Capitolo 30

Jordan

 

 

 

 

 

 

La casa della famiglia di Mackenzie si trova sul lato est di Montpelier, su una stradina poco trafficata, circondata da un giardino abbellito con alberi alti e fiori di ogni genere. È un’abitazione particolare. Lo stile è quello classico vittoriano, gotico, ma con un tocco di originalità. Ammiro il tetto con le tegole di ardesia e le finestre a tre vetrate dalla forma esagonale che si affacciano dalla mansarda. Le pareti sono bianche, mentre il tetto è di un colore simile al grigio scuro. La porta d’ingresso è lucida e rossa, di legno massello.

«Amo la casa dei tuoi», mi sorprendo a dire a Mackenzie quando mi guida su per il portico.

«È l’architetto che è in te che parla?».

Annuisco, continuando a osservare i dettagli del portico. Le colonne finemente intagliate sono molto curate. L’edera scolpita nel legno sembrerebbe vera se non fosse priva del suo colore naturale. «L’architetto che è in me sta già pensando a come fare qualcosa di altrettanto bello».

«Sono certa che ci riusciresti».

Sorrido a Mackenzie grato della sua fiducia e mi chiedo se la merito davvero. «Riesco quasi a immaginarti qui, da bambina. Un cespuglio di capelli ricci e rossi che si rotola nella terra del giardino».

«Non ci sei andato molto lontano».

La porta si apre e non posso risponderle. «Vi ho sentito arrivare», dice una donna che assomiglia in modo impressionante a Mackenzie. Non è più giovanissima, quindi deve essere sua madre. La donna sorride, ma mantiene uno sguardo severo mentre mi osserva.

«Ciao, mamma». Mackenzie la bacia su una guancia e prosegue: «Lui è Jordan Peterson».

«Lo immaginavo». La donna allunga la mano verso la mia e la stringe con forza.

«È un vero piacere conoscerla, signora Morgan. Mi sono permesso di portarle un piccolo presente». Le porgo un mazzo di discretissime gardenie e una bottiglia di vino. «Bello e ammaliatore come il diavolo. Grazie», è il suo simpatico commento. Mackenzie mi aveva avvertito che sua madre non sarebbe stata facile da conquistare. Ma ho tutta l’intenzione di riuscirci. Voglio piacere a ogni costo a questa famiglia, voglio piacere a loro per Mackenzie.

«Mamma!», la rimprovera Mac mentre la donna ci guida in casa.

«Che c’è? Non è forse bello?».

Mac non ha il tempo di rispondere. Un uomo alto, dalla corporatura robusta, di quelli che potrebbero spezzarti in due solo soffiandoti contro, arriva ad abbracciarla. «Dolcezza, sono contento che tu sia venuta». L’uomo, che è di sicuro suo padre, la lascia andare per darmi una poderosa pacca sulle spalle. «Piacere di conoscerti, ragazzo, sei il benvenuto e non preoccuparti per mia moglie, entro sera tornerà nella gabbia, stai tranquillo».

Mackenzie ridacchia. La signora Morgan allunga uno scappellotto sulla nuca del marito. «Stai bene attento a te o ti ritroverai fuori da questa casa in men che non si dica».

Mac si avvicina al mio orecchio e mi sussurra: «Fanno sempre così, non lasciarti impressionare».

La signora Morgan intanto urla a squarciagola tre nomi maschili: Liam, Patrick e Keith. I fratelli di Mackenzie. Un vociare rumoroso si avvicina, passi affrettati, risatine, un paio di parolacce e alla fine, dalle scale laterali che portano al piano di sopra scendono tre ragazzoni alti e muscolosi. Uno ha i capelli dello stesso colore di Mackenzie, gli altri due sono castani. Sono tutti più grandi di Mackenzie, secondo quanto mi ha raccontato lei. Il più grande ha trentadue anni, un paio meno di me, il secondogenito ne ha trenta, il terzo ventotto e poi c’è Mackenzie con i suoi ventisei anni, la più piccola della famiglia.

I tre mi stringono la mano prima di acciuffare la sorella e trascinarla in cucina. Il padre di Mackenzie, John, mi fa cenno di seguirli. «È la perla di questa casa, la piccola Mac. L’unica femmina. I suoi fratelli l’adorano ed è inutile dirti che io sarei capace di uccidere per lei».

Deglutisco a vuoto e accenno un sorriso tirato. Percepisco una vaga minaccia. «Sono certo che sia così», gli dico guardandolo dritto negli occhi. «Mackenzie è capace di farti provare sentimenti straripanti». E io ne sono testimone.

John annuisce e sorride soddisfatto. In cucina Mackenzie e i suoi fratelli stanno dando fondo a una scodella piena di biscotti al cioccolato. Lei me ne allunga uno. Lo mangio un po’ imbarazzato finché uno dei suoi fratelli, Keith, mi passa un boccale di birra. «Grazie, è troppa. Preferisco di no», rifiuto con gentilezza.

«Amico», comincia Keith, «non si rifiuta mai della buona birra, mai, soprattutto in casa di un Morgan».

«Bevi, Jordan, bevi», mi incita Liam, il maggiore dei fratelli, «ma stai lontano da mia sorella. È dopo un paio di questi bicchieri che Keith si è ritrovato a dover organizzare un matrimonio riparatore. Una buona birra e ti scivola via che è una bellezza».

«Sei un coglione!», lo apostrofa Keith.

«Io? Sei tu che ti sposi».

«Mi sposo perché sono pazzo di Josie, non perché è incinta, idiota».

«Keith ha un problema con l’eiaculazione precoce», rincara la dose Patrick.

«Non è vero!», si difende il minore dei fratelli. Volano altri epiteti. Mackenzie, lungi dall’essere imbarazzata, se ne sta lì a guardarli con un sorriso sulle labbra. Lo trova divertente e se devo dire la verità, anch’io.

A un certo punto, mentre gli altri sistemano la sala da pranzo per la cena, compresa Mac, Liam mi prende da parte e mi offre un’altra birra. Stavolta non faccio storie e l’accetto.

«Tu e mia sorella state insieme?», mi chiede a bruciapelo.

«No», mi affretto a rispondere preso in contropiede. «Siamo solo amici».

Liam annuisce ma non sembra convinto. «Sarà».

«È la verità».

«Ci credo, amico, ci credo. Mi chiedevo solo perché la guardi come se fosse un bignè alla crema».

È così che la guardo? Probabile. «Io non… non me ne rendo conto».

«Ehi, tranquillo, non ho nulla in contrario. Mia sorella è abbastanza grande da scegliersi i suoi… amici. Ma falla soffrire e ti riduco le palle alle dimensioni di un coriandolo». Sorride e annuisce prima di allontanarsi con la sua birra. Bevo la mia tutta d’un fiato e decido che conquistare questa famiglia sarà più difficile di quanto immaginassi.

 

È quasi ora di cena. La madre di Mackenzie sbraita con il marito, mentre guarda in continuazione l’orologio e la porta d’ingresso, come se aspettasse qualcuno. Quando il campanello suona, John accoglie una coppia di anziani coniugi, i nonni paterni di Mackenzie.

La donna, sulla settantina, è un tipo molto giovanile, con i capelli biondissimi e il trucco appariscente. L’uomo è la copia sputata del figlio John. April, la nonna di Mac, non appena mi vede esordisce così: «È lui il veicolatore del peccato? Colui che travierà la mia dolce e innocente nipotina?». Non so se ridere o piangere. La donna viene verso di me a braccia aperte, mi afferra per le guance con entrambe le mani e mi bacia sulla fronte. «Bravo, figliolo, bravo. Non vogliamo correre il rischio che Mac si trasformi in una versione più giovane di mia nuora, vero? Il buon Dio non permetterebbe mai che tanto bene e tanta bellezza vengano sprecati, perciò, se Mac è d’accordo, riproducetevi pure e se non vi va, fate solo l’amore come se non ci fosse un domani».

Il marito ride. John scuote il capo. I fratelli di Mac sembrano inneggiare alla nonna. Rose guarda la suocera come se volesse ucciderla mentre comincia a servire a tavola, Mackenzie solleva le spalle in segno di scusa.

Credo di avere bisogno di molto più di due boccali di birra a questo punto.

 

Due ore, diverse pietanze e circa tre bottiglie di vino dopo, mi ritrovo a cantare Oh My Darling Clementine con gli uomini della famiglia Morgan e mi sento fottutamente bene. Niente discorsi d’affari, niente argomenti seri, niente modi compassati, nessuno che mi dica che comportarsi in questo modo non sta bene, solo puro e sano divertimento.

Mi sento bene, per la prima volta dopo anni, mi sento bene. Bene davvero. Di quel bene che senti fino nelle ossa e non importa se hai bevuto così tanto da avere la nausea e le vertigini, perché ti senti vivo come non lo sei mai stato in tutta la vita.

Tutto sembra più chiaro. Quello che voglio, quello che sento, quello che desidero per me. Mackenzie se ne sta appoggiata allo stipite della porta del salotto mentre sorseggia del sidro di mele, sua nonna e sua madre litigano in cucina. Decido che tutto questo è assolutamente meraviglioso. Perfetto. Come Mac, che oggi mi sembra ancora più bella, come i suoi capelli, ancora più ricci per l’umidità che c’è fuori, come i suoi occhi, così verdi da competere con il colore di cui è fatta la natura. Un vuoto alla bocca dello stomaco mi sorprende. Troppa birra o troppa Mackenzie. Benedette entrambe perché mi rendono felice.

È molto tardi quando smettiamo di cantare e di bere e di dire cazzate. Il padre ci invita a restare da loro per la notte. Troppo rischioso mettersi alla guida in questo stato. Gli do ragione. Quando è ora di andare a dormire, Mac mi accompagna in una delle stanze degli ospiti, ma prima che se ne vada, l’afferro per un braccio, la trascino nella stanza, contro il muro, e la bacio. Lei non oppone resistenza e quindi la bacio di più. Le sollevo la maglietta, le slaccio il reggiseno e quando la sfioro mi sento quasi mancare.

«Sarebbe pessimo se approfittassi della situazione?», le dico tracciando una scia di baci sul suo collo.

«A dire il vero, sarei io ad approfittarne: sei tu quello ubriaco».

«Vero». Torno sulla sua bocca, le mordo il labbro inferiore, lei fa lo stesso con il mio.

«Smettila, Jordan. Sei ubriaco fradicio. Non ti reggi in piedi».

«Mi reggo benissimo». Mi allontano da lei e barcollo. Mi lascio andare a una risatina e mi arrendo tornando tra le sue braccia.

«Va’ a letto».

«Vieni con me».

«Neanche per sogno».

«Ti prego».

«Sei sbronzo da far schifo».

«Ti renderò felice».

Mackenzie cerca di trattenere una risata, ma non ce la fa e si mette una mano sulla bocca per non farsi sentire dagli altri. Non sembra funzionare. Da qualche parte si sente giungere la voce di sua madre: «Mackenzie, fila a letto. Ora!».

«Cazzo, tua madre è peggio di una monaca del Medioevo».

«Lasciami andare, diavolo tentatore, devo preservare la mia inesistente virtù».

«Sei una dannata provocatrice».

«E tu sei troppo brillo per sapere cosa stai facendo».

«Non sono mai stato così consapevole delle mie azioni». Le sfioro il viso con una mano, le scosto i capelli dietro un orecchio, respiro il suo profumo e mi sento in paradiso.

«Ne riparliamo, okay?», dice Mackenzie scivolando via dal mio abbraccio.

Annuisco. «Ne ho di cose da dirti».

Rimasto solo, non riesco nemmeno ad arrivare in bagno a fare una doccia. Raggiungo il letto e mi ci butto sopra ancora vestito. Mi addormento con in testa le mille cose da dire a Mac, il suo profumo nel naso e il suo sapore nella bocca. E la sogno. Tutta la notte.