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Victor incontrò Adrianna nell’atrio del Grand Hotel Sofia. Il grosso albergo dalla facciata in marmo, granito e vetro era situato nel centro della città, affacciato sui giardini pubblici. Victor aveva cambiato albergo dopo che Adrianna aveva accettato di incontrarlo, visto che il modesto alloggio precedente non l’avrebbe soddisfatta. La donna indossava un lungo vestito dalle linee fluide che pareva fluttuare sulla sua figura mentre lei trascinava dietro di sé un trolley. Aveva gli ondulati capelli castani sciolti e gli occhiali da sole sulla testa.

«Sei diverso» annunciò mentre Victor si avvicinava. «Stai bene con l’abbronzatura e i capelli più lunghi. Sei molto attraente.»

Giocherellò con una ciocca di capelli per enfatizzare il commento, poi si abbracciarono e si baciarono. Victor fece attenzione a ritrarsi prima che le mani della donna potessero giungergli dietro la schiena, dove teneva nascosta una pistola FN.

«Sei dimagrita» fece lui.

Adrianna divenne raggiante. «Lo hai notato.»

In realtà, non lo aveva notato. «Com’è andato il volo?»

«È stato un piacere.» Adrianna tirò fuori una guida turistica dalla borsetta. «Ho imparato tutto su Sofia.»

Dopo aver lasciato la valigia nella stanza di Victor ed essersi rinfrescati, uscirono per esplorare Sofia. Il Museo d’arte cittadino era nei pressi dell’albergo, perciò cominciarono da là, discutendo delle opere e di quali preferissero e perché. Dopo usarono i tram gialli per visitare alcune delle molte chiese ortodosse storiche di Sofia, la più importante delle quali era la straordinaria cattedrale di Alexander Nevskij, con la sua basilica dalla cupola dorata alta quarantacinque metri.

Salvo qualche vecchio caseggiato dell’epoca comunista a deturpare il profilo cittadino, Sofia era bella tanto quanto le altre capitali storiche europee. Victor amava la giustapposizione di stili architettonici: occidentale e centroeuropeo, neoclassico e stalinista, romano e bizantino. Quell’architettura mutevole donava a ciascuna strada alberata un’identità e un’atmosfera tutte sue. Le vie del centro città parevano tutte lastricate di acciottolato giallo.

«Quei ciottoli vengono da Vienna» disse subito Adrianna. Se per lei era la prima visita alla città, Victor ci era già stato un paio di volte, e aveva sempre trovato i bulgari perlopiù amichevoli e accoglienti. Stavolta non fu diverso. Gli piaceva anche il clima, caldo ma non rovente, una temperatura che forse quel giorno raggiungeva i ventuno gradi.

Pranzarono tardi in uno dei molti caffè all’aperto di Sofia, dove godettero del sole in faccia e del frenetico chiacchiericcio della gente del posto. Victor conosceva abbastanza la lingua da cavarsela, e insegnò qualche frase a Adrianna. Assieme cercarono di seguire alcune delle fulminee conversazioni delle persone attorno a loro, sbagliando sempre e aggiungendo traduzioni immaginarie.

«La sta mollando» spiegò Adrianna mentre osservavano furtivamente una coppia di bulgari di mezza età che discutevano. «Perché lei ha un alito che sa di calzini vecchi.»

Victor sorrise mentre, per abitudine, osservava la folla in cerca di pedinatori.

Al sopraggiungere della sera, tornarono in albergo per lavarsi e cambiarsi. Dalla radio della camera giungeva l’Andante Spianato et Grande Polonaise in Mi bemolle maggiore di Chopin mentre Victor si abbottonava la camicia con una mano. Muoveva le dita dell’altra a ritmo di musica, premendo tasti immaginari.

Adrianna, mentre si metteva gli orecchini, lo notò. «Suoni il pianoforte?»

«Non lo faccio da mesi.» Il sicario finì di abbottonare la camicia con entrambe le mani.

«E c’è qualche ragione?»

«Non ne ho avuto semplicemente l’occasione.»

Victor non poté fare a meno di pensare al suo possesso di maggior valore, un pianoforte a tavolo della Vose & Sons del XIX secolo, ormai ridotto in cenere.

«Penso ci sia un pianoforte in uno dei bar dell’albergo. Sono certa che te lo lascerebbero suonare, se glielo chiedessimo.»

«Sono troppo arrugginito. Mi sentirei in imbarazzo» rispose lui, usando la scusa della timidezza per nascondere il fatto che l’aver passato anni a cercare di non dare nell’occhio lo avevano spinto a considerare impossibili atti come suonare un pianoforte in pubblico.

Finì di prepararsi e, mentre Adrianna era in bagno, infilò la pistola in vita, sul fianco destro. Si sarebbe accertato che la donna camminasse solo alla sua sinistra.

«Che ne pensi?» chiese Adrianna mentre tornava in camera.

Era magnifica con un vestito da sera nero, una pashmina sulle spalle e i capelli tirati su.

Victor non la deluse e disse: «Sei splendida.»

Le labbra luccicanti di Adrianna formarono un ampio sorriso.

Il Teatro nazionale era a un solo isolato di distanza dall’albergo. Eleganti luci inondavano di un bagliore dorato l’imponente edificio dell’inizio del XX secolo. Alla biglietteria, Victor ritirò i biglietti per un’interpretazione della Turandot di Puccini. Si sedettero in un palchetto sulla parete di sudovest e osservarono lo spettacolo con binocoli da teatro. Adrianna era rapita dall’esibizione e commossa fino alle lacrime dalle arie. Dopo attraversarono i giardini di fronte al teatro discutendo dello spettacolo.

Altri spettatori fecero altrettanto e i turisti scattarono foto all’edificio. Le coppie sedevano sulle panchine tenendosi per mano. Adrianna prese a braccetto Victor sulla sinistra e disse: «È stata una giornata magnifica. Ti ringrazio di avermi invitata.»

«È stato un piacere.»

«Dopo Linz, non sapevo se ci saremmo più rivisti.»

«Che cosa te lo ha fatto pensare?»

Adrianna aspettò un momento prima di rispondere, forse per la fatica di articolare i pensieri oppure perché non sapeva esattamente cosa dire. «Non ne sono sicura, ma mi sembravi così diverso l’ultima volta che ti ho visto. Come se tu fossi stato un’altra persona. Non sapevo se avrei trovato posto in quel cambiamento, tutto qua.»

«Non mi sono accorto di essere cambiato» fece lui, senza pensarlo veramente.

«Oh, non preoccuparti» rispose lei, percependo un tono che Victor non aveva inteso assumere. «Secondo me è una cosa positiva.» Lo esaminò e gli passò le dita sottili tra i capelli. «È senza dubbio un miglioramento.»

Lui sorrise per mostrarsi concorde, anche se non lo era. «Sono felice che tu lo pensi. E mi sembra di aver capito che ti ha fatto piacere che io ti abbia chiamata.»

La donna sorrise e gli diede un colpetto sul braccio. «Ma certo.»

Passeggiarono ancora un poco.

«Scusatemi» disse una donna con un inglese dall’accento britannico, intralciando il loro cammino.

Era prossima ai trenta, accompagnata da un uomo che appariva trentenne, presumibilmente il fidanzato o il marito. Indossavano entrambi vestiti sportivi, jeans, magliette, scarpe da ginnastica. L’uomo aveva i capelli scuri, la donna era bionda. Aveva una macchina fotografica in mano. Sorridevano tutti e due. Vivacemente. Erano turisti.

«Scusatemi» ripeté la donna, parlando lentamente, di proposito, come se si rivolgesse a un bambino, lasciando lunghe pause tra una parola e l’altra, allungando ogni sillaba per creare enfasi. «Vi dispiace farci una foto, per cortesia?» Indicò con ostentazione la macchina fotografica e poi il suo fidanzato e sé stessa.

«Ma certo» rispose Victor.

Anche se sembrava impossibile, i loro sorrisi si fecero ancor più raggianti.

«Oh, parlate inglese. Fantastico. Grazie tante.»

Adrianna disse: «Siete britannici, giusto?»

La bionda fece una risatina. «È così evidente?»

Victor sollevò un sopracciglio. «Quando sono all’estero, i britannici hanno un modo di parlare particolare.»

«Già. Grazie ancora.»

Victor rispose: «Non c’è di che» anche se non era così. Se fosse stato da solo, avrebbe finto di non parlare la lingua e avrebbe tirato dritto. Non gli piacevano i contatti che non fossero alle sue condizioni, ma non voleva darlo a vedere di fronte a Adrianna.

La turista consegnò la macchina fotografica. «Potreste farla in modo da avere sullo sfondo il teatro, per piacere?»

«Non c’è problema.»

Victor fece un cenno con la mano. «Potete avvicinarvi?»

«Oh, certo.»

La donna si accostò al fidanzato, abbracciandolo come se l’uomo potesse fuggire, se lei non avesse serrato la presa. Lui le mise un braccio sulle spalle, con fare un po’ rigido. Il tipico riserbo britannico.

Victor arretrò e si mise su un ginocchio per inquadrare entrambi al centro dell’immagine, con il teatro sullo sfondo, disse: «Dite cheese.» Fece la foto. Riconsegnò la macchina fotografica. «La vostra prima foto a Sofia» notò dallo schermo dell’apparecchio. «Sono onorato.»

La coppia guardò l’immagine. «Oh, è perfetta. Grazie tante.» La donna diede di gomito al fidanzato. «Aspetta che la vedano Andy e Meg.» Dopo ulteriori ringraziamenti, la coppia se ne andò, lasciando Adrianna e Victor di nuovo da soli. Adrianna gli prese le mani.

«Che bella coppia,» disse «non è vero?»

Victor annuì, anche se non ne era sicuro.

«Riesco a immaginarli grigi e invecchiati e ancora innamorati come un tempo.»

Victor annuì di nuovo. Gli riusciva impossibile immaginare quel genere di cose.

Adrianna gli massaggiò le braccia. «Pensi mai a sistemarti, Emmanuel? A trovarti una bella moglie che ti porti le pantofole?»

«Le mogli portano ancora le pantofole ai mariti?»

«Non lo so» rispose lei con un’alzata di spalle. «Immagino che per l’uomo giusto lo farebbero.»

Non c’era niente negli occhi di quella donna che Victor non riuscisse a leggere. Chiese: «Che cosa ti va di fare adesso?»

«Non lo so. Tu hai fame?»

«Posso mangiare, se tu sei pronta per cenare.»

«Sono pronta per cenare da due ore. Questa dieta mi sta uccidendo.»

Victor conosceva un buon ristorante indiano venti minuti a piedi da là, ma Adrianna era troppo affamata per aspettare, così presero un taxi. Victor iniziò con un aloo tikki ragda, seguito da paneer makhani. Adrianna cominciò con bhel puri e poi mangiò matar hara pyaz ai funghi. Il cibo era eccellente, aromatico e gustoso, ma non troppo piccante. Come dessert ordinarono entrambi un gelato al mango. Fu servito in un cono. Dopo il pasto bevvero tè indiano con latte mentre Adrianna parlava della possibilità di tornare all’università.

«Sto pensando di fare un dottorato» spiegò. «Mi manca lo studio. Studiare Storia a Cambridge è stato uno dei periodi migliori della mia vita. Mi mancano i libri. Mi mancano le attività universitarie. Ho a malapena il tempo di leggere i giornali, adesso. So di sembrare eccessivamente melodrammatica, ma a volte ho l’impressione di lasciar fuggire via la mia intelligenza.»

«Mi pare che tu abbia già deciso.»

«Già. Penso proprio di sì.»

«Torneresti a studiare a Cambridge o preferiresti un posto nuovo?» Citare Cambridge gli fece tornare in mente la coppia britannica. In particolare, la bionda. Di solito i turisti non gli chiedevano di fare loro una foto. La maggior parte di loro percepiva la sua sottile richiesta di lasciarlo in pace, ma non sempre funzionava. Victor poteva spingersi fino a quel punto solo con un linguaggio del corpo negativo. Se fosse stato troppo inavvicinabile, la gente si sarebbe ricordata di lui. Era meglio essere un uomo con cui alcune persone erano felici di parlare, che il genere di uomo maleducato che nessuno dimenticava. E poi, in compagnia di Adrianna appariva più avvicinabile.

Adrianna gli chiese: «Che succede?»

«Non riesco a nasconderti nulla, eh?» fece lui, ancora una volta sorpreso dal fatto che lei riuscisse a leggerlo nel pensiero. «Stavo solo pensando al lavoro. Scusami.»

«Ti va di parlarne?»

Lui scosse il capo. «Il lavoro è noioso. Parliamo di te. Allora, preferiresti a Cambridge?»

«Non ne sono sicura. Mi è piaciuta tantissimo, ma forse sarebbe meglio andare in un posto diverso. Io amo fare nuove esperienze.»

Victor annuì e si entusiasmò sentendola parlare dei suoi progetti, ma nel contempo ripensava all’incontro con i turisti. Non avevano niente di sospetto. L’uomo non aveva parlato, ma era parso più timido rispetto alla socievole compagna. No, non erano i turisti a preoccuparlo, era lui stesso, la sua incapacità di abbassare la guardia e scattare una foto a un paio di sciocchi turisti senza sentirsi esposto, perché lo avevano colto di sorpresa. Si domandò come fosse diventato il facsimile di una persona, un puzzle con pezzi mancanti, e se la situazione sarebbe mai cambiata.

Adrianna proseguì: «La Columbia University ha un’altissima reputazione, certo, e io adoro New York. Anche se rischierei di passare più tempo a fare compere che a studiare.»

Victor annuì e sorseggiò il suo tè, convincendosi che la sua paranoia fosse eccessiva in quella circostanza. Il Mossad stava seguendo delle piste a Barcellona, secondo quanto riferito da Procter. Non potevano trovare niente che li portasse in Bulgaria.

«Tu sei la prima persona a cui lo racconto» aggiunse Adrianna con un timido sorriso.

Victor rispose: «Ne sono onorato.» Subito si rese conto di aver usato le stesse parole con la britannica. Si era accorto di aver scattato la loro prima foto a Sofia, in base al display della macchina fotografia. La donna non aveva replicato all’osservazione. Non aveva speso una singola parola al riguardo, e neppure un gesto. Una turista piacevole, come aveva chiaramente dimostrato di essere, avrebbe risposto con una qualche spiegazione. Forse erano appena arrivati, oppure avevano inserito una memoria nuova nell’apparecchio. Invece, niente.

Victor si maledì per non aver capito prima.

Non sapeva come, se avevano in qualche modo seguito lui o Adrianna. Ad ogni modo, non aveva importanza. Ciò che contava era che l’avevano trovato.

La squadra Kidon era a Sofia.

La farsa con la macchina fotografica doveva aver avuto lo scopo di ottenere un’identificazione certa. Con i capelli più lunghi, la pelle abbronzata e la barba, era molto diverso dall’uomo ripreso dalla telecamera un mese prima. Avevano dovuto avvicinarsi a lui per essere certi che fosse davvero il loro bersaglio. Era stato un gesto sfacciato, rischioso, ma non erano consci del fatto che Victor sapesse di essere braccato.

Procter si era sbagliato riguardo a Barcellona, oppure le sue informazioni non erano aggiornate. Di fronte a Victor, Adrianna continuava a parlare di università e studio, per nulla conscia del pericolo mortale che stavano entrambi correndo.

In quel preciso istante li stavano osservando, Victor lo sapeva. Non vedeva alcun pedinatore nel ristorante, perché sarebbe stato inutilmente vicino, ma li stavano sicuramente attendendo fuori, pronti a seguirli non appena fossero usciti.

Aveva un vantaggio: loro non avevano idea che lui li avesse scoperti. Quando avrebbero agito? Non lo sapeva. Probabilmente non nell’albergo. Gli alberghi erano luoghi in cui era notoriamente difficile agire, lui lo sapeva bene, ma questo non avrebbe fermato gli agenti segreti delle squadre Kidon. Il Mossad aveva portato a termine con successo più omicidi in albergo di chiunque altro.

Tuttavia, non volevano ucciderlo, almeno non subito. Altrimenti gli avrebbero sparato fuori dal teatro nell’attimo in cui l’avessero identificato. Prima volevano interrogarlo. Volevano sapere chi era, chi lo aveva mandato e perché. Un rapimento era molto più difficile di un assassinio, dunque avrebbero dovuto fare un tentativo in strada, in un luogo dove il minor numero possibile di testimoni lo vedesse finire su un furgone.

Finché Adrianna fosse rimasta con Victor, lui non sarebbe stato in grado di sfuggire alla Kidon. Da solo, avrebbe avuto qualche speranza.

«Dunque vedi,» gli disse Adrianna «non riesco a decidere tra la Columbia e Cambridge.» Rise. «Forse farò un dottorato presso entrambe.»

«È una decisione dura» fece lui. Si alzò. «Scusami un istante.»

Si diresse al bagno, sapendo che le spie all’esterno lo avrebbero visto, ma non si sarebbero preoccupate, perché Adrianna era ancora seduta al tavolo, in attesa del suo ritorno. Mentre la donna sedeva là, Victor guadagnò tempo.

Il bagno del ristorante era piccolo e pulito. Nella parete in alto nell’ultimo scompartimento c’era una finestrella. Victor entrò nello scompartimento, abbassò il coperchio del gabinetto, ci montò sopra, fece scattare il chiavistello e aprì. Dell’aria fresca si riversò all’interno e sulla sua faccia. Sbirciò nel vicolo. Era buio ma deserto. La squadra piantonava il davanti del ristorante. Non c’era ragione di sorvegliare il retro. Passati tre minuti avrebbero cominciato a farsi domande, passati cinque avrebbero cominciato a preoccuparsi. Dopo sei minuti, avrebbero inviato qualcuno all’interno a controllare. Tuttavia, con sei minuti di vantaggio, Victor si sarebbe allontanato a sufficienza, con un taxi o su un autobus, diretto fuori città. Non lo avrebbero preso.

La loro attenzione si sarebbe rivolta ad Adrianna, in quanto solido collegamento con lui, anche se in realtà non lo era affatto. Non avrebbero mai creduto che lei non sapesse niente di Victor. Avrebbero dovuto esserne convinti. Victor cercò di non immaginare cosa le avrebbero fatto per strapparle informazioni che lei non possedeva. Tuttavia, assieme non sarebbero riusciti a fuggire, e se Victor l’avesse mandata via per prima li avrebbe resi sospettosi e qualsiasi possibilità che aveva di cavarsela sarebbe svanita.

Victor non aveva veri amici. Non gli importava di nessuno. Era questo uno dei modi grazie ai quali era rimasto in vita. Il suo rapporto con Adrianna era una recita per entrambi, che lei portava avanti per soldi, e niente di più. Lei lo usava come lui usava lei. Non c’era nient’altro tra loro, niente che potesse fermarlo.

Attraversò la finestra e piombò nella notte.