Capitolo 27
Mackenzie
Quando l’ultimo cioccolatino è pronto mi piego sul piano in marmo e appoggio la fronte alle braccia. Sono esausta. L’ansia che i cioccolatini venissero male, il poco tempo a mia disposizione e Jordan sotto lo stesso tetto, sono stati come tanti piccoli spilli conficcati nei miei muscoli tesi.
Non ho la forza per stare in piedi e quando sento un paio di mani massaggiarmi le spalle, vorrei solo lasciarmi andare, ma non posso. Mi stiracchio sotto le dita di Jordan e mi volto verso di lui. «Credo che dovrei andare. È meglio così per entrambi», gli dico e leggo la delusione nei suoi occhi. Una piccola soddisfazione che mi porterò a casa stasera, ma che non mi farà certo compagnia sotto le coperte. Mentre lavoravo ho avuto modo di riflettere su diverse cose, prima fra tutte la negazione di Jordan a voler discutere di quello che poco prima stava succedendo fra noi. Di solito, quando un uomo lo fa, significa solo una cosa: prendiamo quello che viene e chi se ne frega del resto.
Per quanto io sia un tipo che, più o meno, adotta questo modus operandi per quasi tutto nella vita, nei rapporti interpersonali non mi basta. Non prendo quello che viene, oppure forse lo faccio, ma poi mi aspetto molto altro, soprattutto se sono… innamorata, maledizione!
«Capisco», sussurra lui, come se mi avesse letto nel pensiero. «Mi dispiace se ti ho messa a disagio».
«No, non dirlo nemmeno per scherzo, l’ho voluto quanto te. È che…». Mi trovo a corto di parole. «È solo che… non credo che vogliamo le stesse cose», concludo.
«Non lo sai cosa voglio», si difende lui.
«Forse, ma so cosa voglio io e so che non mi basta un uomo con cui fare l’amore solo per appagare il suo e il mio istinto. Uno che probabilmente una volta assaggiata la novità, mi cercherebbe solo nei fine settimana».
«Sei ingiusta, ora».
È vero, lo sono. Ma non riesco a fermarmi. Ho perso di nuovo l’occasione per tenere la bocca chiusa. «E sono certa che mi terresti lontana dalla tua famiglia, da tua madre in particolare, per evitare situazioni imbarazzanti. Lei non approverebbe».
«Mia madre non c’entra niente. Stai dicendo frasi a caso, Mackenzie».
«Dimmi, Jordan, sei disposto a stare con me a qualsiasi costo?». Non parla. Resta in silenzio. La peggiore risposta che potesse darmi. «Allora, mi riaccompagni a casa? È piuttosto buio per arrivarci a piedi attraverso la foresta».
«No, aspetta, Mac… dammi tempo, va bene? Devo… abituarmi».
«Abituarti? Abituarti a che cosa esattamente?»
«A questo, a noi, a te».
Scuoto la testa e gli sorrido sospirando, anche un po’ ridacchiando a dire il vero. «Il fatto che tu ti debba abituare la dice lunga. Per certe cose non serve abituarsi, quando lo sai, lo sai e sei pronto dal primo istante».
«Non hai capito, mi sono spiegato male».
«Andiamo, belloccio, è quasi l’alba e fra poche ore dobbiamo incontrare della gente. Voglio essere al massimo della forma. Ne riparleremo, okay?».
Annuisce. È indeciso se parlare ancora o tacere. Alla fine prende la decisione che mi aspetto e rimane a bocca chiusa. Afferra la giacca e la indossa, apre la portafinestra e aspetta che io sia uscita.
In macchina vige il silenzio. Jordan guida senza distogliere neanche per un attimo lo sguardo dalla strada. Io osservo il paesaggio notturno che scorre attraverso il finestrino. Non lo so come siamo arrivati qui. Un attimo prima ci stavamo baciando e l’attimo dopo un muro di silenzio si è alzato fra di noi. Quando si pretende troppo da chi non ha intenzione di soddisfare le tue aspettative, la naturale conseguenza è esattamente questa. Muri, divisioni, barriere, confini invalicabili.
Sotto casa Jordan spegne l’auto. Accende la radio, forse per riempire il silenzio che persiste nell’abitacolo. Si appoggia allo sportello voltandosi a guardarmi con un’insistenza che quasi mi imbarazza.
«Smettila di guardarmi così», gli dico abbassando il mio sguardo, troppo debole per sostenere il suo.
«Così come?»
«Come se fossi un insetto da sezionare».
«Oppure la scoperta del secolo».
Maledetto! Con queste uscite fa vacillare tutte le mie certezze.
«Ci vediamo domani mattina, okay?».
Annuisce. «Passo a prenderti alle otto. Ah», prima che scenda dall’auto, la sua mano si stringe attorno al mio polso. «Mackenzie?»
«Sì?»
«Non credere che sia finita qui».
«Non è nemmeno mai cominciata, Jordan».
«È cominciata eccome. È cominciata con te, folle scatenata, incatenata al mio stabile. Intendo chiudere il discorso, in un modo o nell’altro».
È questo che mi preoccupa: il modo in cui lo chiuderà.