Capitolo 31
Mackenzie
«I tuoi fratelli sono andati via stamattina molto presto», sta dicendo mamma, mentre prepara una borsa con dentro della marmellata fatta in casa, la torta di mele avanzata dalla sera prima – la seconda torta di mele – del pane appena sfornato e del succo d’arancia. «Mi hanno chiesto di salutarti. Mandano i loro saluti anche a te, Jordan». Jordan, in piedi vicino alla porta d’ingresso annuisce con un po’ di imbarazzo mentre mi aspetta. «Spero tu ti sia trovato bene, ragazzo».
«Benissimo, signora Morgan. La cena è stata squisita e la compagnia ancora di più».
«Lo credo bene. Ti sei ubriacato fino alle ossa».
Jordan abbassa lo sguardo sul pavimento. Sono certa di vedere del rossore sulle sue guance. «È stato… Sono mortificato, signora Morgan».
Papà gli si avvicina e gli dà una pacca sulle spalle. Lo prende così alla sprovvista che Jordan barcolla in avanti. Papà ride. «Non ti è ancora passata la sbornia? Devi abituarti se vorrai frequentare questa famiglia».
«Papà!», lo rimprovero. Adesso sono io a sentirmi in imbarazzo. Sono sicura che, se non lo ha ancora fatto, dopo questa esaltante esperienza in compagnia della famiglia Morgan, Jordan scapperà via da me a gambe levate.
Mia madre mi riempie le braccia con il borsone che ha preparato. «Vi aspetto per il matrimonio di Keith. Entrambi». Lancia uno sguardo minaccioso a Jordan e lui annuisce in fretta.
Qualche minuto dopo, in auto, mentre torniamo a Pretty Creek, prendo la parola. «Mi dispiace per la mia famiglia. Sono una manica di pazzi. Scusami per il loro comportamento».
Jordan si affretta a negare con il capo. «Stai scherzando? Li trovo fantastici. Non mi sono mai divertito tanto a una riunione di famiglia. Di certo non succede con la mia».
Resto in silenzio per qualche secondo, riflettendo su ciò che ha appena detto. «Non deve essere facile essere figlio di tua madre», dico infine.
Jordan scuote il capo. «Non è una cattiva madre. È solo molto esigente ed esige quasi sempre cose che servono a salvaguardare le apparenze. Fin da bambino mi ha abituato a comportarmi in un certo modo. Mai un salto in una pozzanghera. Mai le mani sporche. Mai un pianto inutile. Silenzi imposti. Dovevo frequentare solo gente che valeva, secondo il suo personalissimo criterio, studiare quello che sarebbe stato necessario per il bene dell’azienda di famiglia, persino innamorarmi di chi lei riteneva all’altezza di un Peterson. È tanto che non sia diventato un serial killer con tutta questa pressione».
«Deve averla presa molto male quando ti sei innamorato di Katherine».
Jordan si volta a guardarmi con aria rassegnata. «Non è stato facile. Ma ci tenevo davvero a Katherine e imposi le mie convinzioni. Mia madre dovette cedere. La lascio fare solo quando non mi importa. Se mi importa non guardo in faccia a nessuno».
«E allora perché non hai scelto di fare l’architetto come sognavi?», gli chiedo.
«Perché l’azienda non è una cosa che riguarda solo me, riguarda l’intera famiglia e nessuno a parte me era in grado di guidarla. Mio padre non ne ha le capacità, mio zio vive a New York con la sua famiglia».
«Mark?»
«Mark è un validissimo aiuto. Ha il quarantanove per cento delle azioni dell’azienda, ma se gli lasciassi prendere il mio posto, mi sembrerebbe di tradire la volontà del nonno».
«Sono certa che a tuo nonno non importerebbe».
«Sono uno stupido?»
«Un po’ lo sei».
«Ecco perché io e te siamo così diversi».
«Perché? Solo perché vivo cercando di prendere tutto il buono che l’esistenza mi concede? Guarda che la vita, quando ci si mette, di sconti non ne fa. È giusto viverla seguendo le proprie aspirazioni. La felicità a buon mercato non si trova mai. Se la vuoi devi sacrificare qualcosa».
Jordan stavolta non mi guarda. Continua a tenere lo sguardo fisso sulla strada. Non capisco se sia offeso oppure stia riflettendo. «Mi dispiace. Ho perso un’altra volta l’occasione per stare zitta. Non sono affari miei, scusami».
«Invece no», risponde lui. «Hai ragione da vendere. Solo che, forse, mi manca un po’ di coraggio».
Vorrei dirgli che, se solo ci provasse, il coraggio potrebbe trovarlo, perché per inseguire i propri sogni vale la pena di rischiare. In ogni caso. Ma stavolta taccio.
«A ogni modo, volevo scusarmi con te per… per ieri sera. Ero ubriaco e devo aver detto e fatto cose di cui so di dovermi vergognare».
«Non ricordi niente?», gli chiedo.
«Vagamente. Ti ho baciata, questo lo ricordo».
«Non hai fatto niente che io non ti abbia lasciato fare, stai tranquillo».
«Mi dispiace lo stesso».
«Smettila!», sbotto all’improvviso. «Smettila di scusarti per i nostri baci. Li sminuisci».
«Li sto sminuendo?». Scuote il capo con forza e stringe le mani sul volante. «Mi sto scusando perché, solo qualche giorno fa, quando ti ho baciata di nuovo, sei scappata via come se io fossi il diavolo».
«Non sono scappata!».
«Ah no?. “Jordan, non vogliamo le stesse cose”, io lo chiamo scappare».
«Solo perché: “No, Mac, aspetta. Devo solo abituarmi”».
«Smetteremo mai di litigare, noi due?»
«Non credo».
«Avrei dovuto lasciarti legata allo stabile».
«Sarebbe stato meglio per te, certo».
Restiamo in silenzio fino a Pretty Creek. Una volta giunti a casa mia, Jordan spegne l’auto e dice: «Mi dispiace. E stavolta, per favore, accetta le mie scuse e basta».
«Come vuoi, Jordan».
«Passerò a prenderti fra un paio di giorni per il matrimonio di tuo fratello. Alle otto va bene?»
«Va benissimo. Ci vediamo fra un paio di giorni, allora».
Una volta che sono scesa dall’auto, Jordan aspetta che rientri in casa e solo allora lo sento mettere in moto e ripartire. Be’, in fondo non è stato male stare insieme. Abbiamo trascorso una bella giornata con i miei. Finale a parte.