Capitolo 34
Jordan
Lei dorme. Dorme come una bambina. È in una posizione strana, scomoda. La testa è piegata di lato contro il finestrino e davanti sul collo. Questo le impedisce di respirare bene e ogni tanto le scappa un leggero russare. Mi ritrovo a ridere da solo mentre guido per la comicità e la tenerezza di questa immagine. Vorrei che questo breve viaggio non avesse mai fine, ma arriviamo a Pretty Creek prima di quanto immaginassi. Proseguo fino a casa mia, dove Mackenzie ha lasciato la sua bicicletta stamattina e, quando fermo l’auto, la scuoto leggermente per svegliarla.
Lei socchiude gli occhi e con voce assonnata dice: «Siamo già arrivati?»
«Mm-mm», annuisco.
«Sarà meglio che vada, fuori è quasi buio».
«Vuoi fermarti qui?», le chiedo senza pensarci.
«Non credo sia una buona idea», risponde come mi aspettavo.
«Lo dicevo solo perché… be’, sei in bici e devi attraversare il bosco».
«La strada non è lunga fino al paese se sono in bici».
«Come preferisci». Lascio perdere. È inutile che insista con Mackenzie. È più testarda di un mulo.
Quando scende dall’auto, monta subito sulla sua bicicletta, ma prima di partire dice: «Grazie di avermi accompagnata oggi, grazie di esserti prestato a fare il finto fidanzato, sei stato gentile».
Scuoto il capo con fermezza. «Non si è mai trattato di gentilezza. Questa cosa è convenuta molto più a me che a te».
«Che intendi dire?»
«Ho potuto godere dei tuoi baci in piena libertà».
«Saranno stati due o tre».
«Insufficienti per soddisfarmi, lo so». Giocherello con le chiavi dell’auto prima di metterle in tasca e d’un tratto, senza che stia troppo a pensarci, le afferro un polso. La costringo a scendere dalla bicicletta che, senza sostegno, scivola sul sentiero sterrato. Le prendo l’altro polso e avvicino il corpo di Mackenzie al mio. «Dimmi che non hai pensato tutta la sera a questo, dimmi che il pensiero di fare l’amore con me, mentre ballavamo, non ti ha sfiorato nemmeno una volta, dimmi che non ti importa e ti lascerò andare come se non fosse mai successo niente».
Mackenzie tace. Sospira e basta. Non riesce a dire niente. Questa è la risposta che volevo.
Un attimo dopo la mia bocca è sulla sua in un bacio che lascia entrambi senza fiato. «Resta qui, stanotte, resta con me, ti prego».
È cedevole tra le mie braccia. So di aver vinto e, quando annuisce, esulto dentro di me. Prima che cambi idea, la trascino in casa, al piano di sopra, fino alla mia camera da letto. Comincio dalla giacca. Gliela tolgo con foga, mentre lei fa lo stesso con la mia, proseguiamo con le magliette che finiscono tra di noi nella fretta di abbracciarci e sentirci pelle contro pelle. Le tiro via, le lancio in un angolo della stanza; non vedo dove. Le bacio il collo e riesco a sentire il battito furioso del suo cuore, tale e quale al mio. Il profumo dei suoi capelli è inebriante, il sapore della sua pelle, un po’ salato, un po’ amaro, mi riempie la bocca. Non so cosa mi abbia fatto, che tipo di incantesimo abbia usato per farmi sentire così, ma sono incantato, senza scampo; stregato.
I jeans seguono lo stesso destino degli altri indumenti e così la biancheria intima. Mi ritrovo nudo contro di lei e non mi sono mai sentito così esposto, così perfetto per qualcuno e così timoroso di fallire.
Le sue mani, dapprima timide, cominciano a percorrere il mio petto. Via via si fanno più audaci e si liberano completamente. La guido verso il letto. Sotto di me, con i capelli sparsi sui cuscini e la pelle diafana baciata dai raggi della luna, sembra davvero una fata.
«Oh mio Dio!», la sento esclamare a un certo punto.
«Che c’è?», le chiedo allarmato.
«Lassù. Il cielo».
Guardo in alto, verso il soffitto, dove un ampio lucernario permette al cielo di entrare nella stanza.
«Oh, quello».
«Quello, già. Lo hai fatto tu?»
«L’ho progettato io, certo».
«Ti addormenti con il cielo che ti guarda ogni notte».
«E stasera lo farai anche tu».
Mi guarda con gli occhi lucidi, le labbra atteggiate in un mezzo sorriso che tremano un po’. «Se anche dovesse finire tutto fra un minuto, sarei comunque felice», sussurra.
«Perché dovrebbe finire?»
«Perché siamo diversi, lo hai detto tu».
«Lascia perdere le stronzate che ho detto, va bene? E comunque spero di durare più di un minuto!», dico per sdrammatizzare.
Mackenzie ridacchia. «Lo spero anch’io», e poi non parliamo più. Non pensiamo nemmeno. Siamo solo carne ed emozioni appena sussurrate al di fuori di noi, ma dentro… dentro è un brusio di sensazioni che, man mano che ci amiamo, urlano per uscire.
La tocco come non ho mai toccato una donna, la tocco con desiderio, affetto e qualcosa di molto simile all’amore. Forse è proprio questo, in fondo. Amore. Lei mi sfiora allo stesso modo. In ogni sua carezza sento una tenerezza e una dolcezza a cui non sono abituato. Mackenzie è come il suo cioccolato. Fondente. Dolce con un retrogusto amaro.
Cioccolato! Santo cielo! Non pensarci nemmeno, Jordan. E invece ci penso, ci penso eccome. Mi fermo di botto. Mi sollevo su di lei e le dico: «Ho intenzione di fare qualcosa su cui potresti non essere d’accordo».
Mackenzie mi guarda stranita, poi scuote il capo con decisione, come se avesse capito. «No, se hai intenzione di proporre giochetti erotici con qualche strumento di tortura, scordatelo. Toglitelo dalla testa. Io e la mia vagina non riceviamo ospiti indesiderati».
«Per la miseria, Mackenzie, come diavolo ti viene in mente una cosa del genere?»
«Non vuoi propormi questo?»
«Certo che no. Mi prendi per un pervertito?».
Mackenzie arriccia il naso e mugugna: «Scusa», infine aggiunge. «Che cosa vuoi fare, allora?»
«Aspetta». Mi alzo dal letto, corro di sotto, in cucina, apro il frigo e prendo la cioccolata spalmabile che lei stessa ha portato per i suoi dolci. Quando torno su e le mostro il barattolo, sorride.
«Oh, sì, sì che sei un pervertito, ma questo mi piace. Indolore e dolce, tanto dolce».
Rido mentre la raggiungo a letto e apro il barattolo. Affondo un dito nel cioccolato e lo porto alla sua bocca. Lei lo lecca con espressione estatica. «Cosa c’è di meglio?», chiede.
«Un paio di cose ci sarebbero», le rispondo, tremando di eccitazione al pensiero. «Basta solo che tu dica sì».
«Sì», risponde senza esitazione. Così comincia il nostro gioco. Mi sento come un adolescente che scopre per la prima volta il sesso. Quando la sfioro, tremo. Quando la bacio, non respiro. Il cioccolato si mischia al sapore della sua bocca. Lei mi lascia fare quello che voglio e temo di farmi scoppiare il cuore per l’emozione che questo mi procura. Non sono dentro di lei solo fisicamente, sono dentro di lei con tutto me stesso ed è lì che resto anche quando, consumati dall’amore, ci addormentiamo con tutto l’infinito del cielo sopra di noi.