Capitolo 28
Jordan
Mackenzie mi aspetta fuori dalla porta quando arrivo alle sette e cinquantasei. Le otto per lei devono essere già mezza giornata visto che si alza alle cinque per lavorare. Il sole, che si è levato da qualche ora, le illumina i capelli di un rosso acceso, come se li infuocasse. I suoi ricci ribelli si muovono leggermente nella fresca brezza mattutina e la pelle chiara sembra brillare. Questa mattina ha optato per un abbigliamento più sobrio, in previsione dell’incontro con i creativi dell’agenzia pubblicitaria. Indossa dei pantaloni scuri e una maglietta meno appariscente delle solite. Ha lasciato da parte le scarpe da ginnastica e ha indossato le ballerine.
Mi chiedo cos’abbia di speciale. Mi rispondo: tutto.
«Buongiorno, belloccio», mi saluta montando in macchina, dopo aver sistemato sul sedile posteriore diverse borse frigo contenenti, suppongo, i cioccolatini.
«A te, strega», ribatto con un sorriso accennato.
«Quando vuoi, possiamo andare».
Non ci perdiamo in chiacchiere come al solito. Rimetto in moto e un’ora e mezza dopo siamo a Montpelier, nella sede dell’azienda nella capitale. I creativi sono già qui. Ci ha pensato Mark ad accoglierli. Sono nella sala del consiglio, seduti, impomatati, dall’aria poco creativa a dire il vero. Sono quattro uomini e una donna, tutti abbastanza giovani. Dopo le presentazioni, comincio a illustrare il progetto che ho in mente, la verità però è che non ho un bel niente in mente. Ci ho pensato per giorni, ma non è venuto fuori nulla di buono. D’altra parte, sono loro i creativi. Questo è il loro lavoro.
Mackenzie sembra notare la mia difficoltà e mi viene in aiuto. Comincia a tirare fuori i vassoi con i cioccolatini. Ne ha fatti tanti, troppi forse. Ne prende uno in mano, una metà in realtà, e dice al suo pubblico: «Prendete il cioccolatino fondente». Aspetta che lo facciano e infine continua: «Ora prendete il cioccolatino al latte. Bene. Se avete notato uno è l’incastro dell’altro e se li unite, formano il segno di infinito. Perfetto. Bravi così. Ora mangiatelo in un sol boccone». I creativi lo fanno.
«È buonissimo!», esclama la ragazza seduta con i suoi colleghi attorno al tavolo nella sala del consiglio. Mackenzie annuisce come se ne fosse certa. «È davvero buono, accidenti».
«Il sapore persiste anche dopo averlo ingoiato», dice un altro dei creativi.
Mackenzie lo indica con l’indice. «Proprio così. Come il succhia succhia che mai si consuma».
«Willy Wonka?», domanda un altro.
«L’unico e il solo».
«Si è ispirata a quell’idea?», domanda un altro ancora.
«Il maestro è inimitabile, ma ho voluto creare un miscuglio di sapori che potesse, in qualche modo, resistere a lungo».
«Qual è la ricetta?».
«Segreta».
«Ovviamente».
«Come le è venuta l’idea di questo cioccolatino?», chiede la ragazza, «perché proprio: infinito?»
«Mi è venuta guardando tutto l’infinito del cielo in un giorno speciale». Mi guarda e mi sento morire. «In un posto indimenticabile, dove cielo, foreste e acqua si uniscono in un tripudio di colori e odori. Da qui l’idea del miscuglio di sapori e dell’infinito».
«Dov’è questo posto?»
«Qui nel Vermont. Dorset. Cava di marmo».
Mackenzie sembra aver preso in pugno la situazione. La guardo incantato. Anche Mark pende dalle sue labbra.
«So che dopo questo incontro dovrete spremervi le meningi per creare una campagna pubblicitaria vincente, ma se permettete, vorrei illustrarvi la mia idea. Immaginate una coppia che viaggia su strade parallele – preferibilmente su un’auto d’epoca – fiancheggiate da foreste d’acero. Lui con il cioccolatino fondente, lei con quello al latte. Lui il classico bello e dannato, uno che prende la vita così come viene. Lei tutta perfettina e sobria. Si incontrano su un promontorio. Sopra il cielo, sotto l’acqua, tutto intorno le foreste. Le loro mani si uniscono, i cioccolatini si uniscono fino a formare l’infinito. Si staccano, li mangiano, si baciano e il simbolo dell’infinito torna. Campo lungo e stop! Morale della favola? Essere diversi significa essere complementari». Mackenzie pronuncia quest’ultima frase osservandomi a lungo. Ma io sono rapito, completamente rapito da quello che è appena accaduto. E non sembro il solo.
«A che diavolo dobbiamo pensare ancora?», commenta uno dei pubblicitari sollevandosi dalla sedia e avvicinandosi a Mackenzie. «Lei ha risolto già tutto. Ho in mente ogni cosa. Grafica, ambientazione, mi ha dato persino lo slogan. Essere diversi significa essere complementari. Fantastico, fantastico!».
«Essere diversi significa essere complementari», ripete la collega. «Io, te e l’infinito che sa di cioccolato», aggiunge.
«Sublime!», esclama uno degli altri pubblicitari.
Sono ancora in trance quando definiamo i dettagli e le tempistiche della campagna e quando i pubblicitari se ne vanno portandosi dietro tutti i cioccolatini, accompagnati da Mark, mi siedo ancora incredulo. «Come diavolo fai?», chiedo a Mackenzie che saluta i quattro dalla finestra al piano di sopra.
«A fare che?», chiede.
«A incantare tutti in questo modo».
Lei sorride e arriccia il naso. Si avvicina e mi sussurra all’orecchio: «Willy Wonka. Sono il tuo biglietto d’oro, belloccio». Esce dalla stanza, portandosi via il suo profumo, quel misto di cioccolata, vaniglia e non so che altro, lasciandomi preda di sensazioni così totalizzanti che mi fanno quasi tremare sulla sedia.
Non ragiono più. Sono stregato. Stregato. E non voglio che l’incanto si spezzi. Voglio che duri il più a lungo possibile, per sempre magari. Voglio Mackenzie. La voglio solo per me.