Capitolo 13

Jordan

 

 

 

 

 

 

Mackenzie trova un grembiule anche per lei. Mi osserva e ho quasi paura che mi chieda di aiutarla a infilarlo nei jeans. Ho paura perché credo che lo farei senza dover essere pregato. Grazie al cielo non lo fa e io sono salvo.

Prende tutto quello che serve dal frigo e dalla dispensa. Sistema utensili vari sul piano dove, probabilmente, lavorerà la cioccolata e resta a osservarlo assorta. Socchiude gli occhi, poi getta la testa all’indietro, si infila una mano in tasca, ne estrae un elastico e lega i lunghi capelli in una sorta di cipolla sulla sommità del capo. Socchiude di nuovo gli occhi mantenendo la posizione con la testa all’indietro, respira profondamente, il petto si solleva e io mi passo una mano fra i capelli, incapace di abbassare lo sguardo.

Dio del cielo!

«Hai uno stereo da qualche parte? Infilaci questo e alza il volume. Per creare ho bisogno della musica».

Mi consegna un cd. Miley Cyrus. «Okay», mi limito a dire. In questo momento potrebbe chiedermi quello che vuole, anche di ascoltare una cantante che va di moda fra i ragazzini, credo le direi di sì a qualunque cosa. Allontanarmi mi reca sollievo solo per qualche attimo; quando ritorno in cucina, incapace di starle lontano, la strega rossa sta ballicchiando contro il piano di lavoro, mentre mischia ingredienti, dosa cioccolata fondente e cioccolato al latte, leccandosi le dita.

Sta per venirmi il mal di testa. Questa donna è davvero una strega.

Faccio in tempo a scappare, solo un altro sguardo a quel culetto e poi svanisco. Ma mi incanto un po’ più del dovuto e lei si volta indicandomi di raggiungerla. Il richiamo della sirena. Non posso resistere. È tutta colpa di quel bagno nel lago.

Come un imbecille la raggiungo. Lei mi chiede di sedermi. Tira via il grembiule dai miei pantaloni e mi benda gli occhi. Non so se ridere dalla felicità oppure scappare a gambe levate. Infine, con voce strozzata, mi viene fuori: «Che… che cosa vuoi fare?»

«Niente che tu debba temere, rilassati. Sei il solito manico di scopa».

Il suo gentile insulto un po’ mi aiuta a calmarmi. Poco dopo sento qualcosa sulle labbra. Sono le sue dita? No, è solo un cucchiaino. Reprimo la delusione e assaggio qualcosa di dolce. Cioccolata.

«Buona», le dico leccandomi le labbra. «A che serve?»

«Ho bisogno che tu mi dica quali sapori risaltano di più».

«E per farlo devo restare bendato?».

Tace per qualche secondo. «Devi. Perché escludendo la vista, il gusto si esalta».

Bella cazzata! Sta flirtando. Sta tessendo la sua tela. Sta cercando di incantarmi. Sta’ lontano da questa tipa, Jordan, quelle come lei portano solo guai e tu di guai non ne vuoi, vero? No, io voglio stabilità, controllo.

«Cosa senti?», chiede troppo vicina.

Se solo te lo potessi mostrare. «Cioccolato fondente, forse aroma di arancia, o è mandarino?»

«È arancia, giusto. E ora?». Mi pulisce le labbra con un tovagliolo. Mi fa bere un po’ d’acqua e mi infila di nuovo il cucchiaino in bocca. Stavolta sento un leggero aroma di menta e cioccolato bianco, un connubio strano ma piacevole. Sento anche le sue gambe contro le mie, anzi, tra le mie.

«Mac».

«Sì?».

Vorrei dirle di spostarsi. Vorrei dirle che così rischia di farmi impazzire. Non sono fatto di ghiaccio. E lei è una donna dannatamente attraente con quei capelli, il modo di vestire con quelle magliette di almeno due taglie più grandi, che scivolano sempre dalle spalle. Il fatto che sia un po’ svitata e abbia un caratteraccio dovrebbe essere un deterrente, ma non ora. Lo ammetto: non è mai passata inosservata ai miei occhi quando la vedevo in giro in paese o alla cioccolateria, ma da quando ho a che fare con lei è come se mi stordisse ogni volta.

Devo essere stato condizionato da tutti quei discorsi di Mark sul fatto di portarmela a letto. Alla fine ci ho creduto e mi sono convinto che è quello che voglio davvero.

Sto immaginando tante di quelle cose in questo momento e tutte prevedono un letto, capelli rossi sparsi sul mio cuscino e pelle bianca come il latte sulla quale spalmare cioccolata. Mi viene in mente solo una domanda: «Vuoi fare sesso con me?».

Il cucchiaino scivola via all’improvviso dalla mia bocca sbattendo contro i denti. «Cosa?», sento dire dalla voce di Mackenzie.

«Cosa, cosa?»

«Cosa hai detto?»

«Cosa ho detto?»

«Quello che ho sentito».

«Cosa?», chiedo ancora in un rimpallo che sembra non avere fine, poi strizzo gli occhi sotto la benda e ringrazio il cielo di non poter vedere. «Ho pensato ad alta voce, vero?»

«Oppure io ho imparato a leggere nel pensiero».

Le sue mani sciolgono il nodo della benda e pochi attimi dopo me la ritrovo davanti alla faccia, mentre mi osserva con gli occhi ridotti a fessura. «Tu vuoi fare sesso con me?»

«Scusami… mi… mi dispiace, io non intendevo…». Mi sollevo dalla sedia come se avessi della brace sotto il culo.

«Lo intendevi o non lo intendevi?», mi chiede lei pressandomi.

Non capisco se vuole che le risponda per darle l’occasione di prendermi a schiaffi oppure quella di farsi baciare, come vorrei fare in questo momento. «Insomma… non mi pare che sia una cosa che chiedi spesso in giro, oppure è così?». Forse vuole solo schiaffeggiarmi.

«No, è che… voglio dire, eri tutta moine, santo cielo. Tutta sculettante a tempo di questa musica idiota, mi toccavi, mi infilavi il cucchiaino in bocca con della cioccolata che… be’ sappiamo tutti l’effetto che ha la cioccolata sulla gente e…». Mi sto giustificando e credo di farlo nel modo sbagliato.

«Sculettante?». Comincia dandomi una piccola spinta. «Musica idiota?». Continua a spingermi facendomi arretrare. «E io non ti toccavo. Okay, forse ti toccavo».

«Hai visto? Ho ragione. Mi toccavi». Avanzo verso di lei. Stavolta è Mackenzie a retrocedere. «E poi ti vesti in modo indecente, come puoi pensare che non mi vengano in mente certi pensieri?»

«Un paio di jeans e una maglietta li trovi indecenti?»

«Se i jeans ti fasciano il culo come se fossero tatuati e le magliette sono scollate fino all’ombelico, sì, sono indecenti».

«Maschilista! Ma resta il fatto che vuoi fare sesso con me», annota con una certa soddisfazione. Con la stessa forza di una palla demolitrice. Mi dà sui nervi e così dico la cosa peggiore che si possa dire a una donna: «Non faccio sesso da un bel po’, tu o un’altra non farebbe differenza». Me ne pento una frazione di secondo dopo, ma il suo sguardo gelido mi impedisce di parlare.

«E io non lo farei con te nemmeno se fosse fatto d’oro».

«Cosa?»

«Cretino se non lo hai capito».

Scaraventa il grembiule sul tavolo della cucina, raggiunge il salotto, indossa la giacca, afferra la borsa, apre la portafinestra e monta su una bicicletta.

«Sei venuta in bici?»

«Certo. Non so guidare», dice infastidita. «Appuntalo fra le cose indecenti!», aggiunge prima di pedalare via. La seguo per un po’ chiamandola con insistenza, poi mi sento ridicolo a correrle dietro e mi fermo. Torno in casa sbuffando. Mi lascio andare sul divano con Miley Cyrus che continua a cantare ignara di tutto.

Guai, questa rossa porta solo guai. E io sono un idiota. Che razza di casino!