. Presto potrò vederlo in anteprima. Non vedo l’ora».
«Oh!». Mia madre si lascia cadere sul divano. «Dio, i miei poveri nervi!».
«Non farla tanto lunga, Rose. Mackenzie è una ragazza assennata, sa il fatto suo e se ha deciso di collaborare a questa cosa vuol dire che ne vale la pena».
«Ci tengo, sì. Sono parte di qualcosa di importante». “Più importante di quanto immaginassi”, mi dico.
«Va bene, va bene. Se ti fa piacere questo progetto, portalo avanti. Se ti fa piacere venire al matrimonio di tuo fratello con quel disgraziato, vieni pure», cede mia madre continuando a tenersi le mani sul cuore come se fosse preda di un forte attacco di tachicardia.
Chissà cosa succederebbe se le dicessi come stanno davvero le cose. Meglio non rischiare.
«Vorrei poterlo conoscere di persona prima del matrimonio», butta lì mio padre. Fa finta di nulla, ma in realtà è curioso o forse preoccupato quanto mia madre. In fondo sono la sua bambina. «Che ne diresti di venire a cena da noi domani sera? Ci saranno tutti i tuoi fratelli. Ne sarei molto felice, dolcezza», continua.
Non sono mai riuscita a dire di no a una richiesta di mio padre, ma in questo caso devo sapere cosa ne pensa Jordan. Non vorrei che si sentisse in qualche modo a disagio. «Ti chiamo in serata, papà, non appena saprò se Jordan sarà libero domani. Ora che ne dite se finiamo i cioccolatini e prendiamo un tè alla menta? Ci sta benissimo con questi».
Per mia fortuna, annuiscono entrambi. Li tengo occupati con domande sui preparativi del matrimonio e l’argomento Jordan non viene più toccato fino a quando non vanno via, circa un’ora e mezza dopo.
Senza pensarci troppo, chiamo Jordan. Il telefono squilla circa cinque volte prima che mi risponda. Sto per interrompere la telefonata quando sento la sua voce profonda dall’altra parte. «Mackenzie?».
Ho un tuffo al cuore. Uno di quelli che non provavo dai tempi del liceo. Uno di quelli che senti dritto nello stomaco. «Jordan, ciao».
«Ciao», risponde lui. Rimane in silenzio. Imbarazzante questa cosa.
Gonfio le guance e strizzo gli occhi. Li riapro facendo una mezza smorfia al cellulare. «Mackenzie?», sento di nuovo dall’altro capo del telefono. «Ci sei?»
«Certo, certo. Volevo… chiederti una cosa. Oggi sono venuti i miei e gli ho detto che sarei andata al matrimonio di mio fratello insieme a te, se ti va ancora di venirci, ovvio, in caso contrario sentiti libero di declinare. Insomma, mio padre ha espresso il curioso desiderio di conoscerti, anche in virtù del fatto che lavoro per te per quella storia del cioccolatino. Lui pensa che sia una gran cosa. Così ci ha invitato a cena per domani sera ma, ancora una volta, non sentirti obbligato ad accettare, lo capisco se sei impegnato o non ti va di venirci. Ecco, insomma, tutto qui». Mi accorgo di non aver nemmeno respirato mentre parlavo.
«Okay, credo di aver capito tutto, più o meno». Mi sembra di vederlo sorridere dall’altra parte. Arrossisco come un’idiota. «Va bene», prosegue.
«Va bene, cosa?»
«Tutto. Ci vengo. Al matrimonio e alla cena domani sera».
«Davvero?»
«Mackenzie?»
«Sì?»
«Vuoi che ci venga, oppure no?»
«Certo che lo voglio».
«Allora ci sarò».
«Grazie».
«Di cosa?»
«Di venirci».
Dopo una pausa di qualche secondo lo sento sospirare. «Mi fa piacere, Mackenzie. Mi piace… mi piace trascorrere il tempo insieme a te».
Se le parole potessero abbracciare, adesso sarei avvinta tra un insieme e un a te. Jordan, Jordan, come farò a uscire dal guaio in cui mi sono cacciata?
«A che ora passo a prenderti?», mi domanda.
«Alle sei e trenta. Saremo lì per l’ora di cena», rispondo in uno stato di trance. Dio sia lodato per il fatto che Jordan non si trovi qui, adesso.
«A domani, allora».
«A domani».
Chiudo la comunicazione e mi lascio andare contro lo schienale del divano con la testa piena di mille domande e il cuore colmo di un’unica risposta.
Sei innamorata, Mac. Innamorata come un’adolescente scema.