27
Danil Petrenko era arrabbiato tanto quanto spaventato. Lo urtava che qualcuno avesse osato tentare di farlo fuori nel cuore della sua città, e lo terrorizzava che per poco non ci fosse riuscito. Come precauzione, Petrenko stringeva una Desert Eagle calibro 50 mentre andava su e giù nel suo appartamento, sbraitando ordini o semplicemente sfogando la frustrazione e l’ansia. I suoi assistenti avevano chiamato ogni uomo sotto il suo controllo e li avevano fatti correre alla sua residenza per fornirgli protezione. Se chi aveva attaccato ci avesse provato ancora, loro avrebbero interposto un piccolo esercito.
Petrenko aveva uomini disposti fuori dall’edificio, nell’atrio e a guardia degli ascensori e della porta d’ingresso. Sei dei delinquenti più grossi e cattivi di Petrenko erano con lui nell’appartamento. Erano tutti armati. Ogni finestra era ben chiusa, tutte le tende tirate, ogni luce accesa e avevano disposto e acceso candele in tutte le stanze, nel caso venisse staccata la corrente come l’ultima volta. Parimenti a Petrenko, i suoi uomini erano nervosi, consci che poche ore prima tre di loro erano stati uccisi in un assalto spietato.
Oltre agli uomini messi a guardia, ce n’erano altri in strada a bussare alle porte e spezzare le dita, per cercare di capire chi ci fosse dietro l’attacco e perché. Tutti i criminali che Petrenko conosceva o i poliziotti che corrompeva stavano facendo la loro parte, alcuni per paura, altri perché temevano di perdere un reddito se fosse morto Petrenko. Le ragioni, per lui, erano irrilevanti. A lui importavano i risultati.
Dietro l’agguato non c’era quel bastardo libanese. Questo era piuttosto ovvio per Petrenko. Aveva visto lo sguardo di Yamout mentre attraversavano la finestra del bagno e salivano sul precario cornicione. Nessuno poteva fingere quel genere di terrore.
Erano passate circa tre ore dalla loro fuga dallo Europe insieme all’unico sopravvissuto. Il suo appartamento era l’attico di un edificio di dieci piani in uno dei quartieri più costosi e allettanti di Minsk. Petrenko viveva con la fidanzata modella, che si era rinchiusa nella camera degli ospiti per stare lontana da lui e dai suoi uomini. Uno degli uomini uscì da un’altra stanza. Aveva un fucile in una mano e un cellulare nell’altra, tenuto con il microfono contro il petto.
«Ho appena ricevuto una chiamata dal piano terra» disse l’uomo. «È arrivato.»
«D’accordo» rispose Petrenko, annuendo. «Fatelo salire. Ma accertatevi che lui e i suoi uomini non siano armati. E non toglietegli gli occhi di dosso per un istante. Capito? Neppure per un istante.»
Mentre il suo uomo dava il via libera a una guardia nell’atrio, Petrenko si lavò la faccia, allontanò i capelli sudati dalla fronte, si fece un’altra bella striscia di coca. Tolse i residui bianchi dalle narici, fece un respiro profondo e attese in salotto l’arrivo dell’ospite.
Un minuto dopo, bussarono alla porta e Petrenko udì i suoi uomini prendere le armi e accompagnare l’ospite in salotto. Petrenko si alzò non appena Tomasz Burliuk entrò. L’alto, bello e ben vestito ucraino, il consulente più intimo di Vladimir Kasakov, fu seguito da due guardie del corpo.
«Danil» disse Burliuk e tirò fuori il suo inalatore antiasma. «Ti sembra questo il modo di trattarmi?»
«Scusami, Tomasz, ma la cautela non è mai abbastanza. Tu non hai idea di come mi senta. Stanotte, per poco non sono morto. Per poco non sono morto.»
Burliuk si portò l’inalatore alle labbra e inspirò mentre premeva il meccanismo. «Dimmi cosa è successo.»
Petrenko si accasciò su una poltrona. Fece spallucce e gesticolò mentre raccoglieva i pensieri. «Stavamo iniziando le negoziazioni quando tutte le luci si sono spente. Ho pensato che non fosse nulla di grave. Magari un fusibile. Ma meno di trenta secondi dopo i miei uomini hanno iniziato a morire. Accidenti, Tomasz, qualcuno ha cercato di uccidermi. Nella mia città. Sono dovuto uscire da una finestra per fuggire. Guarda.» Mostrò i polsi, con alcune croste nei punti in cui avevano sfregato contro il vetro rotto. «Per poco non ci sono rimasto secco.»
Burliuk rimise in tasca l’inalatore e si sedette su una poltrona dirimpetto a Petrenko. «E Yamout?»
«Cosa?»
Burliuk si accarezzò la barba. «È riuscito a fuggire anche lui?»
«L’ha scampata. Ma non le sue guardie. Aveva portato sei uomini con sé. Ci credi? In un primo momento mi ero arrabbiato per quella mancanza di rispetto, ma adesso dovrei ringraziarlo. Forse, se non avesse portato tutte quelle guardie, non sarei qua.»
«Adesso Yamout dov’è?»
Petrenko mostrò disprezzo. «Che ne so, e perché dovrebbe interessarmi? Non appena siamo usciti dall’ascensore, ognuno è andato per la sua strada. Non ci siamo attardati a parlare dei nostri programmi di viaggio. Probabilmente, a questo punto, sarà già tornato nel deserto.»
«Era ferito?»
Petrenko aggrottò la fronte. «Chi cazzo se ne frega? Per quel che ne so, è colpa sua se per poco non sono morto... Aspetta un momento. Forse non stavano dando la caccia a me, ma a Yamout.»
«Non puoi saperlo per certo» fece Burliuk. «Anche tu hai dei nemici, no?»
Petrenko annuì, ma i suoi pensieri stavano diventando più chiari. Si sedette in avanti e disse: «Io ho più nemici di Dio. Tutti i criminali di questa città vogliono il mio sangue. Ma hanno tutti giustamente paura di Danil Petrenko e di cosa posso fare a loro e alle loro famiglie.» Si batté il pollice al petto. «Io sono il re di Minsk. Qualsiasi attacco contro il mio trono è paragonabile a un tradimento. E chiunque sia abbastanza folle da tentare di usurparmelo dovrebbe almeno avere il buonsenso di attaccarmi quando sono più vulnerabile, non quando sono circondato da guardie e con Yamout e tutti i suoi uomini presenti.»
«Avete assolutamente ragione, maestà.» Burliuk chinò la testa.
«Sono felice che tu mi dia ragione, Tomasz, perché io ti ritengo responsabile.»
«Che cosa?»
«Sei stato tu a trattare tra me e Yamout. Io non avrei mai fatto affari con quell’uomo, se tu non avessi garantito per lui.»
Burliuk non disse nulla. Petrenko disse: «Sono felice di averti mandato a chiamare, perché adesso voglio che tu rimedi.»
Burliuk rise brevemente. «Tu non mi mandi a chiamare, reuccio. Tu richiedi la mia presenza, e sono io a decidere se concederti il favore.»
Petrenko arrossì dalla rabbia. Avanzò verso Burliuk, la cocaina nel sangue che lo faceva sentire potente rispetto a quegli stranieri armati.
Le guardie di Burliuk si animarono all’istante, bloccandogli la strada. Petrenko fece un sorrisetto e brandì la sua Desert Eagle. Se avesse voluto, avrebbe potuto eliminare i due impudenti criminali disarmati in qualsiasi istante, se...
In un batter d’occhio, una delle guardie estrasse la pistola e premette la bocca dell’arma sulla guancia di Petrenko.
«Devi insegnare ai tuoi uomini a perquisire come si deve gli ospiti» disse Burliuk senza alcuna emozione.
Petrenko deglutì e abbassò l’arma. Nessuno dei suoi uomini era abbastanza vicino da vedere cosa stava accadendo.
Burliuk sussurrò qualcosa alle guardie e queste arretrarono. Disse: «Non c’è bisogno di essere sgradevoli, Danil. Risolviamo la faccenda in modo amichevole.»
Petrenko annuì. «Va bene.»
«Cosa ti piacerebbe che facessi?»
«Voglio che chi mi ha aggredito muoia.»
«Perché, se il bersaglio era Yamout, e non tu?»
Petrenko mostrò disprezzo. «Il bersaglio è irrilevante. Ciò che conta è che hanno attaccato me, nella mia suite, nella mia città, e hanno ucciso i miei uomini. Ti ho già detto che sono in tanti a voler veder crollare il mio impero. Io sono più forte di qualunque rivale, ma non abbastanza forte da combatterli tutti. E adesso, dopo questa umiliazione, mi crederanno debole. Ho bisogno di dimostrare la mia forza e devo farlo in fretta. Tu puoi aiutarmi.»
«Danil, io non credo che...»
«Non osare dirmi di no, Tomasz. Io mi sono sempre dimostrato un buon amico nei confronti tuoi e di Kasakov. Quante spedizioni sono passate dal mio Paese senza problemi e incidenti? Sono stato io a imbattermi per primo in queste armi e le ho offerte a Kasakov, per cortesia, ma voi non eravate interessati. Perciò ho trovato dei miei compratori, ma poi arrivi tu e mi chiedi di trattare con Yamout, per farti un favore, che io intendo concederti in segno di rispetto. Tu non mi dici perché e io non te lo domando, lo faccio e basta. Ma questo prima che i miei uomini venissero assassinati a causa di quel favore. E ora mi chiedo: perché desideravi così tanto che io vendessi quelle armi a Yamout? Sarai felice di sapere che io non mi sono dato ancora una risposta, ma sono certo che qualsiasi accordo tu abbia fatto con Yamout, è all’insaputa di Kasakov. Mi domando che cosa direbbe, se gli dicessi che il suo braccio destro stava tramando qualcosa alle sue spalle.»
Burliuk non rispose per un lungo momento. Poi disse: «Saresti disposto a perdere la vita in maniera così inutile?»
«Non penso che tu sia nella posizione per minacciarmi.»
«Mi hai frainteso. Io sto solo dicendo che se lo riferirai a Kasakov lui ti ucciderà con la stessa certezza con cui ucciderà me.»
«Be’, ci hai provato. Ma io non mi faccio ingannare tanto facilmente. Kasakov non compete con Yamout, e io lo so. Non gliene fregherà nulla che io abbia trattato con lui. Ma gli importerà che lo abbia fatto tu.»
Burliuk rise. «Allora sei pazzo. Kasakov ti farebbe passare le pene dell’inferno. Il mio accordo con Yamout è all’insaputa di Kasakov, su questo hai ragione. Yamout mi ha fatto un favore e io in cambio l’ho presentato a te. Fino a poco tempo fa, non sarebbe stato un problema. Ma adesso Kasakov ha scoperto che l’organizzazione di Yamout è responsabile della morte del suo amato nipote e vuole vendicarsi. Se viene a sapere che io ho trattato con il suo nemico giurato, io farò la stessa fine. E anche tu.»
«Non ti credo.»
Burliuk tirò fuori il cellulare. «Allora chiama subito Vladimir e metti in gioco la tua vita.»
Petrenko ci pensò per un minuto e agitò le mani. Disse: «D’accordo, hai vinto tu, Tomasz. Metti via il telefono. Te la sei giocata bene, come sempre. Spero davvero che tu riesca a manipolare Yamout con la stessa bravura.»
«Io non ho alcun bisogno di manipolarlo. Yamout non sa chi sono e Kasakov lo farà uccidere presto.»
«Sono felice che tu non abbia di che preoccuparti» disse Petrenko con un sogghigno. «Allora torniamo a discutere dei miei problemi. Io devo ancora tenere conto dei miei rivali. Devo far vedere che c’è un prezzo da pagare per avermi colpito.»
«Allora dimmi, che cosa hai saputo finora dei tuoi aggressori?»
Petrenko fece spallucce. «Per ora niente.»
«È successo più di tre ore fa.»
Petrenko fece di nuovo spallucce. «I miei uomini stanno facendo il possibile. Stanno prendendo a schiaffi tutti i malviventi della città, per vedere cosa sanno.»
«Allora sai chi stai cercando?»
«No, ma...»
«Hai visto nessuno dei tiratori?»
«No.»
Burliuk si mise a camminare su e giù per la stanza. «Hai udito niente? Niente di niente? Magari delle voci?»
«No» rispose ancora Petrenko.
«È successo qualcosa prima che arrivasse Yamout?»
«Prima? Perché?»
«Perché non possono semplicemente essere apparsi e aver iniziato a sparare. Prima devono aver sorvegliato l’albergo. Erano là prima dell’arrivo di Yamout, forse ancor prima del tuo arrivo. Devono averlo tenuto d’occhio. Hai visto nessuno?»
Petrenko scosse il capo. «No.»
«E il tuo uomo che è scampato alla morte?»
«Non lo so.»
«Allora scoprilo.»
Petrenko chiamò a gran voce il suo uomo, che entrò nella stanza. Pareva nervoso.
«Oggi» disse subito Burliuk. «Hai visto delle persone strane all’albergo? Degli stranieri, magari? Potrebbero essere stati vestiti in modo diverso. Hai avuto l’impressione che qualcuno ti osservasse, per quanto con fare indifferente? Forse qualcuno ti ha guardato per più di un secondo...»
L’uomo scosse il capo. «Non ho visto nessuno di sospetto o straniero. L’unica persona che ricordo di aver visto è uno della direzione dell’albergo.»
«Quando?» chiese Burliuk.
Petrenko aggiunse: «Sì, quando?»
«Mentre voi eravate fuori a prendere il cibo. Pochi minuti dopo che eravate usciti.»
Burliuk chiese: «Cosa voleva?»
«In realtà non lo so. Ha solo controllato la suite.»
«Come si chiamava?» chiese Petrenko. «La direzione sa che non deve interferire con i miei affari.»
«Non me lo ha detto.»
«Descrivimelo» fece Burliuk.
«Era alto come me, ma più magro. Più o meno coetaneo. Con i capelli scuri e corti.»
Petrenko lo fulminò con lo sguardo. «Idiota. Nessun dipendente dell’albergo ha quell’aspetto. Era uno di loro. Dovrei cavarti gli occhi per questo.»
«Dimmi almeno che lo hai guardato bene» aggiunse sommessamente Burliuk.
«Sì» lo rassicurò subito l’uomo di Petrenko.
«Bene» fece Petrenko, con il dito puntato. «Ti sei appena salvato la vita.»
Burliuk disse: «Raffiguratelo mentalmente. Pensa alla forma del suo naso, al colore degli occhi, a quanto erano distanti. Tutto, ogni dettaglio.» Si rivolse a Petrenko. «Hai dei poliziotti sul tuo libro paga?»
«Certo.»
«Chiamali e fatti inviare un disegnatore di identikit. Quando l’immagine sarà pronta, darai una copia a ciascuno dei tuoi uomini. Ordinerai loro di controllare alberghi e pensioni. Chiedi a tutti gli addetti all’accoglienza e ai camerieri se lo hanno visto. Piazza uomini all’aeroporto e alle stazioni. Parla a tassisti, baristi, tutti. Fa’ circolare soldi, offri una ricompensa per le informazioni. Da’ l’immagine agli uomini di cui ti fidi. Con un po’ di fortuna, lui e i suoi amici sono ancora qua. Altrimenti, otterrai una pista da seguire per scoprire chi li ha mandati.»
Petrenko rimase in silenzio per un istante, mentre decideva cosa dire. «Ma se riuscissimo davvero a trovarli?» chiese infine. «Che facciamo? L’ultima volta hanno spazzato via sia i miei uomini che quelli di Yamout nel giro di pochi secondi. Sono assassini spietati. I miei uomini sono ladri e delinquenti. Non sono dei soldati.»
Burliuk agitò una mano con fare sprezzante. «Ti aiuterò io in questa faccenda, e in cambio tu dimenticherai il ruolo che ho giocato nella tua trattativa con Yamout. D’accordo?» Petrenko annuì. «Farò una telefonata e coinvolgerò dei professionisti. Saranno loro a gestire la cosa. L’unico tuo compito sarà quello di scovare l’assassino.»