Capitolo 22

Jordan

 

 

 

 

 

 

Devo essere impazzito. Non mi spiego, altrimenti, perché sono qui, sotto casa di Mackenzie, a guardare verso una delle finestre al piano superiore. Non so nemmeno quale sia la sua camera. Mi sento davvero ridicolo e mi vergogno un po’ del mio atteggiamento.

E mi sento ancora più imbarazzato quando, del tutto inaspettatamente, mi ritrovo Helena e Mark affacciati al finestrino della mia auto dal lato del passeggero.

Ho un sussulto e impreco a bassa voce, mentre Mark, non so per quale motivo, continua a ridacchiare come un idiota. Helena sorride con l’aria sorniona. «Se cerchi Mackenzie non c’è. È uscita con un tipo».

Ecco, questo non lo avevo previsto. «Che… che tipo?», chiedo, solo perché sono curioso.

«Un collega credo. Un pasticcere di Montpelier. È venuto a prenderla circa un’ora fa. Penso siano alla sua pasticceria, voleva mostrargli non so cosa e poi sarebbero usciti a cena. Come si chiama la pasticceria? Aspetta… era la Bottega del dolce, mi pare. Sì, la Bottega del dolce.

«Bene». Se fischietto sembra troppo plateale la mia finta indifferenza?

«Bene».

«Anche noi stiamo per uscire a cena. Vuoi venire?», chiede Mark.

«Per fare il reggimoccolo? No, grazie. Divertitevi voi altri. A casa mi aspetta un’ottima insalata di gamberetti». Non ho neanche l’insalata.

«Che triste fine, cugino. Tu e i gamberetti». Mark scuote la testa, ma continua a ridacchiare. La smette solo quando Helena gli dà di gomito.

Si prendono gioco di me. Sono diventato una specie di barzelletta, ma per questo posso biasimare solo me stesso. Li lascio e mi avvio verso casa, ma un paio di minuti dopo faccio inversione e mi immetto sulla strada che porta a Montpelier.

Mi dico che la mia è solo curiosità, innocente curiosità, quindi digito sul navigatore: “Bottega del dolce”. Vengono fuori via e percorso per raggiungerla. Non ci metto molto ad arrivare. Fortuna vuole che io giunga proprio mentre Mackenzie sale sull’auto del tipo, un ragazzo giovane, dall’aria troppo timida, persino impacciato quando le apre lo sportello per farla salire. Pivello. Non dovrei, ma appena partono sono dietro di loro, a debita distanza.

È la prima volta in vita mia che pedino qualcuno. Torno a vergognarmi, ma non mi fermo. Non lo faccio nemmeno quando entrano in un ristorantino del centro e si accomodano a un tavolo. Posso vederli attraverso la vetrata. Me ne sto sul lato opposto della strada. Da qui Mackenzie non mi scoprirà. D’altra parte è troppo occupata a chiacchierare con il suo amico.

Per tutti i tre quarti d’ora di cena che si concedono, mi chiedo che ci faccio qui e perché sento la bile risalirmi in gola. Infine avverto l’amaro appello della gelosia. Dannazione, avevo dimenticato l’effetto che faceva.

Non li mollo fino a che lui non la riaccompagna a casa, poi, prima che Mac rientri, la vedo tirare fuori il cellulare e digitare qualcosa, forse un messaggio di ringraziamento al tizio. Tipo:

 

Che bella serata, dobbiamo rifarlo presto. Baci, Mac.

 

Invece è il mio cellulare che mi avvisa dell’arrivo di un messaggio. Ho un imbarazzante presentimento. Lo leggo e vorrei darmi un pugno da solo.

 

Puoi anche smetterla di seguirmi, ora. Ti va il bicchierino della staffa? In fondo è come se fossi uscito con me.

 

Scendo dall’auto, ormai colto sul fatto, e la raggiungo. Mi guarda come se volesse rimproverarmi, ma subito dopo sorride. «Fai davvero schifo come stalker. Non è stato il massimo appostarsi di fronte al ristorante, anche se dall’altro lato della strada, ma a tuo favore devo dire che me lo aspettavo».

«Sono così prevedibile?», le chiedo e mi sento davvero una nullità.

«No. Helena mi ha mandato un messaggio dicendomi che probabilmente saresti venuto alla pasticceria. A pensarci bene, sì, sei prevedibile».

«Amo il modo in cui infierisci».

«È una qualità di cui vado molto fiera».

«Mi dispiace», mi scuso.

«Di cosa? È stato divertente, in questo caso. Voglio dire, se fossi stato un vero stalker, per niente, ma non lo sei».

«È stato divertente?»

«Molto».

«Quel bicchierino della staffa?»

«Ho cambiato idea. Muoio di sonno. Sarà per la prossima volta». Mi dà una pacca sulla spalla prima di aggiungere, mentre infila la chiave nella serratura: «Samuel è un vecchio compagno di studi. Mi ha offerto un posto di lavoro nella sua pasticceria. Non appena questa storia del cioccolatino sarà conclusa, credo proprio che accetterò».

«Te ne andrai a Montpelier?», le chiedo sentendo una specie di voragine in fondo al petto.

«Certo. Sarebbe difficile raggiungerlo tutti i giorni in bicicletta da qui».

«Dovresti prendere la patente», le dico tra le cose più stupide che potrei dirle.

Lei sorride, mentre socchiude l’uscio. «E rinunciare all’ebbrezza del vento fra i capelli, o del gelo sulle mani in inverno?»

«No, certo che no».

«Buonanotte, Jordan».

«Buonanotte, Mac». Sembra che non ci sia molto altro da dire, fino a che, prima di attraversare la strada per raggiungere l’auto, Mackenzie mi richiama. Torno da lei in un baleno. «Ci sarebbe un posto che troverei difficile raggiungere in bici. Potrebbero venire a prendermi, ma se… per caso tu volessi… accompagnarmi…», comincia Mac e forse anche lei è imbarazzata stavolta, o forse no.

«Certo, dimmi dove e ti ci porto». Troppo veloce, Jordan.

«Fra qualche settimana mio fratello si sposa. Così, all’improvviso. Ha messo incinta la sua ragazza e hanno deciso di comune accordo di non voler vivere nel peccato, dimenticando tutte le volte che hanno fatto sesso prima di concepire, ovviamente. Mi serve un passaggio e un accompagnatore per la giornata. Ci stai?»

«Tutta la giornata?»

«A partire dalle nove del mattino. Allora, tutta la giornata con me a Montpelier per il matrimonio di mio fratello? Sì… no… forse».

Tutta la giornata con Mackenzie? Questo è il diavolo che mi tenta, maledizione. Non posso. Non posso. «Okay, nessun problema». E il suo sorriso è la moneta con cui pagherò Caronte per il passaggio all’inferno.