Capitolo 9
Jordan
Il solito mal di testa si abbatte su di me mezz’ora dopo essere entrato in ufficio. Questo lavoro mi ucciderà prima o poi. Sommerso dagli incartamenti, disturbato da continue telefonate, non faccio che pensare a Mackenzie. Prego il cielo che riesca a trovare presto l’ispirazione.
Proprio stamattina ho sentito Templeton. Non è stato amichevole come al solito. C’è una cosa che i finanziamenti bancari esigono: essere saldati. Templeton me lo ricorda in continuazione e non è più disposto a dilazionare i pagamenti. Ma io ho degli operai che, alla fine di ogni mese, aspettano lo stipendio. A loro non posso chiedere di aspettare in favore dei debiti dell’azienda.
Sono tentato di telefonare a Mackenzie, però non voglio farle pressione. Ho come l’impressione che non lo gradirebbe.
Mentre controllo il resoconto dell’ultimo mese, la porta dell’ufficio si spalanca e un Mark pimpante come solo lui sa essere entra con un sorriso a trentadue denti. Mi viene vicino e mi stringe le spalle. «Dimmi che Mackenzie è nostra, dimmelo».
«Lo è», lo tranquillizzo.
«Complimenti, cugino, complimenti. Sei riuscito a domare la bestia rossa». Mark si allontana e si lascia andare sulla poltrona di fronte alla scrivania. «Sei stato bravo. Come diavolo hai fatto?»
«In realtà non ho fatto niente», gli spiego, lieto di questa pausa imprevista. «Ha fatto e deciso tutto lei. È stato… interessante».
«Interessante?». Mark si allunga con le braccia sulla scrivania. «Che intendi esattamente per interessante?»
«È successo in modo inaspettato. Mi ha sorpreso. In realtà di quella giornata mi ha sorpreso un po’ tutto».
«Mi stai dicendo che non c’è stata solo una cena? Forse anche un dopocena?»
«In un certo senso, ma non è quello che pensi tu».
«Illuminami, Jordan».
«Meglio che cominci dall’inizio». Racconto a Mark tutto quanto è successo, partendo dall’attacco di allergia, passando dal tuffo nel lago, fino ad arrivare a Mackenzie in accappatoio nella mia cucina.
«Tu sei un maledetto favorito dalla sorte. Dimmi che ne hai approfittato».
«Non dico di non averci pensato».
«Se non lo avessi fatto mi preoccuperei».
Scuoto la testa con forza. Ci ho pensato eccome, soprattutto quando ho avuto l’insano istinto di abbracciarla. Era così calda e… nuda sotto quell’accappatoio, maledettamente nuda, e l’ho sentita tutta quella nudità.
«Quella non è il tipo che si fa infinocchiare dal primo venuto. O meglio, non da me. E io non sono il tipo che si invischia con i suoi collaboratori, anche futuri, e soprattutto con una con quella testa. È del tipo “sono ingestibile”, non so se capisci cosa intendo».
Mark si gratta il mento. Sembra pensare mille cose. «È il tipo che ti fa fare pazzie, lo so. E poi c’è la composta Priscilla, vero?».
Sorrido davanti al vago insulto di Mark. Non sopporta Priscilla. La ritiene divertente quanto stare a guardare l’acqua che bolle in una pentola. Parole sue. «Non c’è paragone fra le due. Né intendo equipararle. Mackenzie lavorerà per questa azienda. Punto. Se ritieni che possa esserci qualcos’altro, toglietelo dalla testa. Non sono interessato in quel senso».
Mark fa spallucce. «Dicevo solo per dire. Insomma, sembravi così… vivo, mentre raccontavi della tua grandiosa giornata in compagnia della bestia rossa».
«Non chiamarla bestia. Non mi sta troppo simpatica, ma bestia è troppo».
«Già, è meglio strega».
«Le si addice di più».
«Perché ti incanta con quegli occhi e con tutta quella joie de vivre?»
«Sembri quasi innamorato di lei». Lo sondo con lo sguardo.
«Lo sarei, se non lo fossi già della sua amica».
«Fai sul serio con la Matthews?»
«Fare sul serio? Non lo so, ma di certo quella donna mi ha catturato nella sua rete e non intendo liberarmi per adesso».
«Attento, Mark».
«Attento a te, Jordan». Sorride. «Il fascino malefico della strega potrebbe irretirti senza che tu te ne accorga».
Mi limito a sorridere, come faccio di solito quando dalla bocca di mio cugino proliferano sciocchezze. «Piuttosto, come è andata a Londra?».
«Bene, proprio come mi aspettavo. I pubblicitari sono pronti a farsi un bel viaggetto fin qui per girare lo spot. Hanno in mente qualcosa di molto americano. Ho sentito anche le reti radiotelevisive; dovrebbero riuscire a far passare lo spot a partire da fine gennaio con il nuovo palinsesto invernale. Gli dobbiamo solo portare il prodotto finito. Ci serve il cioccolatino, Jordan».
Mi appoggio allo schienale della poltrona. Negare la mia preoccupazione è inutile, ma cerco di essere ottimista. «Ci stiamo lavorando, Mark. Ci stiamo lavorando, ma lascia che ti dica una cosa prima che cambi idea».
«Sarebbe?». Mark corruccia la fronte.
«Sei maledettamente bravo in questo lavoro. Molto più di quanto lo sia io». Mark sorride e non nasconde l’imbarazzo. Lui sì che ci mette passione in quello che fa. Questo è il suo mondo.
«Lo sei anche tu, Jordan, lo sai», risponde, probabilmente per ricambiare la gentilezza.
«Forse. D’altra parte ho studiato anni per tirare avanti questa baracca».
«Ma non è quello che volevi fare davvero, già».
Annuisco. Stringo le labbra e faccio spallucce. «Il nonno sarebbe fiero di te».
«Come lo è sempre stato di te». Mark si fa silenzioso per un attimo al ricordo del vecchio che ha tenuto entrambi a battesimo nel mondo degli affari. Un uomo determinato come pochi, nostro nonno. Un uomo che ci ha insegnato tanto, soprattutto quanto è importante compiere il proprio dovere. «Ehi, hai convinto la streghetta a passare dalla parte del nemico. Questo sì che è un merito».
Sorrido al pensiero della rossa recalcitrante. Non è stato facile convincerla e non credo di averlo fatto davvero. Credo, anzi, che sia sempre stata lei a dettare le regole. Ero pronto ad arrendermi fino a che non mi ha sorpreso. È stato un vero sollievo. «Sì, ma ora deve creare il maledetto cioccolatino che spopolerà in Europa. Ti rendi conto? Siamo alla mercé di una cioccolataia».
«Animo, cugino, animo. Andrà tutto bene, me lo sento. Questo sarà un colpaccio».
Mi piego all’indietro sulla poltrona, appoggiando la testa sulle mani incrociate. «Oppure mi prenderà un colpo».