23
Victor era in attesa per le scale quando andò via la luce. Essendo privo di finestre, lo spazio si fece quasi del tutto buio. Aveva già gli occhiali termografici in mano; se li mise e li accese. Attraverso gli occhiali, tutto apparve in sfumature di grigio chiaro. Le fredde pareti erano quasi bianche. Le calde lampadine erano nere. Victor si tolse le scarpe ed estrasse il P90 dalla borsa a tracolla.
Tolse la sicura all’arma, lasciò la borsa sul pavimento accanto alle scarpe e alla giacca e aprì la porta delle scale, usando il piede per impedire che si richiudesse. Alzò l’arma con entrambe le mani e premette il calcio all’incrocio tra il petto e la spalla. Posizionò il modulo di puntamento laser al massimo e il sottile fascio di luce risplendette nello spazio, illuminando la parete opposta. Attraversò la porta.
Dalla cupola di vetro filtrava luce artificiale da fonti esterne. Forse la luce era sufficiente a renderlo visibile a un metro e mezzo, ma non di più. Il corridoio del settimo piano era lungo e stretto e formava quasi un cerchio completo attorno allo spazio centrale. La porta della suite presidenziale era a sette metri di distanza. All’esterno c’erano due uomini. Una delle guardie di Petrenko, con i jeans e gli abiti sportivi, una delle guardie di Yamout, con il completo. I loro vestiti apparivano grigi attraverso gli occhiali, mentre la parete e la porta, più fredde, erano più chiare. Le teste e le mani erano nere. Avevano le pistole estratte, muovevano la testa da parte a parte, incerti sul da farsi, accecati dall’oscurità. Le luci erano andate via da sei secondi.
L’estremità del raggio a infrarossi risplendette sul petto del tizio più vicino. Due proiettili da 5,7 mm lo colpirono allo sterno. Un terzo lo colpì tra gli occhi.
Il rumore degli spari del P90 furono dei clic a malapena udibili. Il rumore del proiettile che penetrava nella carne fu più forte. Il P90 espulse i bossoli delle cartucce esplose, che tintinnarono assieme sul tappeto. Victor abbassò del tutto il grilletto e crivellò di colpi il torso dell’uomo più distante, mentre questi si voltava in risposta al primo abbattimento. L’uomo incespicò ma rimase in piedi, il cervello che faceva fatica a capire cosa fosse successo al corpo. Victor fece un passo laterale verso sinistra per prendere la mira, premette il grilletto fino a metà e piantò un altro proiettile nella fronte del tizio, prima che questi avesse il tempo di gridare dalla sorpresa o dal dolore. L’uomo cadde sopra l’altro cadavere. Un mucchio ordinato.
Victor raggiunse in fretta la porta della suite, partendo dal presupposto che qualcuno all’interno avesse udito le due guardie cadere a terra e si stesse preparando a un’irruzione. Era improbabile e, anche se lo avessero sentito, era ancora più improbabile che potessero scrollarsi di dosso lo spavento in tempo per pensare a difendere la porta, ma Victor era riuscito a rimanere vivo così a lungo solo preparandosi sempre al peggio.
Si piazzò dritto davanti alla porta, puntò il P90 all’altezza del torso e scaricò una lunga raffica attraverso la porta, per far compiere ai proiettili un ampio arco nella stanza al di là. La possibilità di andare a segno era minima, ma il suo scopo era quello di distrarre e mandare nel panico le persone abbastanza a lungo da permettergli di superare la porta senza venire colpito. Victor scaricò un’altra raffica sulla maniglia e la serratura.
Sollevò il P90, aprì la porta con un calcio e avanzò di due passi, si accovacciò, guardando subito a sinistra, sparando al petto al primo uomo che vide. Questi cadde sul tavolo da pranzo, buttando a terra delle sedie.
Victor si girò a destra, vide un’altra sagoma scura in fondo alla stanza, fece fuoco, osservò la sagoma franare su un cassettone. Il vetro si ruppe. Un passo avanti e Victor scorse un qualcosa o un qualcuno accucciato dietro un divano nella zona della tv. Scaricò una raffica sui cuscini, udì un grido e ne scaricò un’altra. Niente più grida. Controllò una seconda volta la stanza. Non c’era nessuno.
La suite era grande, priva di luce ma con sfumature di grigio attraverso gli occhiali. Spesse tende oscuravano tutte le finestre lungo la parete opposta, ed era proprio ciò ad avere impedito a Victor di usare il fucile, ma adesso lo stava aiutando. Dall’esterno giungeva solo una minima traccia di luce, e non avrebbe permesso a nessuno di vedere oltre cinque o sei centimetri. Gettando un’occhiata in basso, Victor vide che il caricatore da cinquanta colpi aveva forse ancora dieci pallottole, ma lo estrasse comunque.
Ne stava prendendo un altro quando alla sua sinistra si spalancò una porta e ne uscì precipitosamente un uomo. Indossava pantaloni eleganti e un giubbotto antiproiettile, le braccia nude nere come il volto. Il centro del giubbotto era scuro dal sudore. Era armato, una grossa pistola stretta in entrambe le mani, e si muoveva in modo erratico, facendo altrettanto con la testa, mentre gli occhi scrutavano nell’oscurità, incapaci di vedere Victor accovacciato a non più di tre metri da lui.
Victor estrasse con la mano sinistra la USP e sparò all’uomo con un doppio colpo alla testa. I proiettili gli uscirono dalla nuca e schizzarono materia cerebrale risplendente di nero sulla parete. Victor rimise nella fondina la Heckler & Koch e inserì un secondo caricatore nel P90.
Superò il cadavere più recente, nella sala da pranzo, ed entrò in gran fretta nella camera da letto principale. Là era meno buio, perché uno spiraglio di cinque centimetri nelle tende lasciava entrare più luce da fuori. La camera era vuota. Victor si fermò sulla porta del bagno annesso, vi scaricò una raffica di colpi, la aprì alla svelta e vi entrò ancor più alla svelta. Non c’era nessuno nascosto nella doccia o nella vasca.
Due tizi fuori dalla suite, quattro all’interno. Ne aveva abbattuti sei. Ne restavano cinque: Yamout, Petrenko e tre guardie del corpo. Controllò l’orologio. Erano passati venti secondi dal primo sparo. Aveva l’impressione che fosse passato molto più tempo. Gli succedeva sempre.
Udì un rumore alle sue spalle, un clangore, che veniva dal lato opposto della suite. Si voltò, uscì dal bagno e dalla camera da letto principale, tornando in salotto.
Senza scarpe, i suoi passi erano silenziosi sullo spesso tappeto. Victor si affrettò a raggiungere la zona della tv, udendo un sussurro indecifrabile provenire dall’altra camera, e una risposta altrettanto incomprensibile. Si mise sulla sinistra della porta, premette fino in fondo il grilletto per inserire la modalità automatica e sparò una raffica all’altezza della vita oltre la porta, con un’angolazione di dieci gradi, dirigendo i proiettili lungo la parete direttamente alla destra della porta, e cambiando poi posizione per sparare un’altra raffica dal lato opposto. Ci fu un gemito, uno sferragliare di metallo sul legno. In quel genere di situazioni, le persone se ne stavano sempre in piedi o accovacciate ai lati delle porte.
Victor sparò sulla maniglia e la serratura, poi si buttò a pancia in giù. Si trascinò in avanti finché non si trovò sdraiato con la spalla sinistra contro il battiscopa, il corpo parallelo alla parete, la testa in linea con il telaio della porta. Socchiuse la porta con la bocca dell’SP-90. La porta cigolò lievemente.
In risposta, spari all’altezza dello sterno esplosero attraverso i pannelli della porta. I proiettili si conficcarono nella parete sul lato opposto della suite, alcuni all’altezza della testa, altri ancora più in alto. I tiratori erano due, dunque, uno disposto molto in basso (prono o inginocchiato), l’altro accovacciato.
Victor, ancora a pancia in giù, diede un calcio a una sedia della sala, che cadde a terra con un tonfo. La sparatoria di conseguenza cessò e Victor aggiunse un gemito allo stratagemma, mentre strisciava in avanti verso la porta, la apriva con una gomitata e vedeva immediatamente il primo tiratore, quello a cui aveva sparato attraverso la porta, seduto sul pavimento, la schiena contro il letto, le gambe allargate in una pozza di sangue nero. L’uomo vide Victor una frazione di secondo prima che pallottole di 5,7 mm gli forassero il cuore, i polmoni e la colonna vertebrale.
Victor si mise subito accovacciato, notò il secondo uomo accovacciato sul lato opposto del letto, per usarlo come copertura, il volto stravolto dalla sorpresa non appena Victor apparve dal nulla. Victor gli sparò due colpi in fronte, si alzò in piedi, controllò la stanza ma non vide nessun altro. A quel punto restava solo il bagno annesso. Cadendo, il secondo uomo aveva tirato giù una delle tende e la luce notturna artificiale della città si riversava nella stanza.
La porta del bagno era chiusa. Restavano tre uomini, adesso accalcati nel bagno per salvarsi. Intrappolati. Victor controllò il caricatore, vide che aveva ancora circa il trenta per cento di capacità. Era più che sufficiente.
Avanzò ma si fermò quando udì scricchiolare un bossolo alle sue spalle, nel salotto. Si voltò alla svelta, andando verso la porta, aspettandosi di vedere un ospite disorientato o una guardia giurata venuta a indagare. Al contrario, vide la sagoma grigio scuro di un uomo snello al centro del salotto, un altro al suo fianco, più basso e muscoloso, entrambi con le braccia protese in avanti, a stringere grigie pistole nelle mani nere. Avevano già notato Victor nel debole bagliore causato dalla finestra priva di tenda, e fecero fuoco per primi. Gli spari silenziati schioccarono nell’aria quieta, mentre le bocche delle armi apparivano come minuscoli scoppi neri attraverso la visuale a infrarossi. Spararono quasi all’unisono, la prima pallottola colpendo Victor sul tricipite destro, la seconda colpendolo otto centimetri sotto lo sterno e facendolo cadere prima che avesse il tempo di rispondere.
L’impatto gli tolse l’aria dai polmoni e malgrado lo shock e il dolore rimase immobile, udendo dei passi avvicinarsi a lui. Respirò nella maniera più superficiale possibile, gli occhi chiusi per non ricevere luce, il pugno destro ancora serrato sul P90. La pancia gli faceva male per il proiettile subsonico, ma il dolore era solo pari a quello di un pugno, grazie al giubbotto antiproiettile di Kevlar. Gli faceva più male la ferita al braccio, ma si sforzò di non darlo a vedere.
Victor immaginò che fossero altri soci di Yamout, che probabilmente avevano risposto a una telefonata piena di terrore. Dovevano essere stati vicini, per essere arrivati così alla svelta; allo stesso piano, in un’altra suite, ma dovevano essere arrivati prima, dato che Victor non li aveva visti. Pensò all’osservatore nell’atrio, si maledì per aver pensato che quell’uomo fosse da solo.
I passi rallentarono nell’avvicinarsi. Nell’oscurità, non sarebbero stati in grado di vedere che Victor indossava un giubbotto antiproiettile. Le assi del pavimento sotto il tappeto scricchiolarono mentre un piede pesante si accostava alla gamba destra di Victor. Gli diedero un colpetto al fianco con il piede. Un controllo inutile, che però le persone con troppa adrenalina in corpo tendevano a fare.
Un’altra voce gridò dal bagno della camera principale. Era in russo, probabilmente Petrenko, una disperata richiesta d’aiuto. Si udì un secondo urlo in arabo, probabilmente emesso da Yamout. Non ci fu risposta da parte dei due uomini accostati a Victor.
Il piede vicino alla sua gamba si mosse e Victor sentì l’uomo spostarsi di fianco al suo braccio destro. Un secondo uomo andò alla sua sinistra, poi lo superò. L’uomo alla destra scavalcò il suo braccio e Victor attese che avesse fatto tre passi in avanti prima di aprire gli occhi. Girò la testa all’indietro, vide le sagome grigie dei due uomini davanti a lui, capovolte, che entravano nel bagno, lentamente, malgrado le grida d’aiuto.
Victor strinse l’impugnatura anteriore del P90 con la mano sinistra, sollevò il mitra sopra la testa, mirò alla schiena del primo uomo e premette il grilletto.
Una linea frastagliata di fori di proiettile squarciò la colonna vertebrale dell’uomo. Il rinculo dovuto allo sparo a capo all’ingiù e senza un sostegno appropriato fece danzare il P90 nelle mani di Victor e perdere colpi. Victor cambiò mira e colpì il secondo uomo al fianco, al braccio e alla testa. Entrambi gli uomini si accasciarono sul tappeto, morti.
Il dolore al braccio cominciò a intensificarsi. Victor controllò la ferita. Sanguinava, ma non molto. La pallottola non era penetrata, ma aveva scavato un solco superficiale sulla pelle e il muscolo. Non era grave, ma Victor non avrebbe potuto fare flessioni per un po’. Si mise accovacciato. Un proiettile staccò un pezzo di moquette e legno vicino a lui.
Sentì un altro proiettile fendere l’aria più in alto. C’era un terzo guastafeste nel salotto, che faticava a capire esattamente dove fosse Victor, così abbassato a terra. Victor sollevò in fretta il P90 per replicare al fuoco, ma non ebbe il tempo di rilevare completamente il bersaglio e lo mancò. Lo sparo silenziato ottenne tuttavia un risultato e il tiratore si mise al riparo, ma il P90 scattò a vuoto.
Non c’era tempo per ricaricarlo, il tiratore sarebbe riapparso da un momento all’altro, perciò Victor abbandonò il mitra, estrasse la USP, adottò una presa a due mani, trattenne il fiato e aspettò che l’aggressore si facesse vedere.
Non lo fece. Victor sparò.
Non ci furono grida, ma Victor udì il tipico rumore sordo di un proiettile calibro 45 che penetra nella carne.
Se c’erano tre uomini di cui lui non era al corrente, allora potevano essercene altri, perciò Victor rimase immobile per cinque secondi, in attesa, l’USP puntata sullo spazio al centro del salotto, dove sarebbe apparso chiunque fosse entrato. Grazie all’ingresso aperto, il rumore del suo attacco si era diffuso lontano, armi silenziate o meno. La sicurezza dell’albergo poteva essere in arrivo. Forse avevano già chiamato la polizia. Victor sapeva di dover abbandonare, uscire immediatamente, ma il suo bersaglio era a meno di sei metri di distanza.
Tornò di corsa nella seconda camera da letto, facendo attenzione a non inciampare sui cadaveri sul vano della porta. Udì il rumore del traffico mentre si avvicinava alla porta del bagno, capendo ciò che significava prima di sentire la corrente d’aria. Aprì la porta con un calcio. La luce che proveniva dalla finestra infranta forniva un’illuminazione sufficiente a fargli vedere che il bagno era vuoto, anche senza gli occhiali termografici. La finestra era piccola ma abbastanza grande da permettere a un uomo robusto di passarvi, se la sua vita fosse stata in pericolo. Victor entrò nella vasca e si allungò per sbirciare oltre l’apertura. C’erano sangue e brandelli di vestiti sui frammenti di vetro non rimossi. Vide l’esterno dell’albergo. Non tre uomini, ma un cornicione profondo a sufficienza. Udì delle sirene.
Victor si precipitò di nuovo nella suite, accorgendosi dai gemiti nel salotto che l’ultimo tizio non era morto, solo inabile. Victor lo ignorò, uscì nel corridoio appena in tempo per vedere un ascensore in salita, già due piani sotto di lui, poi una traccia di grigio e nero degli uomini all’interno. Gli ascensori, a differenza di tutti gli altri apparecchi elettronici, non si erano fermati quando Victor aveva tolto la corrente. La maggior parte degli impianti aveva un’alimentazione ausiliaria proprio per quel genere di emergenze.
Fece fuoco e una rete di incrinature apparve sul vetro dell’ascensore un secondo prima che Victor perdesse l’angolazione. Fece fuoco comunque, sparando al tetto, premendo il grilletto finché l’arma non fu scarica, sapendo che le munizioni ACP calibro 45 avevano poche possibilità di penetrare nei macchinari in cima all’ascensore, ma lui non aveva intenzione di scendere nell’atrio, e se anche ci fosse riuscito sarebbe stato troppo tardi per intercettare Yamout, soprattutto con la sicurezza dell’albergo in giro. Ricaricò l’arma e svuotò un secondo caricatore in meno di quattro secondi. Era inutile, ma non c’era tempo di fare altro. L’ascensore era tre metri sotto di lui.
Niente da fare.
Il lavoro era finito. Victor aveva fallito. Ora contava soltanto fuggire. I problemi che il fallimento avrebbe creato dovevano attendere. Si diresse alle scale, notando una tenue luce verde che veniva dal vano di una porta aperta lungo il corridoio, e che portava alla suite di fianco a quella presidenziale. La fonte della luce doveva essere un qualcosa di alimentato a batteria, probabilmente lo schermo di un computer. Victor ripensò ai tre tizi che avevano fatto irruzione nella suite presidenziale appena un minuto dopo di lui. Dovevano essersi appostati di fianco alla suite per essere arrivati così alla svelta, ma non avevano risposto alle grida di aiuto di Petrenko e Yamout. Non erano amici di nessuno dei due, dunque chi erano?
Victor non aveva molto tempo per ottenere una risposta, ma era stato costretto a uccidere altri tre uomini rispetto a quelli stabiliti nel compenso. Quegli uomini avevano provato a ucciderlo e gli avevano impedito di portare a termine la commissione, un fatto che avrebbe potuto avere conseguenze fatali. Voleva una spiegazione.
«Non muoverti» disse una voce in russo alle spalle di Victor. La voce rivelava la sicurezza dovuta al possesso di un’arma da fuoco. Un’arma da fuoco che Victor presumeva fosse puntata verso di lui.
Si fermò. A mezzo metro dalla porta.
«Metti giù la pistola.»
Non c’era niente che potesse rivelare a Victor dove si trovasse l’uomo, perciò se Victor avesse tentato di fare qualcosa avrebbe potuto affidarsi solo alla velocità, confidando sul fatto di potersi girare, sollevare l’arma, mirare al bersaglio e sparare un colpo fatale prima che l’uomo avesse il tempo di applicare una certa pressione sul grilletto dell’arma.
Victor lasciò cadere l’USP, che fece un tonfo sordo sulla moquette.
«Adesso togliti gli occhiali.»
Victor li poggiò sul pavimento.
«Voltati.»
Victor lo fece.
Di fronte a lui c’era un uomo, a non più di tre metri da lui, equidistante tra Victor e le scale. La cupola forniva abbastanza luce da illuminare la pistola silenziata nelle mani dell’uomo e il sudore luccicante sul suo volto. Era trafelato, avendo probabilmente salito di corsa varie rampe di scale. Aveva un volto allungato, con una barba corta. Victor lo riconobbe anche senza la giacca di camoscio marrone. Era l’osservatore.
«Chi diavolo sei?» chiese l’uomo.
Le parole erano in russo, ma non era la sua lingua nativa. Victor non riusciva a riconoscere l’accento. Non rispose. Avrebbe voluto fargli la stessa domanda.
«Spingi lontano la pistola con un calcio» gli ordinò l’osservatore.
Victor lo assecondò, ma allontanandola solo di poco. L’osservatore si avvicinò. Si mosse in modo cauto, gettando uno sguardo alle due guardie del corpo morte fuori dalla suite presidenziale.
«Presto arriverà la polizia» disse Victor.
L’osservatore lo ignorò e fece un cenno con la pistola. «Getta a terra anche l’arma di scorta.»
Victor mise una mano dietro la schiena, dove teneva la P22.
«Fallo lentamente» lo esortò l’osservatore.
Victor estrasse la Walther e la portò sul davanti. «Stavolta non lasciarla cadere, gettala lontano.»
Victor lo fece, ma la buttò in avanti, verso l’osservatore. Non per fargli del male, ma per distrarlo. L’osservatore diresse lo sguardo d’istinto verso l’arma che gli veniva incontro e sussultò, per schivarla. Quando si riprese, Victor aveva ormai superato la porta.
La richiuse alle sue spalle e vide che la fonte di luce verde era lo schermo di un computer, come immaginato. Era diviso in sei finestre, di cui cinque mostravano un’immagine differente ripresa da quelle che dovevano essere telecamere per visione notturna nascoste nella suite presidenziale.
Victor non ci pensò più. Tutti i suoi pensieri si concentrarono sull’uomo dall’altro lato della porta, l’uomo che aveva una pistola, mentre lui non aveva nulla.