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Lubiana, Slovenia

La capitale della Slovenia si estendeva di fronte a Victor. La sua stanza d’albergo era al quattordicesimo piano, abbastanza in alto da non poter essere osservata da altri edifici, e concedergli dunque il raro piacere delle tende aperte. La città fuori dalla finestra era smorzata dalle nuvole grigie, ma l’alba che saliva oltre le cime coperte di neve delle Alpi di Kamnik in lontananza rendeva la vista piacevole.

Il suo datore di lavoro, con un tono simile a quello che Victor immaginava assumesse un padre con il proprio figlio, disse: «Dobbiamo parlare.»

Victor si sedette alla misera scrivania sopra la quale si trovava un portatile. Bevve una limonata siciliana da una bottiglia di vetro ghiacciata. La voce risuonò di nuovo dagli altoparlanti del computer. «C’è un grave problema di cui lei deve essere a conoscenza. Riguarda la Lancet.»

«Immagino che il problema sia il fatto che la squadra che ho ucciso a Minsk era del Mossad israeliano.»

«Come ha fatto a...»

«Mi sono chiesto chi avesse le motivazioni, i mezzi e la scaltrezza per condurre un’operazione di sorveglianza su Gabir Yamout, e a chi gli Stati Uniti potevano vendere tecnologia riservata. C’era solo una risposta possibile.»

«Immagino comprenda la gravità della situazione.»

«Certo» rispose Victor. «Il suo tono finora è stato piuttosto evocativo.»

«Non è il momento di scherzare. Gli israeliani l’hanno filmata, amico mio, mentre faceva la ricognizione della suite. Devo dire che sono rimasto molto sorpreso. La credevo più cauto. Le telecamere di sorveglianza l’hanno ripresa da tutte le angolazioni. Ho visto i fotogrammi. Sono nitidissimi.»

Victor annuì tra sé. Immaginava che la diretta video fosse stata copiata da qualche parte, ma in momenti come quelli non era divertente accorgersi di averci visto giusto. I suoi nemici avevano il suo volto, la sua voce, sebbene in russo, e sarebbero stati in grado di calcolare altezza e peso. Questo avrebbe fornito al Mossad un profilo che nessun altro aveva. L’anonimato era sempre stato la sua migliore forma di difesa e senza di esso era vulnerabile.

«Dato il lasso di tempo limitato in cui mi sono trovato costretto a operare» disse Victor «quella ricognizione era inevitabile.» Fece una pausa, poi aggiunse: «Da quel che ne deduco il Mossad ha richiesto aiuto alla CIA per la mia ricerca, ed è per questo che lei ha i fotogrammi.»

«Mi dispiace dirglielo, ma stanno ricevendo un servizio da veri amici. In effetti, gli USA stanno prestando a Israele ogni mezzo di spionaggio disponibile.»

«Devono essere proprio interessati a prendermi.»

«Eccome, amico, eccome. Il Mossad è l’agenzia di spionaggio più vendicativa del pianeta, e questo senza considerare il fatto che il capo della loro divisione operativa si sta mostrando molto interessato all’incidente. È vecchio quanto Israele stesso e prende molto a cuore gli attacchi al suo popolo, come se fosse un’unica, grande famiglia. Lei non ci crederà, ma lo chiamano Padre.»

«Vuole che sparisca?»

«No, no, non deve farlo assolutamente» rispose subito l’agente. «Ho ancora bisogno di lei. Ho un altro lavoro per lei, che le esporrò tra un minuto. Dovremo lavorare assieme per assicurarci che gli israeliani non la acciuffino, d’accordo? Né io né lei vogliamo che accada. Io farò tutto il possibile per aiutarla, ma dovrò limitarmi a fornirle gli aggiornamenti della CIA. Devo mantenere un profilo basso e tenermi a distanza il più possibile dalla faccenda. Se dovessi attirare sospetti su di me, per loro sarebbe ancora più facile arrivare a noi due. Lei se la dovrà cavare da solo per la gran parte del tempo.»

Victor se lo aspettava, ed era abituato a sopravvivere e operare da solo mentre i nemici gli davano la caccia. Quantomeno, stavolta aveva il vantaggio di essere cosciente in anticipo della situazione e di sapere chi aveva contro. E se il suo datore di lavoro avesse mantenuto la parola, fornendogli aggiornamenti, per lui sarebbe stato un po’ più facile stare lontano dal mirino degli israeliani.

«Hanno già inviato la squadra Kidon» disse la voce. «Credo che adesso sia a Minsk, a cercare indizi. Immagino non ci sia bisogno che le dica cosa sono le squadre Kidon.»

«Sono squadre omicide e di sequestro. Operano con un ampio margine di indipendenza dal Mossad, conducendo ricerche e azioni di sorveglianza in modo autonomo. Un’unità completamente operativa consiste almeno di quattro uomini e donne, che eseguono l’omicidio in sé, più altre persone che si occupano della sorveglianza, dei rinforzi, della bonifica e del supporto logistico.»

«E sono bravi» aggiunse l’agente, inutilmente. «Molto bravi.»

«Sono ben consapevole delle loro capacità.»

«Allora speriamo che non le debba sperimentare in prima persona.»

«Controllerò che nell’ascensore del mio albergo non ci siano tizi vestiti da tennisti.»

«Carina questa, ma non dimentichi che le Kidon sono la ragione per la quale tutti i cattivi del Medio Oriente controllano sotto il letto prima di andare a dormire.»

«Non lo dimenticherò.»

«Bravo. Alla fine, nonostante il desiderio della CIA di aiutare i nostri cugini ebrei, le risorse verranno indirizzate altrove. Non si offenda, ma abbiamo cose più importanti di cui occuparci, rispetto a lei. E quando rivolgeremo la nostra attenzione altrove, gli israeliani resteranno azzoppati. Da solo, il Mossad non ha un personale o la tecnologia sufficienti a trovarla, a meno che lei non faccia una stupidaggine e li aiuti. Ma io so che non succederà. Mi chiami, se nota qualcosa di sospetto, e io le passerò tutte le informazioni sui progressi della Kidon di cui sarò al corrente.»

«Certo» disse Victor. «Perché se dovessero trovarmi mi porterebbero in un luogo appartato per fare una chiacchierata. E sappiamo entrambi qual è il risultato di quel genere di conversazioni. Mi estorceranno tutto ciò che so su di lei, che non è molto, ma sarà sufficiente a metterli nella direzione giusta. Lei mi aiuterà il più possibile perché non vuole fare la mia stessa fine.»

«Certo che no. Lei ha assolutamente ragione. Rischiamo tutti quanti.»

«Tutti quanti

«Non siamo solo io e lei a essere coinvolti nell’operazione.»

«Dunque adesso è un’operazione? Non sono semplicemente dei bersagli scollegati?»

«Io non ho mai detto che fossero scollegati.»

«Non ha mai detto neppure che fossero legati.»

«Non c’era alcun bisogno che lei lo sapesse» rispose l’agente. «Lei pensi soltanto a non dare nell’occhio e vedrà che la cosa si sgonfierà prima di quanto immagina.»

Victor non capiva se l’agente lo pensasse sul serio, ma di sicuro il primo mese sarebbe stato il più pericoloso. Se la squadra Kidon non fosse riuscita a trovarlo in quel lasso di tempo, Victor avrebbe potuto rilassarsi un po’, anche se mai del tutto. Gli israeliani avevano la memoria lunga.

Non si radeva da tre settimane, ovvero da Minsk, e adesso aveva una barbetta che lo aiutava a camuffarsi. Non si tagliava i capelli dalla Romania, ma non erano cresciuti abbastanza da alterare il suo aspetto in maniera significativa. Avrebbe potuto tagliarli più corti di quanto li aveva avuti a Minsk, ma con una lunghezza maggiore aveva più possibilità di cambiare stile. Avrebbe dovuto comprare occhiali da vista da banco e lenti a contatto colorate. Anche l’abbronzatura che aveva ottenuto di recente gli sarebbe stata d’aiuto. Il camuffamento non gli sarebbe servito a ingannare il software per il riconoscimento facciale, ma gli avrebbe consentito di non essere identificato da una spia.

«Adesso che siamo sulla stessa lunghezza d’onda per quanto riguarda gli israeliani» disse l’agente «possiamo passare al nostro nuovo incarico. Le sto inviando il dossier.»

Quando la nuova email arrivò nella casella di posta in entrata, Victor aprì il messaggio e scaricò il documento allegato. Mostrava un uomo dal volto squadrato, dai tratti slavi e i capelli corti e neri, prossimo ai cinquanta. Victor avrebbe riconosciuto quel volto anche senza il peculiare orecchio sfregiato. Era il volto che lo aveva guardato con intensità al Grand Plaza Hotel di Bucarest più di un mese prima, il volto dell’uomo che si era offerto di comprargli un completo nuovo, il volto dell’uomo a cui Victor aveva salvato la vita. L’uomo che adesso doveva uccidere.

«Lo avrà sicuramente riconosciuto» disse la voce dagli altoparlanti. «Si chiama Vladimir Kasakov ed è un trafficante di armi. Se c’è un anticristo, è lui.»

«So chi è» rispose Victor a denti stretti.

«Allora sa che farà un grosso favore al mondo spedendolo sotto terra.»

Le sorprese erano sempre sgradite a Victor, sia in ambito personale che professionale, ma il fatto che l’uomo che aveva di recente salvato fosse l’uomo che adesso doveva ammazzare era una sorpresa più sgradita che mai. Quel lavoro appariva in qualche modo in contrasto con la sua dottrina di professionista. Nei molti anni vissuti da sicario, non aveva mai ricevuto una commissione simile.

«È ancora là?» chiese l’agente.

Victor rimase in silenzio.

«Vuole sapere perché abbiamo dovuto salvare Kasakov cinque settimane fa, mentre adesso deve ucciderlo» disse l’agente, quasi riuscisse a leggere nei pensieri di Victor. Dato che il sicario non rispondeva, proseguì: «La capisco. Anch’io vorrei saperlo, se fossi al posto suo. Le circostanze sono cambiate. È complicato, e non c’è bisogno che lei sappia le cose nel dettaglio, ma per farla breve allora era necessario che Kasakov restasse in vita, mentre ora è necessario che muoia. Sono certo che per lei non sia un problema.»

Non avrebbe dovuto esserlo. Quello era un lavoro come i tanti altri che Victor aveva eseguito, troppo numerosi perché li si potesse contare, anche se sapeva che se ci avesse provato sarebbe riuscito a ricordare ogni nome, ogni faccia. E poi, questo bersaglio non era certo un eroe la cui morte sarebbe stata spiacevole. Vladimir Kasakov aveva contribuito a rendere possibile la guerra e il genocidio. Victor non avrebbe dovuto farsi scrupoli a uccidere un uomo del genere.

Tuttavia, ci aveva parlato, aveva avuto un contatto personale con il suo bersaglio, sebbene breve. Aveva guardato Kasakov negli occhi molto prima che gli venisse ordinato di ammazzarlo. Inoltre, gli aveva salvato la vita. Ciò non avrebbe dovuto avere importanza. E invece l’aveva.

«Be’» disse l’agente. «È un problema?»

«No» rispose cautamente Victor.

«Bene.»

«Il problema è che Kasakov e le sue guardie del corpo mi hanno visto in faccia. Gli sono passato accanto e loro mi hanno notato. Sapevano che era stato sparato un colpo, perciò stavano tenendo d’occhio tutti quanti. Se avessi saputo che Kasakov sarebbe diventato un bersaglio, avrei evitato che succedesse. Adesso non posso rischiare di avvicinarmi a lui, perché potrebbe riconoscermi. Questo limita le mie opzioni. E delle opzioni ridotte rendono il lavoro assai più difficile e pericoloso.»

«Ah, capisco» fece l’agente. «Mi dispiace.»

«Il suo dispiacere non è sufficiente.»

«Ascolti, questo non è un partenariato. Io sono il suo capo. E lei è alle mie dipendenze. Se le dico che mi dispiace dovrebbe considerarsi immensamente privilegiato, cazzo.»

«Le avevo già chiesto in passato di non imprecare in mia presenza.»

«Mi scusi. Ma lei si sbaglia se pensa che mi importi qualcosa della sua pruderie in quanto alle parolacce. Le ho offerto le mie scuse per questa situazione, perciò sarà meglio che le accetti e si dia da fare. Deve familiarizzare con un bersaglio, dunque lo faccia.»

«Spero proprio che questa volta il dossier contenga tutto ciò che devo sapere, non solo ciò che lei pensa che io debba sapere. Se scoprissi che non è così, o se ci fossero altre sorprese, non ne sarò felice.»

La voce dell’agente calò di alcuni decibel. «Io non accolgo di buon grado le minacce.»

«Io non faccio minacce. Sto solo esponendo un fatto. Se lei non lo accoglie di buon grado non è un problema mio.»

Per alcuni secondi si udirono dei sospiri. Victor aspettò che l’agente dicesse qualcosa.

«Calmiamoci tutti e due» disse alla fine la voce. «D’accordo?»

«Io sono sempre calmo.»

«Be’, io no» aggiunse l’agente. «Ma sono abbastanza adulto da ammettere quando sbaglio. Le ho già chiesto scusa. Avrei dovuto dirle prima di Bucarest che Kasakov in seguito sarebbe potuto diventare un bersaglio.»

Victor disse: «Fino ad ora ho svolto tre lavori per lei: a Bucarest, Berlino e Minsk, e sono stati tutti affrettati, oppure non ho ricevuto informazioni complete. Adesso ho alle calcagna il Mossad e lei mi sta chiedendo di uccidere un uomo che mi ha visto in faccia. E quando questo lavoro sarà completato pretende che io esegua un’altra commissione per lei, aggiuntiva al nostro patto iniziale.»

«Si sta rifiutando di farlo?» chiese l’agente. «Perché per un uomo che ha così tanti nemici non è la mossa più intelligente da fare.»

«Io non mi sto rifiutando. Sto solo dicendo che quando Kasakov sarà morto il nostro accordo si concluderà. Questo è il mio ultimo lavoro.»

Silenzio. Victor guardò fuori dalla finestra della camera. Il sole nascente rischiarava le montagne.

Alla fine, la voce disse: «D’accordo, ha vinto lei. Questo sarà il suo ultimo lavoro. Dopo di ciò, sarà un uomo libero. Potrà andare a vendere cesti di fiori per le strade di Bangkok, per quel che mi riguarda. Ma non tornerà a fare il libero professionista. Assolutamente. Lavorerà esclusivamente per me oppure si ritirerà. Se avrò anche il minimo indizio che lei è coinvolto in qualche omicidio, farò di tutto per annientarla. Ci siamo capiti?»

«Sì, io l’ho capita. E spero che lei capisca me.»

«Allora» disse l’agente. «Possiamo tornare all’operazione Kasakov?»

«Dipende» rispose Victor. «Da una condizione finale. Se devo ucciderlo, voglio decidere io come.»

«Può farlo come preferisce. Tra un paio di settimane Kasakov andrà in vacanza nella sua dacia sulle sponde del Mar Nero. Sarà sorvegliato, ma dovrebbe essere più facile colpirlo là, rispetto a quando è a Mosca. Presto avrò ulteriori dettagli sul luogo, ma per adesso ha già informazioni sufficienti per mettersi al lavoro. La vacanza durerà due settimane, perciò ha tutto il tempo che vuole per agire.»

«Bene» fece Victor e finì la limonata.

«E stavolta» gli assicurò la voce «le garantisco che non ci saranno sorprese.»