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Adorján Farkas era ubriaco. La bistecca era stata preceduta da un paio di birre e al pasto avevano fatto seguito altre birre e qualche cocktail. I suoi uomini lo avevano convinto a fare serata, e quando cinque ungheresi lo facevano i risultati erano spesso disastrosi. In un Paese dove nessuno lo conosceva, o non sapeva come si guadagnasse il denaro, Farkas si sentiva più rilassato che a casa sua, ma era in Germania per affari e perciò doveva mantenere un certo livello di controllo.
I membri della sua cerchia avevano mostrato meno autocontrollo, ingurgitando notevoli quantità di birra tedesca durante il pasto, prima di passare a una serie di superalcolici al bar. Erano educati, come piaceva a lui, ed era bello vederli divertirsi. Farkas incoraggiava un tale comportamento, perché la socializzazione rafforzava i legami di lealtà. Era un capo criminale da abbastanza tempo per sapere di aver mantenuto la sua posizione solo perché i suoi uomini glielo consentivano. Loro avevano bisogno di lui per guadagnarsi il salario e lui aveva bisogno di loro per eseguire gli ordini ed essere protetto dai rischi del commercio criminale. Farkas sapeva che senza i suoi uomini a esercitare il suo volere lui sarebbe stato totalmente impotente.
C’era un limite, però, un confine tra il datore di lavoro e il dipendente che non andava superato. I suoi uomini dovevano provare simpatia per lui e rispettarlo, ed essere ricambiati, ma lui non sarebbe mai diventato loro amico. Forse un giorno o l’altro uno degli uomini al suo servizio sarebbe diventato un problema, volutamente o meno, e Farkas aveva scoperto che era difficile torturare e uccidere un amico. Senza amici che lavorassero per lui, era libero di operare senza sensi di colpa.
Camminò dietro i suoi uomini mentre tornavano verso l’appartamento. Rimase in silenzio mentre loro si scambiavano chiassose battute. Anche se nell’insieme avevano in corpo abbastanza alcol da uccidere un toro, Farkas sapeva che avevano conservato presenza di spirito. Nell’attività di Farkas uno dei tratti fondamentali di cui un uomo aveva bisogno per il successo era quello di saper reggere l’alcol. Un paio di loro, probabilmente, avrebbe passato gran parte del giorno dopo a prendere aspirine, ma entro la sera sarebbero stati pronti a lavorare.
L’indomani Farkas doveva incontrare nuovi fornitori potenziali. Cercava sempre di espandere il suo impero fiorente e vedeva di buon occhio le prospettive di quel viaggio. I fornitori avevano una buonissima reputazione e se le cose fossero andate bene lo avrebbero aiutato ad arricchire il suo inventario di armamenti. Farkas spediva kalashnikov economici dell’Europa dell’Est a un commerciante egiziano, che a sua volta li vendeva in Medio Oriente e in Africa. I soldi erano discreti e i rischi minimi, ma Farkas sapeva che se fosse riuscito a mettere le mani su armi occidentali più sofisticate, non sarebbe più stato costretto a trattare con uno stronzo egiziano (da cui Farkas sapeva di essere spennato): sarebbe passato ai commercianti più piccoli. Avrebbe tolto di mezzo l’intermediario e aumentato notevolmente i margini di guadagno.
Con un po’ di fortuna, questi fornitori tedeschi sarebbero stati in grado di aiutarlo a fare proprio quello. Aveva messo gli occhi su una bella attrezzatura della Heckler & Koch: MP5, G36; UMP, roba buona. Il mercato lo aspettava. A Farkas bastava mettere le mani su quei beni. Voleva anche una pistola nuova per sé. Un qualcosa di vistoso che gli altri boss ungheresi non avevano.
Nell’attico, i suoi uomini iniziarono a prendere d’assalto la cucina, in cerca di qualsiasi cosa ci fosse di commestibile e bevibile. Farkas li paragonò a un mucchio di spazzini, già sazi e inebriati ma desiderosi di abbuffarsi di tutto ciò che trovavano. Uno di loro prese il telecomando e cominciò a girare i canali alla ricerca di porno e Farkas capì che era ora di andare a letto quando vide il primo piano di due genitali sullo schermo.
La sua decisione provocò grida di scherno, ma lui si mostrò noncurante e si avviò in camera sua. Accese la luce principale e cominciò a spogliarsi, gettando i vestiti sporchi in un angolo. Poi aprì la valigia e frugò finché non trovò il pigiama. Nel bagno, si lavò i denti e la faccia, poi tornò in camera. Spense la luce principale e salì sul letto. Dopo aver preso dal comodino il romanzo che si era portato dietro per il viaggio, accese la lampadina.
Lesse alcune pagine, poi fu preso dalla stanchezza. Il libro, ad ogni modo, non era un granché: un thriller con troppe chiacchiere e poche uccisioni. Ripiegò un angolo della pagina a cui era arrivato e mise giù il libro. Spense la lampada.
Rimase sdraiato al buio per alcuni istanti prima di riaccendere l’abat-jour e uscire dal letto. Andò in bagno e fece pipì. Abbassò la maniglia per tirare lo sciacquone. Non funzionò.
L’abbassò di nuovo, con maggiore forza.
All’interno della vaschetta, si alzò la maniglia che apriva la valvola del flusso. Lo spinotto fissato in cima alla leva si collegò al detonatore piazzato sotto il coperchio della vaschetta. Il detonatore esplose e accese la carica principale di RDX sistemata nella vaschetta vuota.
L’onda d’urto viaggiò all’esterno con una velocità esplosiva di più di settemila metri al secondo, distruggendo la vaschetta e tutto ciò che c’era nella stanza. La porta saltò dai cardini e sbatté contro la parete opposta della camera da letto, seguita da fiamme e detriti.
Pezzi di Farkas caddero dal soffitto del bagno.