Capitolo 20

Mackenzie

 

 

 

 

 

 

Lo seguo in silenzio fino al suo ufficio e una volta che la porta è stata richiusa alle nostre spalle, posso permettermi di osservarlo meglio. Jordan ha un paio di occhiaie che fanno spavento. Si capisce che non dorme da giorni. Sembra anche imbarazzato e credo di conoscere il motivo del suo impaccio. Si guarda intorno nella stanza come se non la conoscesse, come se non ci venisse tutti i giorni. Si passa una mano fra i capelli. Di solito non ne ha uno fuori posto, invece oggi sembra che non si sia nemmeno pettinato.

Su una sedia, accanto a uno scaffale con degli schedari, ci sono appesi dei vestiti. Sulla scrivania, in un bicchiere, vedo del dentifricio e uno spazzolino da denti.

«Hai dormito in ufficio?», mi viene spontaneo chiedergli.

Lui annuisce, sempre più imbarazzato. «Cercare di far quadrare i conti mi fa perdere la cognizione del tempo», si giustifica.

«Dovresti dormire. Tutti questi sacrifici non faranno di te un eroe».

Jordan resta in silenzio e con un indice indica i cioccolatini sulla scrivania. «Quelli sono per me?».

Annuisco con un cenno del capo e lo osservo prenderne uno e mangiarlo. Chiude gli occhi mentre lo assapora e io mi sciolgo. Letteralmente. Devo sedermi sulla poltrona davanti alla scrivania perché, all’improvviso, mi tremano le ginocchia. «Il paradiso», commenta con un sospiro. «Se è questo il cioccolatino che hai creato siamo a cavallo».

«Questo è quello con il cioccolato fondente. Hai capito la mia idea, vero?», gli chiedo.

«Sì, e la trovo geniale. Funzionerà, me lo sento. Deve funzionare. Ma quando ci hai lavorato? Non sei venuta a… casa mia».

«Pensavo… pensavo ti servisse tempo dopo quello che è successo, così ho usato il laboratorio di un collega a Montpelier».

«Pensavi che servisse tempo a me? A me?»

«In effetti serviva anche a me».

Jordan rimane di nuovo in silenzio. La sua espressione è insondabile, si nota solo la stanchezza nello sguardo. «Mi dispiace per quello che è accaduto. È solo colpa mia».

«Sono stata io a baciarti».

«Avanti, Mackenzie».

«Dico sul serio. Ho fatto la cretina. Ti ho provocato per tutto il tempo perché… be’, è ovvio, mi piaci, ma ora che hai messo in chiaro le cose, il nostro si limiterà a essere un amichevole rapporto di lavoro». Prendo un profondo respiro prima di proseguire. «Insomma, abbiamo cominciato col piede sbagliato. Io prendendoti a pugni, tu minacciando di denunciarmi, ma le cose sono migliorate col tempo e, a dirla tutta, non me lo aspettavo. Dovrei essere grata di questo, perciò non pretenderò altro da te se non la tua amicizia, se vorrai darmela».

Jordan mi guarda come se fossi impazzita e forse è davvero così. Sto dicendo cose che non avevo preventivato di dire, cose che vengono fuori in modo spontaneo, come un fiume in piena impossibile da arginare.

«Non hai nemmeno bisogno di chiederla la mia amicizia, Mac. Ce l’hai». Continua a passarsi una mano fra i capelli. «E ti ringrazio per quello che hai fatto, per quello che hai detto agli operai».

«È stato solo un caso che passassi di qui. Non ti ho trovato a casa. Al telefono non rispondevi».

«Spento», mi dice.

«Lo immaginavo. Quindi ho chiamato Mark per sapere dove fossi finito. Dovevo farti assaggiare i cioccolatini e parlarti della mia idea. Mark mi ha avvisato che eri qui e che gli operai non erano molto contenti, così ho pensato che, se li avessimo coinvolti, si sarebbero sentiti parte del progetto. Non sarebbero più stati solo le braccia dell’azienda».

«Sei stata fantastica con loro. Non so come ringraziarti».

«Fai in modo di produrre bene questo cioccolatino, seguendo le mie indicazioni, lancialo sul mercato europeo, fa’ in modo che i tuoi operai tornino a vivere una vita tranquilla e sarò soddisfatta».

«Idealista come al solito».

«Possiamo… possiamo ridiscutere i termini del mio compenso, se vuoi». Non posso credere a quello che sto per dire.

Jordan mi guarda con uno sguardo fra il terrorizzato e il dubbioso. «Non posso offrirti molto di più, Mac».

«Lo so, è per questo che voglio ridiscuterli. Alla luce di quello che ho appreso, e cioè che sei sull’orlo della bancarotta e che i tuoi operai, la gente di Pretty Creek, rischiano di perdere il posto, non mi sembra giusto prendere soldi che, in fondo, sono davvero troppi per la creazione di un solo cioccolatino. Andava bene quando credevo che fossi uno stronzo senza cuore, ma cavolo, ho scoperto che un cuore ce l’hai. Mi sembrerebbe di rubare del denaro che non mi appartiene. Propongo di percepire solo una minima parte sui diritti d’autore. Soltanto perché in questo modo sento di aver fatto qualcosa di buono».

«Mac».

«Idealista, no? Brutto difetto».

Di punto in bianco, Jordan mi abbraccia. Io ancora seduta, lui ancora in piedi. «Non credo di meritare tanto», mi dice con la voce soffocata dai miei capelli.

«In fondo sono una strega buona», rispondo in preda all’imbarazzo e alla voglia che questo abbraccio non abbia mai fine, anche se è piuttosto scomodo. Alla fine mi tira in piedi, con la forza simile a quella di un’onda che ti risucchia. Continua ad abbracciarmi e mi pare di sentire ogni parte del corpo, dalla punta degli alluci fino alla radice dei capelli, tremare ed elettrificarsi. Eppure deve immaginare l’effetto che mi fa. Lo sa e dovrebbe lasciar perdere, oppure crede che io sia più forte di quanto non sono in realtà.

Sono io ad allontanarmi, con fatica e un po’ di dolore, proprio in fondo al petto, all’altezza del cuore. Avverto come uno strappo.

«Credo sia meglio che torni a casa, ora. Ho… ho la lavatrice che mi aspetta, i panni da stendere».

«Ti accompagno, per favore».

«No. Ho la bicicletta qua fuori».

«Ma sta per piovere».

«Cosa vuoi che sia un po’ di pioggerella?».

«Insisto».

Trattengo il fiato e infine lo lascio andare tutto in una volta. «Jordan, non rendere le cose più difficili, per favore. Mi farò sentire io non appena avrò ultimato la preparazione del cioccolatino. Nel frattempo tu rilassati, stai con i tuoi amici, vivi la tua vita e lascia che io viva la mia».