Capitolo 19
Jordan
Dio, mi passeranno mai queste emicranie? Ammettiamolo: fino a che continuerò a fare questo lavoro, dovrò convivere con il mio cerchio alla testa, devo rassegnarmi. Inoltre, i pensieri ossessivi degli ultimi due giorni non mi aiutano a rilassarmi.
Due giorni. Il tempo che è trascorso dalla gita improvvisata con Mackenzie. Il tempo che è trascorso dall’ultima volta che l’ho vista. Il tempo trascorso a chiedermi quanto posso essere imbecille. Ultimamente credo di aver toccato altissimi livelli di idiozia.
I documenti mi sommergono e avrei solo voglia di dar fuoco a tutto. Mi massaggio le tempie con forza. Forse se spingo abbastanza forte riesco a sciogliere la tensione o a farmi saltare gli occhi fuori dalle orbite.
Ho un sussulto quando sento la voce di mio cugino. «Ehi!», esclama prima di sedersi di fronte alla scrivania, nel mio ufficio.
«Ehi», lo saluto.
«Mi raccomando, non mostrare troppo entusiasmo».
«L’entusiasmo è qualcosa di sconosciuto in questi giorni, scusami, Mark».
Mark allunga i piedi sulla scrivania e incrocia le braccia dietro la testa. «Cosa ti turba, cugino?»
«Siamo in ritardo con il pagamento degli stipendi. Il mio conto in banca è quasi in rosso e non posso nemmeno pagare gli operai di tasca mia. Il consiglio di amministrazione dà forfait: uno degli amministratori si è dimesso in previsione di un’eventuale e non remota bancarotta».
«Lo so». Mark si stiracchia e rimette i piedi sul pavimento. Non sembra affatto preoccupato, benedetto ragazzo. «Gli ho parlato e gli ho detto che quando l’azienda tornerà in attivo e lui si ripresenterà strisciando, lo prenderai a calci in culo».
«Al momento prenderei a calci in culo solo me stesso».
«Che altro c’è?»
«Oltre al disastroso stato in cui versa l’azienda? Niente, ho solo baciato Mackenzie». La butto là, come se non contasse, ma il fatto che poco prima io abbia espresso il desiderio di prendermi a calci, mi smentisce.
«Oh. Interessante. Quando è successo?».
Gli faccio un resoconto dettagliato della gita alla cava di marmo, senza tralasciare nulla. Gli racconto ogni minimo particolare. «Come vedi ho fatto molto più che baciarla».
«E non è una buona notizia?», chiede Mark. Evidentemente per lui lo è.
«Per niente».
«Di cosa hai paura, Jordan? Perché non sono certo di averlo capito».
«Di tutto. Di gestirla male e soprattutto di innamorarmi. Lei è così imprevedibile e io non sono in grado di capirla davvero».
«Secondo me sei già un bel pezzo avanti», mi fa notare Mark con la sua solita delicatezza, non che io abbia bisogno di tatto. «È solo libera», aggiunge.
«Quello che io non sarò mai».
«No, troppa sovrastruttura, già».
«È così che deve essere».
«Lo dici tu. Quindi preferisci mantenere le distanze».
«È molto meglio».
«Perché vuoi sicurezza».
«Esatto. Che male c’è?».
Mark sorride e si passa una mano sul mento, pensieroso. «Niente. Se ti va bene vivere così».
Mio cugino mi lascia mezz’ora dopo, quando uno dei capi reparto mi fa chiamare in laboratorio. Robert Gallagher mi accoglie con una faccia scura che, sono sicuro, non porta buone notizie. Credo di sapere di cosa si tratta quando mi accorgo che ad aspettarmi non c’è solo lui, ma anche il resto dei miei operai. Circa trecento arrabbiatissimi lavoratori, fra uomini e donne.
«Signor Peterson, alla luce degli ultimi eventi, sono costretto a dichiarare lo stato…», comincia Robert. Lo blocco sollevando una mano, la giungo all’altra in una muta preghiera. È esattamente come temevo. Robert tentenna per un attimo, ma non si lascia scoraggiare e prosegue. È disperato quanto me. Ha una famiglia con tre bambini da mantenere e lui è uno di quelli che non prende lo stipendio da tre mesi. «Lo stato di sciopero. Mi dispiace… mi dispiace, ma così non si può andare avanti».
Abbasso la testa, sconfitto. La testa mi scoppia. Annuisco. Capisco. Capisco la loro situazione, so benissimo che non posso chiedergli di avere ancora pazienza, invece è quello che faccio, perché è mio dovere farlo, perché non ho altre possibilità. «Vi chiedo solo sacrificio e pazienza, ancora un po’. Vi prometto che le cose andranno meglio, molto meglio. Ho solo bisogno di tempo e della vostra collaborazione. Senza di voi, senza il vostro prezioso lavoro, l’azienda è inutile».
«Signor Peterson, lei è sempre stato un buon datore di lavoro, ma la crisi non ha giovato all’azienda, né a nessuno di noi. Il sacrificio non dà da mangiare ai nostri figli. Per quanto ancora intende dare fondo alla sua cassa personale per pagare gli stipendi agli operai?»
«Chiederò un nuovo finanziamento in banca», tento ancora.
«La banca può fottersi», commenta uno degli operai. «Quelli sono solo delle sanguisughe». Non posso dargli torto. Templeton mi sta succhiando l’anima. Forse dovrei davvero sposare sua figlia per il bene dell’azienda. Ma solo il pensiero mi fa andare il sangue alla testa, soprattutto dopo quello che è successo con Mackenzie.
Qualcuno alle mie spalle si schiarisce la voce. Un suono familiare, fin troppo. Mi volto e l’oggetto dei miei ultimi pensieri è davanti a me. Solita maglietta slabbrata, soliti jeans, solite scarpe da ginnastica, solita aria da mascalzona. Mackenzie mi affianca e io non riesco a proferire parola.
«Allora», comincia rivolta agli operai, in particolare a Robert Gallagher. «La volete smettere di fare i vigliacchi? Quest’uomo ha tenuto in piedi questa baracca dando fondo a quasi tutti i suoi averi. Vi paga gli stipendi di tasca sua e se per un paio di volte non ci riesce, voi che fate? Abbandonate la nave. Bella merda. Vi potrei capire se fosse un capo che non ha mai avuto cura dei suoi dipendenti, invece lui tiene a ognuno di voi, molto più di quanto tenga a se stesso. O a chiunque altro». Mackenzie allunga lo sguardo verso di me. Ha un’aria sarcastica o forse di rimprovero. «A quest’ora potreste stare a spasso se non fosse per lui. Oppure impiegati in un centro benessere». Mi guarda di nuovo. «Le cose andranno meglio, ve lo garantisco».
«Mackenzie, perdonami», attacca Robert, «la tua parola vale meno di niente in questo caso. Non so per quale motivo tu sia intervenuta e a quale titolo».
«Se la fa col capo», giunge una voce dal fondo. Faccio per parlare, ma Mac mi blocca con una mano sul braccio. Solleva il capo e punta lo sguardo su qualcuno. «Monroe, se vengo lì ti rompo quella proboscide che ti ritrovi al posto del naso. Parlo a titolo di collaboratrice in un progetto che, si spera, darà nuova linfa a questa baracca. Se vi fidate».
«E come?», chiede Robert.
«Ve lo faccio vedere». Mackenzie afferra qualcosa che ha posato sul pavimento. Sembra una borsa frigo. Ne tira fuori un vassoio coperto con un canovaccio. Lo solleva e mostra ai presenti un assortimento di cioccolatini. «Il signor Peterson mi ha chiesto di creare un cioccolatino per il mercato europeo. Lo lanceranno questo inverno, per San Valentino, vero?», mi chiede. Annuisco, troppo intontito per parlare. «Bene. Abbiamo pensato di coinvolgervi in questo progetto. Io e… il signor Peterson, abbiamo pensato che potreste essere voi a scegliere il cioccolatino che farà innamorare mezza Europa. Assaggiate e ditemi i sapori che vi piacciono di più, al resto penserò io».
Il primo ad assaggiare è Robert, un po’ titubante. Il vassoio viaggia fra gli operai. I cioccolatini bastano appena per una ventina di persone, ma sono abbastanza per capire dai loro sguardi soddisfatti che Mac ha fatto un’altra delle sue magie.
«Tranquillo, nel tuo ufficio te ne ho lasciato qualcuno», mi rassicura e, come un bambino impaziente, non vedo l’ora di assaggiarli.
«Sono tutti buonissimi, ma questo… questo con il caramello ha un sapore particolare».
Molti altri annuiscono. «Caramello allo sciroppo d’acero. Una goccia appena, ma sufficiente a esaltarne il sapore». Mackenzie prede un altro cioccolatino e lo mette vicino a quello scelto da Robert formando una specie di fiocco. No, il segno di infinito. Geniale. «Questo cioccolatino è fatto con cioccolato fondente e un ripieno di crema alle nocciole, sempre con una goccia di sciroppo d’acero, mentre l’altro è di cioccolato al latte con caramello. L’ingrediente comune è, come avrete capito, lo sciroppo d’acero. Unione di sapori, un miscuglio vincente, non pensate?».
Robert annuisce, quasi entusiasta. Mackenzie prosegue: «Perfetto. Come il signor Peterson potrà garantirvi, presto comincerete con la produzione del cioccolatino. Niente scioperi, okay?».
Robert annuisce ancora, mentre guarda Mackenzie e si lecca le dita sporche di cioccolata. Strega. Incredibile strega. Questa donna è capace di incantare tutti. Nessuno escluso.
«Robert, ti assicuro che già dal prossimo mese le cose andranno meglio». Finalmente riesco a parlare.
Il capo reparto annuisce. «Lo spero, capo. Lo spero. Non voglio doverla lasciare davvero».
«Non succederà». Gli stringo la mano che mi porge e ci salutiamo con una pacca sulle spalle. Lo sento parlare agli altri operai, cerca di convincerli a tenere duro. Devo tenere duro anch’io, penso, mentre precedo Mackenzie in ufficio.