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Victor gettò dell’acqua sul volto del prigioniero. L’americano si svegliò di colpo, spalancando gli occhi, facendo una smorfia per il dolore alla nuca ma valutando al contempo la situazione. Era seduto con la schiena appoggiata a un albero muschioso, le braccia tese all’indietro attorno al tronco, i polsi legati sull’altro lato. Tentò di liberarsi.

«Lascia perdere» disse Victor. «Da giovane ho fatto il boy-scout.»

Il tizio smise di dimenarsi. Era rimasto senza cuffie, armi e imbracatura tattica. Victor non aveva trovato niente di utile, eccetto alcune caramelle. Aveva tenuto quelle verdi e lasciato perdere tutto il resto. L’americano sembrava stordito ma privo di danni durevoli, il che era positivo perché il tronco cerebrale era la parte più vulnerabile del cranio e un colpo con un’arma di quasi due chili non favoriva certo la coerenza.

Victor si accovacciò. Il prigioniero lo guardava con disprezzo, ma Victor sentiva la paura che si nascondeva dietro quella spavalderia. Il tizio sembrava sulla quarantina, aveva i capelli e gli occhi marroni, era muscoloso e atletico. Aveva i capelli cortissimi, il volto abbronzato, la pelle rugosa. Non si rasava né lavava da qualche giorno. Puzzava, ma Victor immaginò di puzzare altrettanto.

L’aria era calda anche all’ombra. Victor si versò dell’acqua sulla faccia e la testa. Era tiepida ma comunque rinfrescante. Disse: «Sono sicuro che non ci sia bisogno che ti dica che in queste situazioni esiste una via facile e una difficile.»

L’americano lo fulminò con lo sguardo.

«Sei un duro» fece Victor. «Sei preparato. Il tatuaggio che hai sul braccio recita: De oppresso liber. Liberare l’oppresso. Il motto delle forze speciali dell’esercito americano.»

L’americano non rispose.

«Non ha senso negarlo. Ad ogni modo, non ha importanza. Scommetto che troverei tatuaggi simili anche sugli altri due. Sono morti entrambi, comunque.»

L’americano rimase in silenzio.

Victor disse: «Immagino faceste tutti parte della stessa squadra nelle forze speciali. Dovevate essere un gruppo molto unito, se avete deciso di fare questo nuovo lavoro assieme. Dalle rughe che hai intorno agli occhi si capisce che hai passato molto tempo a strizzare gli occhi sotto il sole. Dunque sei un veterano dell’Iraq o dell’Afghanistan. Non sei stato molto in pensione, magari due o tre anni al massimo. Probabilmente hai svolto lavori come guardia privata a Baghdad o Kabul. Ti pagavano molto di più che nelle forze speciali, ma sprecavi il tuo talento sorvegliando diplomatici e giornalisti. È frustrante vedere che le abilità che abbiamo affinato in tutta una vita vengano logorate dalla mancanza di esercizio, non è così?»

L’americano non rispose.

«Ma una persona che avevi conosciuto nell’esercito» proseguì Victor «una persona che ha lasciato prima di te, ti offre un lavoro nel settore privato di tipo diverso. Simile a quello che facevi per la tua nazione, ma pagato perfino meglio del lavoro di balia ai giornalisti. Data la sua natura, tu hai esitato, forse in un primo momento hai perfino rifiutato, ma il tuo amico ti ha convinto dicendo che si trattava di una persona cattiva e che in realtà avresti fatto un’opera buona. E ha funzionato. Talmente bene che hai finito per accettare un’altra commissione, e un’altra, e presto ti sei trovato a non fare altro. Ogni volta i soldi aumentano e la vocina che hai in testa è sempre più sommessa, tanto che non riesci più a ricordare cosa diceva un tempo.» Victor fece una pausa. «Prima di rendertene conto, diventi un sicario.»

Il tizio lo fissò, confuso e piuttosto a disagio. «Dove vuoi arrivare?»

«Scommetto che in realtà ti consideri ancora un mercenario» aggiunse Victor. «Fidati di me, ancora un anno e non ti prenderai più la briga di mentire a te stesso. E, per rispondere alla tua domanda, quello che voglio dire è che adesso che i tuoi compagni sono morti io ti conosco meglio di chiunque altro. Perché un tempo ero come te. E so anche che fa solo parte del tuo lavoro essere mio nemico. Non c’è niente di personale tra noi.»

L’americano indurì lo sguardo. «Solo che tu hai ucciso i miei due amici.»

Victor annuì. «Per autodifesa. Ti era già successo di perdere dei compagni. E sei riuscito a superare la cosa. In questo caso non sarà diverso. Ti passerà. Ma non puoi aspettare così a lungo. Devi decidere subito se io sono solo un lavoro per te o sono il tuo nemico.»

«Perché?»

Victor lo fissò. «Sai perché.»

L’americano lasciò cadere la testa in avanti e fece un respiro profondo. Quando tornò a sollevare lo sguardo, disse: «È come hai detto tu. Questo è un lavoro. Niente di più. Se i ruoli fossero stati invertiti, io avrei agito proprio come te. Nessun rancore.»

Victor indicò la bottiglia d’acqua e l’americano annuì. Victor la tenne sollevata, in modo che l’americano potesse usare la cannuccia. Bevve alcuni sorsi. Victor rimise giù la bottiglia.

«Per chi lavori?»

L’americano si accigliò. «Dài, amico, sai che non posso dirtelo.»

Victor annuì con aria comprensiva e tirò fuori dall’imbracatura tattica il coltello da combattimento. «Io non sono un amante della tortura» spiegò. «Ma non perché sia schizzinoso. Tu lo sai quanto me, più sangue vedi, meno effetto fa.» Toccò la punta affilata con un dito. «Il problema è che di solito sono una persona molto pulita, mentre a volte torturando ci si sporca molto. A me non piace sporcarmi, ma in certi casi è inevitabile.»

L’americano fissava il coltello. «Non c’è bisogno che arriviamo a quel punto.»

«Allora prova di nuovo a rispondere alla mia domanda.»

L’americano scosse il capo. «Non lo so esattamente.»

«Come risposta non è sufficiente.»

«Aspetta, era Shane a trattare con i clienti. Solo lui. Era compito suo. Io sono solo un tiratore. Era lui il capo.»

Victor sollevò un sopracciglio. «Eri tu a dare gli ordini agli altri durante l’operazione.»

«D’accordo» disse il tizio dopo una pausa. «D’accordo.»

«Gestivi tu le cose, sia durante l’operazione che negli altri momenti. Come facevi? Con consegne in nascondigli convenuti, telefonate, collegamenti internet?»

«Facevo tutto al computer. Era il modo più sicuro. Avevo indirizzi email diversi per ciascun lavoro. Ricevo metà del denaro in anticipo, l’altra metà al compimento del lavoro. Faccio sempre così. Ci sono meno probabilità che i clienti ti freghino.»

Victor annuì. «Anch’io faccio così per questo motivo.»

Tirò fuori uno smartphone dall’imbracatura e lo accese. Aprì un browser. La ricezione era perfetta. Per soddisfare l’élite di Sochi.

«Dammi i dati dell’indirizzo email operativo.»

«Non funzionerà» disse l’americano. «Posso accedere alle specifiche del lavoro solo dal computer che ho a casa.»

«I tuoi amici come avrebbero ottenuto la seconda metà del pagamento, se tu fossi rimasto ucciso?»

L’americano esitò. «Non capisco cosa vuoi dire.»

«Sì che lo capisci. Voi avete prestato servizio e ucciso assieme nell’esercito. Vi salvavate la vita a vicenda. Nient’altro crea un legame d’amicizia così forte. Loro erano i tuoi amici, come hai detto tu stesso. E gli amici che si guardano le spalle a vicenda durante i combattimenti non smettono mai di prendersi cura l’uno dell’altro. Tu non li avresti lasciati a bocca asciutta, se fossi morto. Se usavi una cassaforte, hai sicuramente rivelato loro la combinazione; se tenevi tutto in una cassetta di sicurezza, hai sicuramente dato loro le chiavi. Non è possibile che tu avessi un computer a cui potevi accedere solo tu. Dunque, te lo chiedo per l’ultima volta, prima che inizi a cavarti la verità con il coltello: quali sono i dati?»

L’americano distolse lo sguardo, ormai sconfitto. «Prima di iniziare un’operazione davo a tutti le informazioni per accedere all’account. Non si poteva mai sapere.»

«Proprio come avrebbe fatto un buon amico.»

L’americano fornì a Victor i dati e lui entrò nell’account. C’erano cinque email nella casella di posta in entrata, da parte del cliente o mediatore anonimo. Victor le lesse in ordine. La prima era l’offerta di lavoro, con la tariffa e un margine di trattativa. La seconda email includeva il dossier su Victor. Le seguenti tre erano chiarificazioni. Victor aprì l’allegato e lesse il documento.

Sette mesi prima aveva letto un documento simile, ma che conteneva un solo foglio, una stima dei suoi attributi fisici e un identikit del suo volto. Questo dossier era molto più esteso. Includeva dettagli precisi sulla sua altezza, sul peso e il colore di capelli e occhi. C’era una lista, sebbene non esaustiva, delle lingue che parlava. Una pagina descriveva le sue abilità nel combattimento. Erano elencate anche alcune delle sue identità. L’inclusione più significativa erano le fotografie del suo volto, primi piani frontali e di profilo. Aveva i capelli corti mezzo centimetro. Aveva del sangue rappreso sulla fronte e altre ferite. Le foto erano state scattate a sua insaputa, mentre lui era ferito in ospedale prima del suo arruolamento da parte della CIA. Una preziosa polizza di assicurazione per il suo datore di lavoro. Era già brutto sapere che il suo datore di lavoro lo aveva tradito, lo era ancor di più scoprire che il tradimento era stato pianificato fin dall’inizio.

C’era solo una linea d’azione da poter adottare in risposta.

Victor poteva reagire in un solo modo.

Il dossier proseguiva spiegando il compito di Victor nell’uccisione di Kasakov e le condizioni per il decesso di Victor. Andava ammazzato solo dopo che lui avesse assassinato il trafficante di armi. Il suo cadavere andava poi sistemato in un luogo dove non sarebbe mai stato ritrovato. ‘Fornite una conferma immediata dopo l’eliminazione del bersaglio.’

Victor serrò la mascella. «Quanti altri lavori hai svolto per questo cliente?»

L’americano si strinse nelle spalle, per quanto gli era possibile. «Solo uno.»

«Parlamene.»

«Un paio di settimane fa. A Beirut. Ho dovuto rapire un trafficante di armi egiziano, sua moglie e le sue figlie.»

Victor aggrottò la fronte. «Un trafficante di armi egiziano?»

«Sì.»

«Come si chiamava?»

«Non lo so, amico. Era un nome del cavolo, sai com’è.»

«Baraa Ariff» fece Victor.

L’americano annuì. «Sì, si chiamava così. Come fai a saperlo?»

«A chi hai consegnato Ariff e la sua famiglia?»

«Non li abbiamo consegnati.»

«E allora cosa ne avete fatto?»

L’americano si mostrò a disagio. «Secondo te? Li abbiamo uccisi.»

«Perché rapirli, se poi andavano uccisi?»

«Il cliente voleva che li torturassimo e filmassimo tutto.»

Victor si accigliò. Cercò di non immaginare in cosa consistesse la tortura. «Quali sono i dati dell’indirizzo di posta usato per quel lavoro?»

«Quell’indirizzo è stato disattivato. Dopo ogni lavoro...»

«Ti credo» fece Victor con un cenno di assenso. «Io faccio altrettanto.»

Lesse ancora le email per prendere confidenza con la scelta di vocaboli e il tono usati dall’americano, poi scrisse la conferma dell’uccisione. Non aveva senso far scegliere le parole all’americano stesso: avrebbe cercato volutamente di sabotare il messaggio oppure avrebbe rivelato senza volerlo il suo livello di stress. Victor inviò la conferma.

Le sue cose erano già impacchettate e aveva sterilizzato la zona il più possibile. Spense il telefono, si mise in spalla lo zaino ed estrasse l’MK23 dalla fondina.

«Ehi!» fece l’americano con gli occhi spalancati. «A che ti serve quella?»

«Non mentivo quando ti ho detto che tra noi non c’era niente di personale. Ma questo prima che tu mi dicessi che hai ucciso dei bambini.» Victor tolse la sicura e puntò la pistola in mezzo agli occhi dell’uomo. «Anche le persone come noi devono darsi dei limiti.»

Clac clac.