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Zurigo, Svizzera
L’uomo che incontrò Zahm aveva un baricentro basso. Era tozzo e sovrappeso, con un volto gentile, mentre l’anima al di sotto non lo era affatto. Aveva la fronte e gli angoli degli occhi rugosi. Aveva anche una lieve gobba, dovuta ai primi stadi di una cifosi. I suoi occhi erano rossi e lacrimosi. La pelle sottile e rugosa delle mani e degli avambracci era punteggiata di macchie cutanee. Indossava un’ampia camicia di lino, pantaloni e un paio di sandali, e teneva una borsa della spesa di tela nella mano sinistra. Era ben trenta centimetri più basso di Zahm, che era alto un metro e novanta, e lo salutò con la testa inclinata all’indietro, in modo da poterlo guardare negli occhi. Zahm portava gli occhiali da sole. L’aria era calda e secca. Neppure una nuvola guastava il cielo perfetto.
«Ciao, figlio mio» disse l’uomo più basso con un sorriso che mostrò i suoi denti piccoli e di un bianco perfetto. «È così bello rivederti.»
«Anche per me, Padre» rispose Zahm con un finto sorriso «Ti vedo in forma.»
Il Padre diede un’occhiata alla corporatura muscolosa di Zahm. «Non quanto te, ovviamente.»
Malgrado i sorrisi e le parole amichevoli non c’era affetto sincero tra loro. Zahm stava al gioco perché la finzione era importante per il Padre. Si strinsero la mano e Zahm fece attenzione a non serrare troppo la presa. Se non ci pensava, tendeva a far male a chiunque gli porgesse la mano con una stretta che lui considerava modesta. E a quest’uomo non bisognava fare del male, né fisicamente né in altro modo. Dopo la stretta di mano, Zahm si guardò per abitudine attorno, in cerca di possibili pedinatori. Zahm era ben conscio del fatto che le sue dimensioni rendessero più facile un suo inseguimento, perciò aveva cercato in tutti i modi di restare inosservato. Si trovava con il Padre nei terreni dell’università di Zurigo. Gli studenti sedevano sui prati circostanti, a leggere libri, prendere appunti o semplicemente a godersi il sole. Una scena tipica, tranquilla, salvo il fatto che Zahm individuò una pedinatrice. Una giovane donna sedeva su una panchina là vicino, a mangiare un gelato. All’apparenza sembrava una studentessa come tante, con gli stessi vestiti sportivi, gli stessi auricolari, la stessa borsa logora. Anche il suo comportamento era tipico di una studentessa, intenta a godersi il sole come una giovane, muovendo la testa al ritmo di musica. Erano gli avambracci a tradirla. Erano magri ma Zahm vide una muscolatura che non si poteva ottenere da un allenamento convenzionale o dalla pratica di qualche sport. Quei muscoli erano stati affinati da corsi infiniti di autodifesa e combattimento disarmato. Gli stessi corsi in cui Zahm aveva eccelso.
Non diede alcun segno di averla notata. Sarebbe stato maleducato. La donna non era una minaccia, solo una precauzione. Al Padre piaceva avere gente attorno. Era sopravvissuto a tre attentati ed era sempre in guardia per evitare il quarto.
«Ti va di fare una passeggiata?» suggerì il Padre.
L’uomo avanzò a brevi passi, in parte per l’età e la stazza, ma soprattutto perché non amava mai fare le cose di fretta. Con le sue lunghe gambe, Zahm fece fatica a adattarsi alla lenta andatura dell’uomo, e dovette concentrarsi per non allungare il passo. Dopo un minuto si voltò e vide che anche la giovane donna aveva cominciato a camminare.
«Ti ringrazio di essere venuto» disse il Padre. «Mi dispiace di averti dovuto disturbare durante il tuo periodo di riposo. Ben guadagnato, come sempre.»
Zahm rispose: «Non c’è problema.»
«La tua squadra il mese scorso ha fatto un lavoro eccezionale.» Il Padre gli diede una pacca sul braccio. «Sono molto orgoglioso di te.»
Secondo Zahm, quel lavoro non era né migliore né peggiore di qualsiasi altro incarico che la sua squadra avesse eseguito.
«Grazie» rispose, per essere gentile.
Dopo qualche altro passo, il Padre disse: «Mi dispiace farti partire ancora una volta.»
«Così presto?»
Il Padre annuì. «Di recente si è verificato un fatto che può essere gestito solo da una persona fidata come te.»
Ciò scatenò la curiosità professionale di Zahm, ma il Padre, invece di fornirgli ulteriori informazioni, lo condusse in silenzio per un altro minuto. Lui non amava mai fare le cose di fretta. Quando si trovarono in un angolo tranquillo del campus, il Padre smise di camminare e si rivolse a Zahm. La giovane donna non si vedeva, ma era di sicuro nei paraggi.
«La settimana scorsa ho perso quattro dei miei ragazzi» spiegò il Padre, con voce triste. «Stavano conducendo un’operazione di sorveglianza, a Minsk, per controllare una compravendita tra un criminale bielorusso e un trafficante di armi libanese di nome Gabir Yamout.»
Zahm aveva già sentito quel nome. Sapeva chi fosse quell’uomo, che mestiere facesse e per chi. Zahm si accigliò per quell’occasione sprecata.
Il Padre sorrise tristemente. «So cosa stai pensando, figlio mio. Avrai anche capacità operative eccezionali, ma sei un libro aperto.»
Zahm distolse lo sguardo.
«Ebbene sì» disse il Padre. «Sapevamo che Yamout era a Minsk, ma non abbiamo mandato nessuno a ucciderlo. Sarebbe stato un gesto molto scortese, visto che Yamout lavora per me.»
Il Padre riprese a camminare. Zahm lo seguì, aspettando con pazienza che il Padre fornisse dettagli aggiuntivi. Stavolta, quando si fermò, il Padre decise di sedersi sull’erba di uno dei prati dell’università. Si tolse i calzini e i sandali ed emise un gemito soddisfatto mentre contraeva i piedi nudi. Zahm si accovacciò, le spalle rivolte al sole. La giovane donna era tornata, stavolta con una giacca leggera, gli occhiali da sole, senza più gelato e auricolari, e con i capelli legati dietro a coda di cavallo. A un osservatore distratto sarebbe sembrata una persona diversa, ma non agli occhi esperti di Zahm.
«Yamout lavora per me» ripeté il Padre. «A sua insaputa, ovviamente.» Il Padre accennò un altro sorriso e i suoi denti bianchi risplendettero al sole. «È da più di un decennio che faccio sorvegliare lui e il suo socio in affari Baraa Ariff. A casa loro, quando escono a cena fuori, quando portano i figli allo zoo e soprattutto quando incontrano i clienti. La logica è molto semplice: i nostri nemici desidereranno sempre armi, e se non saranno Yamout e Ariff a fornirgliele saranno altri. I trafficanti di armi sono degli intermediari. Eliminarli non servirebbe a nulla.» Fece una pausa. «Tuttavia, lasciandoli in vita, possiamo controllare loro e i loro uomini e scoprire chi riforniscono, e così facendo riusciamo a identificare i nostri nemici ben prima che impieghino quelle armi.»
Zahm annuì, comprendendo la strategia e provando fastidio per essersi arrabbiato senza sapere i fatti.
Il Padre disse: «Sei di nuovo un libro aperto.»
«Che cosa è successo alla squadra di sorveglianza?» chiese Zahm.
Il Padre aspettò che passassero due studenti, tutti presi a parlare a voce alta e gesticolare come solo i ragazzi sotto i vent’anni sapevano fare. Quando furono lontani, il vecchio riprese a parlare. «Yamout era a Minsk per comprare armi, non per venderle, anche se questo lo abbiamo saputo dopo. Mentre era in riunione con il suo fornitore, un assassino ha tentato di ucciderlo. I miei ragazzi, appassionati e altruisti come erano, non hanno esitato a intervenire per salvaguardare il nostro collegamento alla rete di Ariff. Abbiamo protetto sia Yamout che Ariff in passato, sempre a loro insaputa, e in questo caso i miei ragazzi hanno agito con estremo coraggio, ma quattro su cinque sono stati barbaramente uccisi dall’assassino.»
Il Padre ci mise qualche istante per ricomporsi e si asciugò gli occhi con un fazzoletto a motivi. Disse: «Yamout è sopravvissuto all’aggressione, dunque i miei coraggiosi ragazzi sono riusciti a proteggere una delle nostre fonti più importanti. Ma il loro sacrificio non è per questo meno tragico.»
«Chi erano i tiratori?»
Il Padre scosse il capo. «Era un tiratore singolo. Lo abbiamo registrato. Ha operato da solo. Non avevo mai visto tanta morte così alla svelta.»
Infilò una mano nella borsa della spesa e tirò fuori una cartellina per documenti. La consegnò a Zahm, che guardò alcuni fotogrammi dell’incidente.
«Al momento non sappiamo chi rappresenti l’assassino, ma dato che ha attaccato Yamout una volta, potrebbe farlo ancora. O potrebbero farlo altri al posto suo. Forse verrà preso di mira anche Ariff. Se morissero, potrebbe prendere il potere uno dei molti loro assistenti, e potrebbero volerci mesi prima che ci adattiamo alla nuova conduzione, perdendo così opportunità di snidare i nostri nemici. Un esito ancor peggiore sarebbe che il vuoto lasciato venisse occupato da uno o più trafficanti di armi affiliati, e a quel punto noi non sapremmo niente di loro. Non possiamo permettere che succeda.»
Zahm annuì.
Il Padre disse: «Tuttavia, oltre alla necessità di proteggere l’operazione, dobbiamo considerare altro. Ho perso quattro dei miei eroici ragazzi. I quali, morendo, hanno salvato la vita a un essere spregevole.» Fece una pausa, mentre sul suo cadente volto il dolore lasciava spazio alla repulsione e alla rabbia. «Questo fatto mi dà il voltastomaco. Che cosa penserebbero le loro famiglie, se sapessero per chi sono morti i loro cari?» Fece un’altra pausa per ricomporsi. «Figlio mio, voglio che la tua squadra li vendichi.»
«Certo» rispose Zahm senza esitazione.
«Apprezzo il tuo entusiasmo, ma non essere troppo precipitoso nell’impegnare te e i tuoi uomini in questa missione. Chissà quanti altri erano coinvolti in questa faccenda, o quanto ci vorrà per trovarli tutti. E non dimenticare, l’assassino è un bersaglio pericoloso. Come te, è un sicario eccezionale.»
Zahm annuì con fare conciliante. «A prescindere da questo, accetto comunque. La mia squadra è la migliore con cui abbia mai lavorato. Un uomo, seppur pericoloso, è comunque un uomo solo. I nostri uomini meritano vendetta e ti assicuro che la mia squadra condivide questi sentimenti. Saremo onorati di uccidere questo assassino e i suoi committenti.»
Il Padre prese le mani di Zahm tra le sue. «Sapevo di poter contare su di te, figlio mio.»
«Sappiamo chi è l’assassino, o dove si trova?»
«No» rispose il Padre. Infilò di nuovo la mano nella borsa di tela e consegnò a Zahm un documento che conteneva un’altra serie di fotografie. «Queste, però, sono state scattate alla stazione centrale di Minsk il giorno dopo l’attacco. Come vedi, ci sono due uomini che camminano assieme, uno appena dietro l’altro. Non vediamo il volto del secondo uomo, ma io credo che si tratti dell’assassino che stiamo cercando. Il primo uomo è stato identificato come Danil Petrenko, il boss del crimine bielorusso che Yamout è andato a incontrare a Minsk.»
Zahm esaminò le fotografie. «Dà l’impressione di essere un ostaggio.»
Il Padre annuì. «Tuttavia, è fuggito dalla Bielorussia quel giorno stesso con la sua ragazza, con un volo per Barcellona. Penso che varrebbe la pena se tu facessi due chiacchiere con il signor Petrenko.»