Capitolo 35
Mackenzie
Lobotomizzata.
Non riesco a spiegarmelo altrimenti.
Il mio cuore mi ha lobotomizzato.
Quello che è successo stanotte ha dello straordinario. Del meraviglioso. Dell’estatico. Tutto insieme. Ma è anche terribile, tremendo, spaventoso, terrificante. Non perché non sia stato bello. Cavolo! È stato più che bello, è stato come accedere al paradiso dal portone centrale, con cori angelici che cantavano per me. Solo che…
Solo che più qualcosa è bello, più infliggerà sofferenza quando finirà. Ecco perché è spaventoso.
Sono pessimista e non è nella mia natura, ma stavolta è diverso. È facile essere fiduciosi nel futuro quando la posta in gioco non è il proprio cuore. Jordan il mio me lo ha strappato via dal petto. Lo ha fatto in modo gentile, con la sua aria da bravo ragazzo, lavoratore assennato, che non ostenta mai la sua posizione. Lo ha fatto con la sua dannatissima barba. I suoi meravigliosi occhi scuri. Questo lucernario da cui posso osservare il cielo annuvolarsi e annunciare così l’arrivo dell’autunno.
Deve essere mattino inoltrato. Jordan è di sotto, perché a letto non c’è. Sorrido imbarazzata quando scorgo sul comodino il barattolo di crema al cioccolato mezzo vuoto. Vorrei fare una doccia, ma non trovo gli asciugami in bagno. Mi rivesto in fretta e scendo per chiedere a Jordan dove posso prenderli, ma sento delle voci. Una è la sua, l’altra è di sua madre.
Mi fermo in cucina. Forse non è il caso che la signora Peterson mi trovi a casa del figlio a quest’ora e da qui posso ascoltarli indisturbata.
«Sei forse impazzito, Jordan? Sparisci senza dire dove vai, ti cerco e non rispondi al telefono e poi, con assoluta indelicatezza, mi vieni a dire che non sono affari miei con chi vai a letto? Sono tua madre, santo cielo!».
«Per questo non sono affari tuoi, mamma. Per favore, lascia perdere, oltre a essere imbarazzante è anche inopportuno».
«Dovevi pensarci prima. La sua bicicletta è ancora qui fuori e quella ragazzaccia nel tuo letto. Se solo osa scendere…».
Ragazzaccia? Stringo i pugni, con la voglia di farne volare uno sulla faccia di Rhonda Peterson.
«Mamma, stai facendo una montagna di un sassolino», sento dire da Jordan.
«Sentitelo! Ora che hai soddisfatto le tue voglie, posso sperare che lasci perdere?», chiede Rhonda con tono severo.
«Lascerò perdere solo quando ne avrò voglia».
Mhm, non lo so se questa risposta mi piace. Presuppone che prima o poi ne avrà voglia.
«Non oso pensare a cosa potrebbe dire Priscilla, se lo scoprisse». Priscilla. La silfide rossa. Educata, precisina, un bijoux di ragazza. «È la donna perfetta, Jordan, lo sai, vero?»
«Lo so, mamma, lo so».
Peeee! Risposta sbagliata!
«Avresti già dovuto chiederle di sposarti. Cosa stai aspettando? Che si stanchi di te?».
Jordan non risponde e anche questo mutismo sembra essere sbagliato, fin troppo. Per poco il cuore non mi esce dal petto.
«Fai sul serio con quella ragazza?», chiede ancora sua madre. Mi tendo tutta, in attesa della sua risposta.
«No, mamma, non faccio sul serio».
«Ho capito, ti vuoi solo divertire. Va bene, ma vedi di darci un taglio il prima possibile».
Basta. Non posso ascoltare di più senza correre il rischio di finire lunga distesa sul pavimento. Mi allontano di soppiatto, torno su in camera e trattengo le lacrime che minacciano di inondarmi il viso. Osservo di nuovo quel dannato barattolo di cioccolata e mi vergogno da morire. Non so cosa fare, adesso. Scappare? No, come potrei giustificarlo senza dover ammettere di aver ascoltato tutto. Fare finta di niente? Sì, mi sembra la soluzione più logica, anche se la più difficile da attuare. Dentro, infatti, mi sento pronta a esplodere. Non ho alternative e di certo, non permetterò al belloccio di fare di me quello che gli pare. Prima che sia lui a decidere di chiudere, lo farò io e lo farò in modo che non se ne accorga nemmeno.
Sono ancora persa nelle mie machiavelliche elucubrazioni quando sento dei passi alle mie spalle. È lui. Rimani calma, Mac, rimani calma.
«Ehi, sei sveglia?».
Mi volto verso di lui con il più dolce dei miei sorrisi, finto quanto un pollo di gomma. «Sì, da poco». Continua a sorridere, Mackenzie, continua a sorridere.
«Scendi a fare colazione, oppure preferisci che te la porti qui?», mi chiede lui, tutto carino.
«A dire il vero, vorrei andare a casa. Ho mille cose da fare e ho già perso troppo tempo». Prima stoccata.
«Oh», è il suo monosillabico commento. «Pensavo che avremmo trascorso insieme la giornata, ma se hai da fare…».
«Ho da fare, sì. Mi dispiace. Sarà per un’altra volta, okay?». Gli passo davanti e gli concedo una carezza su una guancia. Più di questo non riesco a fare. Lui afferra la mia mano e mi guarda con vago sospetto.
«Va tutto bene, Mackenzie? Sei pentita per la notte scorsa?»
«Pentita? Oh cielo, no. Non sono affatto pentita. La notte scorsa è stata… wow… be’, una notte da ricordare. È nella mia top ten, te lo garantisco». Seconda stoccata. No, non ce l’ho una top ten. Non credo di aver fatto nemmeno così tante esperienze, ma quello di stamattina, di sicuro, entra di diritto nei risvegli peggiori che ho avuto nella vita.
«Nella tua top ten?». Jordan aggrotta la fronte. Annuisco con un risolino. «Sono felice di saperlo», commenta con espressione grave. Non gli piace ciò che gli sto dicendo. Bene, è esattamente quello che voglio. Chi di spada ferisce, di spada perisce. «Quindi te ne vai? Posso vederti stasera?».
Neanche morta. «Non credo. Ho un ordine per domani mattina, dovrò lavorare tutta la notte».
«Vieni qui, hai tutta l’attrezzatura che ti serve. Prometto che non ti disturberò».
«No Jordan, davvero. Saresti una distrazione. Facciamo così, ti chiamo io non appena mi libero, d’accordo?».
Jordan si gratta la testa come se non capisse. Deve essere una novità per lui essere quello che non decide. «Come vuoi, Mac».
Gli do un bacio veloce sulle labbra, giusto per non fargli capire che sto davvero scappando e che non ho intenzione di rifarmi viva. Non voglio certo essere quella che gli riscalda il letto fino a quando non si deciderà a chiedere alla silfide rossa di convolare a giuste nozze. Afferro la borsa a tracolla, lo saluto ancora prima di scendere le scale. Lui mi segue e quando monto in bici mi chiama di nuovo. «Mac, aspetta».
«Ho fretta, Jordan. Ti chiamo, va bene?». Non mi volto mentre comincio a pedalare, altrimenti potrebbe vedere le prime, maledette lacrime, che mi solcano il viso. Mi allontano con la consapevolezza che come attrice faccio schifo. Jordan ha capito senza ombra di dubbio che c’è qualcosa che non va, ma non sa cosa. Questo mi dà un certo vantaggio.
Mi sono svegliata pensando di aver varcato le soglie del paradiso. Me ne vado da quel paradiso a calci in culo. Il modo peggiore per mettere fine a una storia mai davvero cominciata.