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Mosca, Russia

Malgrado i sorrisi, gli aneddoti, le parole gentili e le strette di mano, Vladimir Kasakov era annoiato, frustrato e desideroso di trovarsi altrove. La festa era un evento tipico per l’élite moscovita. C’erano politici, oligarchi e celebrità, tutti presi a socializzare, comportarsi in maniera amichevole e ridere, mentre in segreto provavano odio l’uno per l’altro. Gli oligarchi odiavano il potere esercitato dai politici, mentre a loro volta i politici odiavano il potere esercitato dagli oligarchi, ed entrambi odiavano la popolarità delle celebrità, che odiavano i politici e gli oligarchi per il semplice fatto che non erano anche loro celebri. Kasakov era unico, in quanto li odiava tutti. Bevve un sorso di champagne. Se ne stava per conto suo, occupandosi solo di quando sarebbe passato il vassoio di canapè successivo. Sebbene facesse del suo meglio per mostrare che voleva starsene in disparte, molte persone desideravano parlare con lui, e Kasakov dovette esercitare un forte autocontrollo per non iniziare a sferrare ganci e montanti. Di solito era capace di socializzare abilmente, conversare in modo affabile e raccontare barzellette meschine. Per quanto odiasse tali feste e i loro odiosi partecipanti, era essenziale che lui vi presenziasse, per mantenere le conoscenze, i contatti e le amicizie necessarie a restare un uomo libero. Anche se la Russia non estradava mai i propri cittadini, c’era sempre la possibilità che un politico di turno si rivoltasse contro di lui, per rilevare le sue attività commerciali, guadagnarsi il favore della comunità internazionale o magari, cosa meno probabile di tutte, per senso morale. Finché l’ucraino avesse avuto l’appoggio del resto dell’aristocrazia moscovita, avrebbe potuto dormire sonni tranquilli. Quella sera, tuttavia, Kasakov non riusciva a farsi coinvolgere dalla festa. Tutti i suoi pensieri erano rivolti a Illarion, Ariff e la vendetta di cui sentiva impellente bisogno. L’unica persona alla festa per cui aveva tempo era sul lato opposto della sala, a pendere dalle labbra di un attore russo. Izolda non era la sola. Dovevano esserci una dozzina di mogli similmente affascinate, e dozzine di mariti gelosi che cercavano di non darlo a vedere. La differenza tra Izolda e le altre mogli era che il bell’attore era chiaramente preso da lei tanto quanto lei lo era da lui. Non c’era da stupirsene. La moglie di Kasakov era semplicemente magnifica, come sempre. Alta, magra e aggraziata, brillava più di ogni altra donna nella sala. Il suo abito da sera scollato sulla schiena riusciva a essere al contempo sfacciatamente sensuale e innegabilmente elegante. Alcune delle mogli meno distinte mettevano in mostra i loro petti gonfi, con collane che raggiungevano quasi gli ombelichi, e non riuscivano né ad accigliarsi né a sorridere a causa dei loro volti tirati. Izolda aveva i capelli neri tirati su, come piaceva a Kasakov, e quell’acconciatura le allungava il già invidiabile collo. Gli orecchini di diamanti, regalo di compleanno del marito, danzavano e luccicavano mentre lei rideva.

L’attore fece un’altra battuta e, dal grado di ilarità suscitato nel gruppetto di mogli, doveva trattarsi di una specie di comico. Kasakov lo aveva visto in un paio di film russi e pensò che se la cavasse meglio come comico che come attore. L’uomo si avvicinò a Izolda e le sussurrò qualcosa all’orecchio, facendola sorridere in modo ampio e spensierato. Per una volta, Kasakov non riuscì a scorgere il dolore che la donna nascondeva così bene agli occhi degli altri, se non ai suoi. Erano sposati da poco più di quindici anni e, sebbene Izolda fosse prossima ai quarant’anni, non aveva ancora figli. Kasakov era straziato al pensiero che l’infelicità della moglie fosse colpa sua.

Izolda rise ancora e poggiò una mano sul braccio dell’attore. Era poco più che trentenne e con una fertilità senza dubbio pari alla sua bellezza. Kasakov immaginò Izolda sognare di andare a letto con l’attore in quello stesso istante. Dal modo in cui l’attore la guardava, stava pensando altrettanto. Se la donna avesse ceduto al suo fascino, Kasakov non l’avrebbe biasimata. Era l’infertilità del marito a farla piangere sul cuscino nel cuore della notte, quando pensava che Vladimir fosse addormentato. Kasakov immaginò la scena: un mese dopo, sua moglie viene ad annunciargli il miracolo che stavano aspettando. Lui la abbraccia e piange assieme a lei, e non le farà mai notare che il figlio non gli assomiglia per nulla, né la ucciderà per il tradimento.

Izolda gli gettò un’occhiata e lo sorprese a osservarla. Il senso di colpa e la paura cominciarono a strapparle il sorriso dal volto, ma Kasakov nascose i suoi pensieri, sorrise e ricambiò il saluto, come se non fosse cosciente della scena che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi. La moglie si convinse abbastanza da recuperare il sorriso. Forse non sarebbe successo con l’attore, ma prima o poi sarebbe successo. Kasakov se lo sentiva. «Bevi» disse una voce familiare. «Secondo me ne hai bisogno.»

Kasakov si voltò e vide un altro volto fastidiosamente bello.

Tomasz Burliuk aveva due flûte di champagne. Ne consegnò uno a Kasakov.

«Non pensavo che saresti venuto.»

Burliuk sorseggiò lo champagne. «Pensavo ti facesse comodo un po’ di compagnia.»

Kasakov fece un cenno della mano. «Immagino tu abbia notato mia moglie.»

Burliuk guardò Izolda a lungo prima di rispondere: «È difficile non notarla.»

«Tutte le donne la odiano» osservò Kasakov. «Tutti gli uomini la desiderano.»

Burliuk bevve un lungo sorso di champagne. «E tuttavia è tua e solo tua.»

Kasakov annuì e finse di non aver notato come il suo migliore amico stesse fissando sua moglie.

«Allora» fece Burliuk, distogliendo finalmente lo sguardo. «Chi è il nostro grazioso anfitrione, stasera?»

«Un oligarca che con le mazzette e le minacce è riuscito a comprare in blocco le riserve di gas di proprietà dello Stato» spiegò Kasakov. «Adesso controlla la maggior parte delle forniture inviate in Europa. È un emerito coglione.»

«Lo dici di tutti.»

«In questo caso, è un eufemismo. Spende i soldi come fossero senza importanza. Ho sentito dire che ha cinquanta auto. Cinquanta. Incredibile, vero? E tre jet privati. A confronto, mi fa apparire un poveraccio.»

«Un tempo lo eravamo.»

«Ed è proprio per questo che adesso apprezziamo ciò che abbiamo.» Kasakov colpì Burliuk al petto con un lieve rovescio per sottolineare il commento. Poi sospirò e chiese: «Dimmi, mio vecchio amico, che senso ha?»

Burliuk parve confuso. «Non capisco.»

«Sono stanco, Tomasz. Sono stanco di vivere così, uscendo di nascosto dal Paese solo per affari, senza poter tentare un ritorno nel mio Paese natale. Sono stanco di portare sulle spalle il peso di un impero. Certi giorni penso sinceramente che...» Il cellulare di Kasakov vibrò e lo interruppe. Controllò chi fosse. «Eltsina» spiegò. «È fuori. Dice che è importante, perciò sarà meglio che esca e vada a scoprire cosa vuole quella puttana.»

«Vengo anch’io?»

Kasakov scosse il capo. «Tu resta qua e tieni d’occhio Izolda.»

Burliuk parve confuso. «Che vuoi dire?»

«Non lo so... Tu tienila d’occhio.»

Kasakov trovò Eltsina sul vialetto dell’oligarca. La minuta russa non era nella lista degli ospiti e perciò gli addetti alla sicurezza non l’avevano lasciata entrare nella villa. Kasakov avrebbe potuto procurare un invito per la brutta consulente, ma piuttosto che farlo avrebbe preferito abbandonare il pugilato per il ricamo. Eltsina era chiaramente preoccupata. La brezza le muoveva le ciocche di capelli che le erano uscite dalla coda di cavallo.

«Che c’è?» chiese Kasakov.

Eltsina ci mise alcuni secondi per trovare le parole. «Vladimir, mi dispiace. Abbiamo perso la spedizione nordcoreana.»

«Ma che stai dicendo? Come possiamo averla persa?»

«L’aereo che trasportava i primi due MiG non è mai uscito dallo spazio aereo afgano. In giornata si è schiantato contro le montagne.»

Kasakov prese la donna per la camicetta. Se lo avesse voluto, avrebbe potuto sollevarla da terra con una mano, invece la tirò a sé.

«Si è schiantato?!»

La donna deglutì e annuì.

Kasakov la lasciò andare e trasse un sospiro esasperato. Strinse le enormi mani a pugno, mentre i tendini del collo gli sporgevano dalla pelle. Ringhiò a denti stretti.

Eltsina si sistemò la camicetta e la giacca. «Non so cosa dire.»

Vladimir le diede una spinta alla spalla. Lei trasalì e incespicò all’indietro. «Potresti iniziare raccontandomi come abbiamo perso duecento milioni di dollari di beni e il mio equipaggio più esperto.» Spinse di nuovo la donna, con maggiore forza. Lei incespicò ancora, riuscendo a fatica a tenersi in piedi. «E quando lo avrai fatto potrai dirmi come riferirò ai nordcoreani che non otterranno i loro primi due caccia come garantito.»

«Io...»

Kasakov gettò un’occhiata alla villa. Gli addetti alla sicurezza li osservavano, ma sapevano di non dover intervenire. Vladimir si passò le dita tra i capelli e rifletté. «Sta succedendo qualcosa. È la terza volta nell’arco di una settimana che mi capita un grosso intoppo. Prima abbiamo perso quel convoglio di armi antiaeree in Etiopia a causa di un ispettore dell’ONU che per coincidenza ci ha controllato i camion per la prima volta in otto anni. Ieri i nostri rappresentanti in Siria non si sono presentati al passaggio delle consegne.»

«Li hanno trovati due ore dopo in un fosso fuori Damasco» spiegò Eltsina. «Tutti morti. La gola tagliata.»

Kasakov la fulminò con lo sguardo. «Si dice che se ti succede un guaio una volta sia un caso. Due volte, una coincidenza. Tre volte, un’azione nemica. Dunque, chi cazzo ci sta facendo questo?»

Eltsina scosse il capo.

«Non osare farlo» disse aspramente Kasakov. «Non osare dirmi che non sai niente, visto che ti pago una fortuna per sapere tutto.»

«Non ci sono prove» prese a dire lei. «Chiaramente l’ONU non ucciderebbe mai i nostri uomini e non abbatterebbe un aereo. Ma chiunque sia stato ha anche riferito all’ONU del nostro convoglio.»

«Chi?» pretese di sapere Kasakov.

«Solo una persona con una conoscenza notevole dei nostri affari potrebbe essere in grado di colpirci in questo modo.»

«Chi?» chiese ancora Kasakov.

«Baraa Ariff. Lui sa abbastanza per rendere possibili questi attacchi.»

«E come fa a sapere?»

«I signori della guerra che comprano i nostri carri armati e le munizioni pesanti comprano anche armi e proiettili da lui. Corrompiamo gli stessi funzionari. I mercenari che proteggono i nostri camion proteggono anche i suoi. I nostri uomini incrociano i suoi quasi tutti i giorni.»

«Non mi pare possibile. Ariff è un egiziano patetico e piagnucolone. Non oserebbe mai farmi la guerra. Hai più palle tu di lui.» Kasakov si sbottonò lo smoking per cercare di calmarsi. Puntò il dito contro Eltsina. «E poi, a che scopo? Ha scoperto che lo voglio morto?»

«È impossibile» gli assicurò Eltsina. «Ho cercato sicari solo tramite intermediari rispettati e i miei contatti nei servizi segreti russi.»

«E allora perché lo fa?»

Eltsina rispose: «Ci può essere solo una spiegazione: cerca di subentrare a te negli affari. Deve aver inviato quel cecchino a Bucarest, pensando che senza la tua leadership potrebbe vendere ai nostri clienti senza ostacoli. Per puro caso, interviene un nemico del cecchino. Allora Ariff ne invia un altro, solo che Tomasz lo scopre e spedisce i suoi uomini a intercettare l’assassino a Minsk. Perciò Ariff abbandona l’ambizione di volerti morto e passa ad attaccare la tua rete, per tentare di danneggiarci e mettere i nostri clienti contro di noi.»

«Dopo tutti questi anni di coesistenza, finalmente si è fatto venire le palle. Se fossi stato al posto suo, e se fossi stato io ad avviare le attività ben prima che lui guadagnasse rilievo, non avrei aspettato così a lungo per schiacciare il mio potenziale concorrente. Quanto vorrei che non si trattasse di affari. Preferirei che sapesse che lo voglio morto. Che agisse per istinto di conservazione. Vorrei che vivesse nella paura. Che guardasse la sua famiglia e la immaginasse gridare.»

Eltsina rimase in silenzio.

Kasakov disse: «Sono certo che questa nuova rivelazione sarà uno stimolo aggiuntivo a scovarlo.»

La donna si raddrizzò. «Lo stimolo non potrebbe essere maggiore, Vladimir. Ariff pagherà per la morte di tuo nipote. Ho richiesto a tutti i miei contatti di eseguire attività di spionaggio. I nostri uomini più fidati stanno raccogliendo informazioni. Non stiamo risparmiando né sforzi né denaro. Ariff è nascosto da anni, ma alla fine lo troveremo, te lo prometto.»

«Ma quanti danni ci avrà creato fino ad allora?»

Eltsina non rispose.

«Com’è la situazione con la squadra americana?»

«Burliuk ha accettato le loro richieste e abbiamo versato loro un anticipo, perché non si impegnino in un altro lavoro. Tuttavia, finché non avremo trovato Ariff, rimarranno semplicemente in attesa.»

«Se ciò che dici è corretto e Ariff sa come colpirci perché i nostri affari si sovrappongono spesso...» Eltsina annuì. «Allora dobbiamo sapere della sua organizzazione tanto quanto lui sa della nostra. Perciò, ricambiamo il favore. Fa’ uccidere tutti coloro che hanno anche il minimo legame con Ariff. E triplica la mia sicurezza. Assicurati che tutti quelli che lavorano con me sappiano cosa sta succedendo. Devono essere tutti in guardia. Quel pezzo di merda potrebbe riattaccarci in qualsiasi momento.»

«Devi essere conscio che una guerra con Ariff renderà i nostri uomini spaventati e danneggerà il morale, che si è già abbassato per il calo di affari in questi ultimi anni.»

«Non me ne frega niente!» sbraitò Kasakov, schizzando di saliva il volto di Eltsina. «Che si spaventino pure. Io li ho resi ricchi. Un po’ di paura farà ricordare loro di essermi grati.»

La consulente annuì, senza osare asciugarsi gli sputi dalla guancia e dal labbro.

«Voglio Ariff morto» sussurrò freddamente Kasakov. «E mentre aspetto osserverò il suo impero incenerirsi attorno a lui.»