33

Victor aveva la Smith & Wesson ricaricata e infilata in vita. Aveva anche due caricatori di scorta in una tasca della giacca e i cellulari dei tre morti in un’altra. Aprendo la porta della stanza, vide un giovane nel corridoio. Era poco più che ventenne, con i capelli lunghi che gli spuntavano da sotto uno sporco cappello, con indosso una tuta da lavoro e una cintura portattrezzi ai fianchi, e muoveva la testa e canticchiava, con le cuffie che emettevano musica metal che Victor, a porta chiusa, non aveva sentito. Era a un metro e venti di distanza e già rivolto verso Victor, gli occhi e la bocca spalancati alla vista di tre uomini morti e insanguinati nella stanza oltre la porta aperta.

In meno di un secondo Victor estrasse la Smith & Wesson facendo colare una goccia di sudore in mezzo agli occhi del giovane.

«Vuoi che ti uccida?» chiese Victor.

Il ragazzo riuscì a scuotere il capo.

«Allora gettami il portafoglio.»

Senza distogliere lo sguardo da Victor, il giovane fece ciò che gli veniva ordinato. Victor lo aprì e prese la patente. La mostrò al ragazzo, poi se la infilò in tasca.

«Io mi dimenticherò di te. Tu ti dimenticherai di me. Affare fatto?»

Il giovane annuì e Victor gli restituì il portafoglio. Quello non provò neppure ad afferrarlo. Gli sbatté sul petto e cadde ai suoi piedi.

Victor disse: «Aspetta un quarto d’ora prima di chiedere aiuto, capito?»

Un altro cenno di assenso pietrificato.

Victor lo superò e usò la mappa mentale per tornare indietro lungo il labirinto di corridoi vuoti. Dopo un minuto, udì il rumore della stazione. Poco dopo, vide la porta di metallo. L’uomo alto aveva detto che mancavano cinque minuti all’arrivo di Petrenko. Ne erano passati tre.

Il binario era affollato di pendolari che salivano a bordo del treno successivo. Dovevano esserci almeno trenta uomini che camminavano di buon passo lungo il binario in direzione di Victor. Nessuno sembrava somigliare all’uomo che Victor aveva visto salire e poi scendere con gli ascensori all’albergo Europe il giorno prima. Non vedeva neppure i quattro sicari o il tizio pelato in uniforme.

Chiuse la porta di metallo e avanzò sul binario, usando i pendolari e una colonna per nascondersi mentre osservava la porta. Sperava che Petrenko non portasse con lui tutti i tiratori, altrimenti a quel binario ci sarebbe stato un macello.

Passarono un paio di minuti e Victor non vedeva ancora nessuno avvicinarsi alla porta. Era possibile che ci fosse un altro modo per arrivare alla stanza dove lo avevano portato, ma non credeva che la squadra avesse libero accesso all’intera stazione. Più probabilmente, il dipendente calvo delle ferrovie aveva aperto loro quell’unica porta, rivelando quale fosse il posto migliore per le loro faccende. Victor aveva in programma di ringraziarlo, non appena gli si fosse presentata l’occasione.

La folla cominciava a ridursi al binario, con l’avvicinarsi dell’orario di partenza del treno, e ciò consentì a Victor di vedere chiaramente il tratto che andava dal binario all’atrio. Ancora nessuna traccia di Petrenko, di un gruppo di assassini e della loro guida.

Gli ultimi passeggeri salirono a bordo e le porte si chiusero, lasciandosi dietro solo due assistenti di viaggio e Victor. Questi guardò l’orologio e si alzò, come se volesse attendere la partenza successiva, ma usando la colonna per nascondersi, in vista dell’arrivo dei nemici.

Il treno si allontanò e gli assistenti se ne andarono, per occuparsi di ciò che dovevano fare tra una partenza e l’altra. Mentre il treno lasciava il binario, Victor riuscì a vedere il binario opposto, e il dipendente delle ferrovie calvo che se ne stava tra la folla di pendolari, a rispondere alle richieste dei viaggiatori, senza preoccupazioni, perfino sorridente.

Il tizio sollevò lo sguardo e notò Victor prima che questi potesse agire, e lo stupore lasciò subito spazio alla presa di coscienza. L’uomo tirò fuori un cellulare dalla tasca dei pantaloni e se lo portò all’orecchio. Per quanto fosse allettante estrarre la calibro 45 e piazzare due proiettili nel petto del tizio, c’erano più di cinquanta persone in attesa del treno attorno a Victor, tutte probabilmente dotate di telefoni. Quindici secondi dopo l’uccisione, avrebbero chiamato il centralino della polizia. Trenta secondi dopo, gli avrebbero dato la caccia tutti i poliziotti della zona.

Perciò, Victor si affrettò a raggiungere l’atrio. A passo svelto, non di corsa. In una stazione, correre avrebbe attratto meno attenzione che in altri posti, ma dopo la scoperta dei cadaveri e la visione dei filmati delle telecamere di sorveglianza, Victor non voleva che ai rapporti della polizia si aggiungessero le descrizioni dei testimoni. Il tizio pelato capì ciò che il sicario stava facendo e fece altrettanto. La forma fisica faceva parte del lavoro di Victor, ma non poteva sfruttarla senza venire notato; inoltre, il pelato doveva coprire metà della distanza. Raggiunse l’atrio per primo e svanì nella marea di pendolari.

Victor era cinque secondi indietro, ma essere alto alcuni centimetri in più rispetto alla media lo aiutava in situazioni come quelle. Scorse un cuoio capelluto allontanarsi in fretta e girò in quella direzione, schivando uomini e donne fermi a fissare con ansia il tabellone delle partenze. Si mise di fianco per passare in mezzo a un gruppo ben serrato di pendolari e perse di vista la preda.

Continuò a muoversi, andando nella medesima direzione, vigile, lo sguardo che scrutava in giro nell’eventualità che Petrenko apparisse, e vide l’uomo calvo che emergeva dall’estremità opposta della folla, avanzando con rapidità, incespicando. Si guardò indietro, vide Victor e affrettò il passo, diretto all’uscita principale.

Quando Victor si liberò della folla, si precipitò verso di lui, riducendo la distanza a ogni passo. Non poteva afferrarlo senza essere notato, ma c’era poco da farci. Uscendo sulla piazzetta davanti alla stazione, vide il calvo indicarlo freneticamente, mentre si avvicinava a un gruppo di cinque uomini diretti alla stazione. Uno dei quali era il tizio visto nell’ascensore dello Europe: Petrenko.

Victor rallentò ma lo avevano già raggiunto. Petrenko esitò, il terrore che si diffondeva sul suo volto, ma gli altri procedettero in fretta, le mani infilate sotto le giacche o nelle tasche. Non estrassero alcuna arma, perché Victor stava prendendo la Smith & Wesson che aveva in vita, perciò capirono che era armato. Continuarono ad avanzare.

In quanto a potenza di fuoco, erano quattro a uno, a tredici metri di distanza, con una visuale libera. Non avevano ragione di preoccuparsi. Victor era convinto di avere riflessi più svelti, ma nel migliore dei casi avrebbe potuto sparare tre colpi prima di riceverne due in risposta. E bastava che uno di questi andasse a segno. Victor non aveva intenzione di estrarre l’arma, perché sarebbe stato un atto suicida. Loro lo sapevano. Ma se gli assassini lo avessero fatto, lo avrebbe fatto anche lui, e chi avesse tentato di tirare fuori per primo la pistola sarebbe stato crivellato di fori da 9mm prima che gli altri lo uccidessero. Sapevano anche questo.

Il calvo continuò a correre, superando Petrenko e raggiungendo il posteggio taxi. Victor seguitò a camminare all’indietro, adesso all’interno della stazione, per cercare di mettersi in sicurezza tra la folla. Gli altri avanzavano a una velocità maggiore della sua, ma lui non osava dare loro le spalle. Senza una parola, due dei tiratori si separarono dal gruppo, andando rispettivamente a destra e a sinistra, posizionandosi ai lati mentre Petrenko e gli altri due continuavano il loro avvicinamento inarrestabile. Nel giro di pochi secondi, i due ai lati furono agli estremi e poi fuori dalla visione periferica di Victor. Questi voltò in fretta la testa, a sinistra e poi a destra, per cercare di seguire i loro movimenti, ma non poteva farlo e osservare al contempo gli altri.

Un gruppo di uomini e donne più anziani passò di fronte a lui da destra a sinistra, muovendosi lentamente, controllando opuscoli di qualche genere. Un gruppo di turisti, probabilmente. Bloccarono la linea visuale tra Victor e i suoi inseguitori. Victor si voltò e corse.

Zigzagò tra la folla, vedendo i due uomini ai lati fare altrettanto, accerchiandolo da entrambe le direzioni, limitando le sue opzioni. L’unica cosa che dovevano fare era avvicinarsi a sufficienza da costringerlo a rallentare, e lasciare che succedesse il resto.

Victor si diresse a una serie di scale mobili, saltando due scalini per volta, spingendo gli altri viaggiatori per superarli. Il primo uomo di Petrenko raggiunse le scale mobili e Victor premette il pulsante di emergenza quando fu a tre scalini dalla sommità. L’uomo in fondo cadde in avanti, spinto dallo slancio. Gli altri passeggeri gemettero e imprecarono.

Lo stratagemma regalò a Victor trenta secondi di vantaggio. Non era un tempo sufficiente a superarli nella corsa, ma forse sarebbe stato sufficiente per nascondersi o scegliere il campo di battaglia. In cima alla scala mobile c’era un piccolo centro commerciale, due piani con forse una decina circa di punti vendita ciascuno. Victor si guardò attorno, vide negozi di abbigliamento, attrezzature sportive, intimo, biglietti di auguri, cosmetici. Nessuno che rispondesse ai suoi criteri.

Proseguì come un fulmine, svoltando a un angolo, rallentando in modo che la gente non lo guardasse e segnalasse il suo passaggio. Superò chioschi che vendevano frullati freschi ed elicotteri giocattolo telecomandati. Entrò nella zona dedicata al cibo. Attorno a lui c’erano caffè, ristoranti e bar. Un bar sembrava adatto. C’erano molte persone all’interno. Era aperto sul davanti e Victor entrò di buon passo, mentre la banale musica del centro commerciale veniva rimpiazzata dal rumore di decine di conversazioni che facevano a gara tra loro e la musica anni Ottanta che usciva a tutto volume da altoparlanti piazzati alla parete. Victor si comportò con naturalezza, come un uomo d’affari che cercasse da bere in attesa della partenza del treno. Nessuno gli prestò attenzione. Si mise in ordine e si avvicinò al bancone.

Un giovane che sembrava troppo brillante sia nell’aspetto che a livello mentale per fare il barista incrociò il suo sguardo e Victor chiese un Vodka lemon. Mentre attendeva il drink, rimase dietro alcuni clienti, posizionato in modo da essere quasi nascosto alla vista di chi passasse fuori, ma da poter allo stesso tempo vedere all’esterno. Nessuna traccia degli uomini di Petrenko, per il momento.

A parte la scala mobile con cui era salito, doveva esserci un altro modo per tornare all’atrio. Victor sperò che i suoi nemici conoscessero meglio di lui la stazione e si fossero già precipitati nella direzione sbagliata per bloccarlo. Altrimenti, avrebbero dovuto controllare più di venti negozi. Se erano svegli, avrebbero prima bloccato le uscite per intrappolarlo. Il centro commerciale non era grande, dunque dubitava che ci fossero più di due modi per tornare nell’atrio. Se avessero piazzato un uomo a controllare l’ascensore e uno sull’altro percorso, ne sarebbero rimasti due per ispezionare il centro commerciale, se Petrenko non si fosse attivato personalmente, e in effetti era sembrato troppo spaventato alla vista di Victor, per decidersi a dargli la caccia. Se i due addetti all’ispezione si fossero divisi, avrebbero coperto il terreno più alla svelta, ma se avessero incontrato il sicario si sarebbero trovati uno contro uno e, visto che non era difficile capire cosa era successo all’uomo alto e ai suoi due assistenti, Victor dubitava che uno dei quattro volesse azzuffarsi con lui da solo.

Il bar era ampio, i suoi molti clienti sparsi nello spazio, seduti in séparé allineati alla parete, ai tavoli o al bancone. Erano perlopiù viaggiatori e uomini d’affari, molti da soli, nessuno che sembrasse un cliente abituale. Victor si confondeva bene nella folla, ma gli uomini di Petrenko stavano cercando un uomo solo. Victor, però, non intendeva rendergli le cose facili.

Scorse subito un buon bersaglio. Si trovava all’estremità opposta del bancone, seduta elegantemente su un alto sgabello, da sola, la testa girata dalla parte di Victor, intenta a mangiare olive verdi da uno stuzzicadenti per cocktail. Il suo bicchiere era abbastanza vuoto da giustificare un altro drink. Non sembrava una donna dedita agli affari e i suoi modi erano troppo rilassati per essere quelli di una viaggiatrice. Victor guardò nella sua direzione finché lei non lo vide e incrociò il suo sguardo. La donna lo osservò per alcuni istanti e lui le sorrise. Niente di forte, ma eloquente. La donna distolse lo sguardo, poi glielo rivolse per un altro istante.

Il barista tornò da Victor con il drink e Victor raggiunse la donna.

«Posso offrirle qualcosa da bere?» chiese in russo, parlando a voce alta per sovrastare la musica a tutto volume dei sintetizzatori.

Si sedette sullo sgabello di fianco a lei, alla sua destra, in modo che lo riparasse dall’accesso al centro commerciale.

La donna lo esaminò lentamente dalla testa ai piedi, poi rispose: «Certo.»

«Walt Fisher» disse Victor.

«Io sono Carolin.» Tolse un’oliva dallo stuzzicadenti con i suoi bianchi e lucidi denti. «Piacere di conoscerti, Walt. Sei americano?»

Victor annuì.

«Bene» fece lei, passando all’inglese. «Mi piacciono gli americani.»

Aveva un accento russo raffinato e un volto dai tratti marcati, che doveva essere stato notevole in gioventù. Così da vicino, Victor vide che sembrava una decina d’anni più vecchia di lui, ma forse solo grazie al chirurgo plastico. Era magra, dalle membra lunghe, i lisci capelli castano ramato tagliati corti. Leggermente grigi alla radice. Indossava una gonna dritta, molti gioielli e una camicetta bianca dalla scollatura pronunciata.

Victor fece cenno al barista di avvicinarsi. «Cosa prendi?»

«Un Martini secco. E altre olive. Molte olive.»

Victor lo ripeté al barista.

«Ci sono un sacco di donne qua» disse Carolin. «Perché sedersi accanto a me?»

«Perché tu non sei qua per le loro stesse ragioni.»

«Cosa intendi dire?»

«Qua sono tutti di passaggio. Tu no.»

«È così evidente?»

«No, ma la perspicacia è il novanta per cento del mio lavoro.»

La donna annuì e sorrise. «Sono qua perché mio marito è uno stacanovista ciccione che si arrapa solo con la sua assistente, sono a Minsk così non vede cosa combino, e sono in questo bar perché mi piace un certo tipo di uomo. Che gliene pare delle mie ragioni?»

«Mi paiono piuttosto buone.» Victor si piegò verso di lei. «E, se posso essere audace, tuo marito non sa davvero cosa si perde.» Non era una frase raffinata, ma aveva bisogno di un risultato rapido per poter procedere.

La donna lo guardò con un sorriso divertito. «Tu, Walt, non vai molto per il sottile.»

«In effetti, non tanto» rispose lui, e avvicinò lo sgabello.

«Bene» fece lei, con un sorriso beffardo. «Io amo la sincerità.»

«Ecco qua.»

Il barista mise il Martini di fronte a Carolin. Victor pagò.

«A cosa brindiamo?» chiese lui, sollevando il bicchiere.

Carolin brindò. «Alla sincerità.» Bevve un lungo sorso e spalancò gli occhi dalla soddisfazione. «Delizioso.»

Alle spalle della donna, Victor vide tre uomini fuori dal bar. I killer di Petrenko. I due che si erano disposti ai lati più un altro. Non potevano aver già cercato in tutti gli altri negozi, perciò dovevano aver capito che non si sarebbe mai nascosto in posti del genere. Entrarono nel bar e si guardarono attorno. Carolin notò la distrazione di Victor ma non lo diede a vedere. L’altro killer era altrove, a controllare un’uscita o al fianco di Petrenko.

«Allora, che cosa ti porta a Minsk?» chiese la donna.

Victor bevve un sorso di cocktail. «Lavoro.»

«Devi chiudere un affare?»

«Più o meno.»

Victor perse di vista gli uomini per un attimo. Non voleva cambiare posizione per avere una visuale migliore, nell’eventualità che si accorgessero dei suoi movimenti.

«Tutto bene?» chiese Carolin.

«Sono un po’ stanco. Il viaggio è stato lungo.»

Gli uomini riapparvero. Allungavano il collo, guardando in giro per il bar, ma alla ricerca di un uomo solo, non in coppia.

Carolin lo guardò in modo eloquente. «Allora dovresti cercare di rilassarti.»

Victor annuì. Uno degli uomini di Petrenko indicò il bagno degli uomini, ma l’altro scosse il capo, non credendo che Victor potesse intrappolarsi là dentro. Ed era così.

«Il mio albergo è sul lato opposto della strada» disse Carolin. «Ho un minibar in camera. Possiamo svuotarlo e far pagare il conto a mio marito.»

I due uomini si arresero e passarono a cercare altrove.

Carolin aggiunse: «Non aver paura. Ti sto solo invitando a bere qualcosa.»

Victor si alzò in piedi. «Un’altra volta, magari.»

«Non devi dartela a gambe» fece Carolin.

Victor non rispose. Gli dispiaceva per il senso di rifiuto che la donna doveva aver provato, ma non poteva farci nulla. Controllò l’orologio. Aveva ancora nove minuti prima che il ragazzo con la cintura portattrezzi desse l’allarme. Non era molto, ma Petrenko era ancora nei paraggi.