Capitolo 2

Jordan

 

 

 

 

 

 

«Penso di essermi innamorato».

«Mark…».

«No, sul serio, Jordan. Penso di essermi innamorato. Credi nel colpo di fulmine?»

«Non esattamente».

«Be’, ho appena avuto la prova della sua esistenza».

Tamburello con le dita sul volante, mentre tento di capire che tipo di turbe psichiche abbia mio cugino.

«Avanti, sarà divertente», mi dice all’improvviso, cambiando discorso.

«Cosa?», gli chiedo senza capire.

«La cena. Il mio colpo di fulmine. La rossa». Mark spegne l’aria condizionata e apre il finestrino.

«Non credo proprio».

«Perché no? Tu hai un debole per le rosse». Mark sghignazza e mi dà sui nervi. «Le rosse tutte fuoco».

Mi volto a guardarlo con l’espressione più seria che mi riesce. Ma con Mark è difficile tenere un atteggiamento serio. «Io ho un debole per un’unica rossa, adesso».

«Chi? Priscilla? E prima Georgia. Tutte rosse, stronze e snob. Georgia di sicuro». Il verso di disgusto che emette Mark subito dopo non mi infastidisce più di tanto. So benissimo che le ragazze che frequento e che ho frequentato non rientrano nelle sue grazie da… praticamente da sempre. E dopotutto il loro è un odio reciproco. «Ho sperato che andasse bene con Katherine Hutchinson per non vederti di nuovo accompagnato a un’altra stronza snob e invece…».

«Invece Katherine ha fatto un’altra scelta». Non posso dire di averlo gradito, detesto Kyle Hawkins, ma di certo non sono sprofondato in un baratro come tutti si aspettavano. Ho trentaquattro anni e, al contrario di molti miei coetanei, avverto il bisogno di una certa stabilità familiare, forse perché la mia famiglia di origine è una di quelle con saldissimi valori morali. I miei stanno insieme da trentacinque anni. Non spero nemmeno di arrivare al loro traguardo, ma ci voglio almeno provare. Katherine era perfetta, anche se aveva una valanga di problemi da gestire, compreso un figlio piccolo. Forse era proprio questo che mi piaceva di lei. La sua forza, la sua determinazione nell’affrontare una vita di merda.

«E tu hai deciso di lenire il tuo ego ferito tra le braccia di Priscilla Templeton, la donna meno simpatica del Vermont».

«Non deve essere simpatica. E poi ci stiamo solo frequentando, niente di serio. Non sono mai stato fra le sue braccia. Siamo buoni amici».

«Illuso».

Già. Ma non mi preoccupo. Priscilla è adatta a me. Ha un’ottima posizione, ha classe, è intelligente, bella, colta e controllata. La donna perfetta per stare accanto a un uomo come me. Non sono affatto pentito. In fondo la passione è sopravvalutata. Si può fare del buon sesso anche senza essere coinvolti fino al midollo. Dopotutto questa frequentazione sporadica potrebbe diventare qualcosa di serio.

«Contento tu», prosegue mio cugino.

«Piuttosto», comincio per deviare il discorso, «come diavolo ti è venuta l’idea della cena? Dimmi l’esatto istante in cui ti è balenata in quel cervello bacato che ti ritrovi», continuo senza lasciarlo rispondere. «Quando guardavi le gambe della biondina o mentre immaginavi di infilarti nelle sue mutande?».

Mark ridacchia raccogliendo i capelli troppo lunghi dietro le orecchie e appoggiando un braccio fuori dal finestrino. «Più la seconda, direi. Non avevo idea che la piccola provincia offrisse simili bellezze. Sarei venuto più spesso a trovarti. La conosci?»

«So che si chiama Helena Matthews, è un avvocato, credo».

«E la rossa?»

«La pazza?»

«La rossa!».

«È Mackenzie Morgan. È una pasticcera o cioccolataia o che ne so. Lavorava nel negozio di Gwendolyn Tantlebaum».

«E tu le hai portato via il lavoro».

«Non mi va di parlarne». Sono affari. Solo affari. Negli affari non c’è posto per i dubbi, i sensi di colpa o qualsiasi altro genere di sentimento.

«Ne parleremo a cena», mi avverte Mark. «L’idea era quella».

«La tua idea era quella di tentare un approccio più ravvicinato con Helena Matthews».

«Non ti si può nascondere niente, caro cugino». Mark mi dà una pacca sulle spalle e torna a ridacchiare.

«Lo faccio per te, solo per te e sia chiaro che mi devi un favore», dico mentre osservo la strada allargarsi di fronte a me.

Mark solleva un angolo della bocca in un mezzo sorriso. «Ti divertirai, cugino. Almeno per una volta, non pensare a quei cazzo di doveri che ti toccano. E sfilati il manico di scopa dal culo, stasera».

«Vaffanculo, Mark».

«Idem, cugino, idem».

Questa è una di quelle giornate che preferiresti vedere interrotte dopo solo due ore. È iniziata male, con un mal di testa che non ricordavo così forte da tempo. È proseguita anche peggio, con il mal di testa che non mi ha abbandonato per tutta la giornata e una serie di impegni e imprevisti che hanno messo a dura prova la mia proverbiale pazienza.

L’appuntamento di stamane in banca è stato un fallimento su tutta la linea. Pensavo di riuscire a convincere John Templeton, ma niente, quell’uomo è irremovibile e il fatto che tra me e sua figlia ci sia una certa simpatia non lo rende affatto più comprensivo, anzi.

Mark mi ha suggerito di invitarlo a cena, così l’ho fatto. Secondo una sua teoria davanti al cibo sono tutti più malleabili. Ho dei forti dubbi, ma intanto Templeton ha accettato. Vedremo domani cosa succederà, però non conto molto sulla capacità di Priscilla di convincerlo a investire ancora una volta nella mia azienda.

La verità è che mi serve un’idea. Un’idea nuova che mi permetta di conquistare un mercato più ampio, come quello europeo per esempio. Di legname l’Europa è piena, non serve importarlo dagli Stati Uniti e lo sciroppo d’acero non è di così largo consumo.

Prendo un paio di aspirine prima che il mal di testa me la faccia scoppiare. Le butto giù in fretta. Mi osservo nello specchio del bagno. Ho gli occhi arrossati. Sembra che io abbia assunto chissà quali droghe, invece ho solo passato ore e ore al computer a scervellarmi su come far quadrare i conti.

Sono rientrato da poco. Ho ancora gli occhiali da sole sulla testa. Li tolgo e con dispiacere noto che una delle aste della montatura si è leggermente allargata. Con un gesto irritato li metto da parte. Giusto l’increscioso episodio di questa mattina ci mancava, con quella specie di svitata che stava per farmi saltare i nervi più di quanto ci fosse già riuscito John Templeton poco prima.

Fenomeno da baraccone! Maleducata, capellona. Con le infradito e una maglietta di due taglie più larga. Carina, anzi, direi bella, ma spigolosa come un comodino. Sorrido all’idea di quello che avrebbe potuto dire Priscilla al cospetto di tale soggetto.

Mi lavo la faccia e mi dico che dovrei farle ripagare gli occhiali. Ci ripenso subito. Dopo la cena di stasera, voglio evitare tutte le varie Mackenzie che dovessi incontrare.

Faccio una doccia veloce. Mi infilo un paio di pantaloncini e rimango a torso nudo. Fa un caldo del diavolo. Disteso sul letto resto per un po’ a osservare il soffitto. Mi chiedo come posso liberarmi dei problemi che la mia posizione mi costringe ad affrontare quotidianamente. A volte vorrei non avere tutte queste responsabilità.

Chiudo gli occhi e mi abbandono al sonno che, complici la stanchezza, le aspirine e la calura estiva, arriva prima di quanto mi aspettassi.

 

«Sei ancora a letto? Il concetto di siesta pomeridiana non ti è molto chiaro, vero cugino? Sono le sei. Fai una doccia e muovi il culo».

Non ho mai desiderato uccidere nessuno quanto desidero uccidere Mark in questo momento. «Levati dalle palle!», gli intimo con la voce impastata dal sonno.

«Abbiamo una cena, lo hai dimenticato?». Per un attimo penso che si riferisca a quella con il mio probabile futuro suocero, poi mi ricordo che questa giornata non è ancora finita e alle otto abbiamo il dannatissimo appuntamento con la pazza rossa e la sua amica sgranocchia-snack. Nascondo la testa sotto il cuscino, mentre sento Mark aprire il getto della doccia nel bagno.

«Dimmi perché ti ho lasciato le chiavi di casa mia…», gli dico con un certo tono sarcastico.

«Per evitare che mancassi agli appuntamenti importanti».

«Questo non è un appuntamento importante», gli comunico mettendomi a sedere e massaggiandomi il volto.

«Lo è per me. Il mio colpo di fulmine, ricordi?»

«Certo. Il tuo fottuto colpo di fulmine e la mia cazzo di affittuaria scomoda».

«Elegante come un lord. Spero che sarai più gentile con le ragazze durante la cena e che eviterai l’uso sconsiderato di termini come fottuto e cazzo». Mark mi porge un asciugamano e mi indica la porta del bagno. Scuoto il capo e mi rinchiudo dentro. La doccia fredda mi fa bene. Il mal di testa è quasi svanito. Ma resta l’irrequietezza per la serata che mi aspetta.

Una mezz’ora prima della fatidica cena, dove sperano di convincermi a rinunciare al mio progetto di vendita dello stabile che appartiene alla mia famiglia, Mark mi chiede, o sarebbe meglio dire mi ordina, di uscire a comprare del gelato alla vaniglia e degli snack al cioccolato per la sua bella Helena. Cedo e lo accontento, non fosse altro perché ho bisogno di un po’ d’aria.