Capitolo 4
Jordan
Il cinguettio incessante di Helena Matthews e lo straparlare di mio cugino mi avvisano che le mie sgradite ospiti sono qui. Stavano aspettando Mark dietro la porta se hanno fatto così in fretta. Tipico atteggiamento da disperate.
Le accolgo con un sorriso tirato quando il caro cugino le introduce in salotto. Mi alzo dal divano solo perché sono educato. Il rosso acceso del vestito di Helena è quasi accecante e il cinturone nero eccessivamente stretto in vita mi pare che le impedisca di respirare. È tutta in tiro. I capelli biondi sono raccolti in una coda alta, il trucco è leggero, ma dosato in modo sapiente, e i tacchi che porta ai piedi potrebbero essere considerati un’arma impropria in più di uno Stato. A Mark sono sempre piaciute le esagerazioni.
Di contro, Mackenzie Morgan è anonima. Credo si sia impegnata parecchio per poter apparire tale. I jeans sdruciti sono un’abile mossa per sembrare una poveraccia. La maglietta slabbrata, verde militare, cade larga e lascia scoperta una spalla. Le scarpe da ginnastica un tempo, forse, erano bianche. I capelli rossi sono tenuti stretti sulla sommità del capo da una pinza nera.
Mi trafigge con lo sguardo. Le rispondo come merita: con assoluta indifferenza. Con quelle come lei è l’atteggiamento migliore da adottare. «Benvenute, accomodatevi pure», dico cercando di nascondere l’irritazione dietro un tono neutro.
«Wow!», esclama Helena. «Sapevo che vivevi in una magione nel bosco, ma non mi aspettavo questo sfarzo».
«Mio cugino è un esibizionista», commenta Mark con mio disappunto. La mia non è una magione ed è vero che è situata nella mia proprietà boschiva, ma solo perché mi piace la tranquillità e amo la natura.
«Mark esagera», dico per giustificarmi.
«No, non esagera affatto». Mackenzie parla. «Mi aspetto di veder comparire il maggiordomo con gli aperitivi, o forse oggi è il suo giorno libero?». Parla e sarebbe meglio se non lo facesse.
«Nessun maggiordomo, nessun aperitivo e la cena la servirà Mark».
«E Jordan», aggiunge mio cugino. «Avanti ragazze, accomodiamoci in sala da pranzo. Fate come se foste a casa vostra».
«Oppure a casa mia», dico con una smorfia infastidita.
Mentre Helena e Mark raggiungono la sala da pranzo a braccetto, Mackenzie mi si affianca. Ho l’impulso di scappare, ma sono un uomo dannazione, non un poppante.
«Sappi che avrei preferito farmi mangiare un pezzo alla volta da un alligatore piuttosto che venire a cena qui», mi dice allungando il volto verso il mio.
«Disgustoso. Ma ti do ragione. Lo stesso vale per me».
«Lo faccio per Helena, perché pare si sia messa in testa che Mark sia l’uomo della sua vita».
Sorrido con ironia. «Helena non è fatta per Mark».
Mackenzie annuisce. Mi sta dando ragione? «Certo, se tuo cugino è idiota solo la metà di quanto lo sei tu, non è fatta di sicuro per lui», e li raggiunge con passi affrettati.
«Strega», sussurro fra me e me.
Quando siamo da soli in cucina, Mark mi prende da parte e prima di riempire i piatti con la pastasciutta che lui stesso ha preparato, dice: «Non è fantastica?»
«Non penso proprio. Continuo a pensare che sia pazza e si è vestita da pezzente solo per impietosirmi».
«Da pezzente?».
«Da pezzente, certo».
«Ah, tu parli di Mackenzie. Io mi riferivo a Helena».
«Già, avrei dovuto intuirlo. Se ti piace il genere pugno in un occhio».
Mark sorride, mi dà una pacca su una spalla e dice: «Sei piuttosto attento alla pazza, eh?»
«Studio il nemico, razza di idiota. Non pensare nemmeno per un attimo che…».
«Lo stai pensando tu». Il bastardo ride, mentre si dirige in sala da pranzo con le pietanze.
È una cena tranquilla, dopotutto. Basta non raccogliere le provocazioni delle megera rossa e schivare con abilità le sue frecciatine. Continua a parlarmi dell’utilità della cioccolateria, di quanto sia essenziale per gli abitanti di Pretty Creek, mentre io insisto nell’affermare che una beauty farm porterà una ventata di novità e attirerà molti turisti da fuori.
«Le beauty farm non attirano turisti!», quasi urla. La lascio calmare mentre sorseggio dell’acqua. Devo calmarmi anch’io, oppure la strozzerò. «Le beauty farm servono a quelli come te che ci vanno per farsi massaggiare l’ego».
Nessuno parla. Helena, con una mano appoggiata sul mento, appare poco convinta. Credo che ne approfitterò. «Helena, pensi che sia vero?».
Sussulta. Come pensavo. «Credo che Mac intenda dire che una beauty farm non è davvero necessaria».
Ma davvero? Non ci ero arrivato. «Invece una cioccolateria sì».
«Se consideriamo che esiste da anni e che i cittadini di Pretty Creek le sono affezionati… be’… sì, lo è». Questo è l’avvocato che parla.
«Jordan ha le sue buone ragioni per voler aprire la beauty farm», mi viene in soccorso Mark.
«Potresti aprire la cioccolateria da un’altra parte», propongo.
«Dove? Non esiste un locale perfetto come quello». Mackenzie ha un tono arrendevole ora. Un po’ mi dispiace. Scherzavo, non mi dispiace per niente, anzi, ci godo.
«Nella periferia est so che se ne affitta uno. Puoi usare tutta l’attrezzatura della signora Tantlebaum. Io non me ne faccio niente».
«Nella periferia est? Stai scherzando?».
In effetti la periferia est è quella dove è situata la zona delle aziende agricole e delle fabbriche di legname. Mi gratto il mento, ghigno e faccio spallucce.
«Il karma… il karma ti punirà», profetizza la strega.
«La cioccolateria chiuderà. Punto. Fattene una ragione. Mark, il dolce». Mio cugino si alza da tavola. Mackenzie mette il muso, Helena se ne sta zitta. Quando Mark torna nessuno ancora parla.
«Pan di spagna con panna». Lo appoggia al centro della tavola e comincia a tagliarlo a fette prima di servirlo. Mackenzie non lo guarda nemmeno. «Pan di spagna con panna? Davvero? Questo è il massimo che avete saputo fare?».
La guardo stranito. «Ho preso la prima cosa che mi è capitata a tiro al supermercato».
Helena scuote il capo. «Il dolce è la somma di tutte le emozioni buone che il cibo è in grado di scatenare. Per essere felice devi fare l’amore o mangiare cioccolata». Rimaniamo tutti in silenzio, Mark sospira. L’ultima massima mi piace parecchio, anche se alla cioccolata preferisco di sicuro l’amore. Magari se c’è la cioccolata di mezzo è ancora meglio. «Che c’è?», continua Helena. «Ho citato Mackenzie. Sono idee sue».
Però…
«C’è della cioccolata in questa casa? E dello zucchero?». Mackenzie si alza in piedi.
«Credo di avere tutto, certo. In cucina». Non oso contraddirla.
«Accompagnami». Afferra la torta e la porta con sé. In cucina la appoggia sull’isola con il piano in marmo. «Ora vattene. Se avrò bisogno di te, ti chiamerò, Peterson».
«Ma che…».
«Mollami, okay? Almeno questo me lo devi. Voglio solo preparare un dolce come Dio comanda, non darò fuoco alla casa, anche se ammetto che il pensiero mi ha sfiorato la mente».
Alzo le mani e mi arrendo. Torno in salotto, ma trovo Helena e Mark in atteggiamenti intimi. Lui arriccia i capelli di lei fra le dita e lei sorride come una gattina in calore. Sono imbarazzanti, così decido di rischiare e torno dal nemico.
«Starò zitto», le dico non appena mi fulmina con lo sguardo. «Non posso stare in sala con quei due e comunque questa è casa mia, sto dove mi pare, chiaro?».
Per tutta risposta sbuffa e dice: «Come ti pare».
Mi siedo abbastanza lontano e la osservo mentre lavora. Ha una manualità veloce, decisa e capace. In un attimo taglia a pezzi un paio di tavolette di cioccolato fondente. Lo infila nel microonde. Nel frattempo spoglia il pan di spagna della panna montata, lo sbriciola e lo mette da parte. Afferra lo zucchero, lo mette in un pentolino sul fuoco, ci aggiunge una goccia di miele che ha trovato sulla credenza. In pochi minuti il cioccolato è pronto. Lo distribuisce sul piano in marmo servendosi di una spatola. Scova strumenti che non sapevo nemmeno di avere. È mia madre a essersi occupata degli utensili da cucina e Mackenzie, ora, ha uno sguardo meno assassino del solito.
Trova una teglia, la ricopre con la carta da forno, ci spalma sopra il cioccolato temperato e lo lascia indurire. Aggiunge alla panna delle nocciole intere scovate in un barattolo e infine unisce il pan di spagna sbriciolato. Apre il frigo, afferra il cartone del succo d’arancia e ne versa poche gocce nell’impasto. Infine aggiunge anche il miele a filo. Impasta ancora e lo riversa sul blocco di cioccolato ormai indurito. Spalma per bene, fino a ricoprirlo tutto. Prende alcuni tocchetti di cioccolato che aveva lasciato da parte e scioglie anche quelli, infine ricopre l’impasto e lo livella con la spatola. Aspetta il tempo necessario perché si indurisca. Nel mentre controlla lo zucchero che è diventato ormai caramello. Lo raccoglie con un cucchiaio e fa degli strani disegni sul cioccolato.
«È pronto», annuncia. «Avverti i piccioncini che il dolce, un vero dolce, sta per essere servito».
Mi alzo e torno in sala da pranzo, poco dopo ci raggiunge con dei cubetti di cioccolata perfettamente tagliati e disposti in modo ordinato su un vassoio d’argento.
Ne assaggio uno e devo ammettere che è eccezionale. Davvero, davvero eccezionale. Un’apoteosi di sapori che colpisce il palato come una bomba. Mi ritrovo a chiudere gli occhi senza accorgermene. Com’era quella frase? O fai l’amore o mangi cioccolata? Be’, questo ci si avvicina parecchio all’amore. Quando li riapro, la strega mi sta guardando con una certa soddisfazione. Incrocia le braccia sul petto e ammicca. «Non male». Non le do soddisfazione, ma ha intuito benissimo che mi piace. Il cioccolato.
«Non male?», si intromette Mark. «Questo è un dono di Dio. È straordinario!».
Che esagerato.
«Che ne dici se serviamo questi domani, alla festa di compleanno di tua madre?».
Sto per strozzarmi con l’ennesimo pezzo di cioccolata. «Cosa?».
«Mackenzie, saresti disposta a farne altri per una festa qui, domani? Sarai pagata profumatamente. I nostri amici snob impazziranno per i tuoi cioccolatini e te ne ordineranno a vagonate, credimi. Diventerai trendy. Naturalmente parteciperai alla festa in qualità di invitata e anche tu, Helena. Lo sottintendevo». Sorride come un beota guardando la sua biondina.
«Ma certo», risponde Helena.
«Non se ne parla!», esclama Mackenzie. Finalmente qualcuno che ragiona.
«Cinquecento dollari se lo farai. Ti pago di tasca mia se Jordan fa il tirchio».
«Ne possiamo parlare».
«Sei forse impazzito?», chiedo a Mark una volta che siamo da soli.
«No, no, pensaci Jordan. Quella ragazza potrebbe essere la tua gallina dalle uova d’oro. Non volevamo conquistare il mercato europeo? Bene: Mackenzie Morgan e la sua cioccolata sono la risposta. Non aveva niente, niente, e ha fatto un cioccolatino che era la fine del mondo. Domani la testeremo sugli invitati e se apprezzeranno come credo succederà, le chiederemo di creare un cioccolatino che abbia come ingrediente il nostro sciroppo d’acero».
«No. No e poi no».
«Devi darmi retta».
«Perché?»
«Perché possiedo il quarantanove per cento dell’azienda del nonno».
«Te lo ricordi solo in questi casi, vero?».
«Me lo ricordo sempre, solo che te lo rammento poche volte».
«Una possibilità. Solo una. Se fallisce se ne torna da dove è venuta».
Mark mi tende la mano. Gliela stringo e ho l’impressione di avere appena fatto un patto col diavolo.