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Victor controllò il cellulare del capo della squadra di assassini mentre camminava tra acquirenti e viaggiatori. Appariva un telefono personale usurato, non un oggetto asettico comprato per un lavoro specifico. Ciò confermava quello che Victor già sapeva: quei tizi non erano operatori di alto livello. Tuttavia, erano ancora in quattro e un proiettile che andava a segno poteva comunque uccidere, a prescindere dalle qualifiche del tiratore. Victor aprì il registro delle chiamate sul cellulare dell’uomo alto e compose l’ultimo numero effettuato.

Un uomo che Victor ritenne Petrenko rispose in russo dopo il secondo squillo. Con tono cauto, disse: «Sì?»

Victor non parlò. Ascoltò i rumori in sottofondo. Sentiva il respiro di Petrenko, l’eco di un altoparlante, il via vai dei pendolari. Non c’erano altoparlanti in funzione in quel momento nel centro commerciale, ma Victor distinse in lontananza il suono di uno che si trovava nell’atrio. Si diresse alle scale mobili. Si guardava attorno di continuo, controllando davanti a sé, ai lati, i riflessi e ogni persona che si girasse verso di lui.

«Sei tu» disse Petrenko. Pareva sorpreso, ma controllato. Incuriosito e spaventato al contempo. Aveva l’accento di un cittadino di Minsk con proprietà di linguaggio, un uomo colto, ricco. Victor sentì uno schiocco di dita vicino al cellulare di Petrenko. Immaginò che il bielorusso stesse facendo un cenno e riferendo qualcosa con il semplice movimento delle labbra al killer che non era nel centro commerciale. In sottofondo, l’altoparlante continuava a trasmettere il messaggio. Qualcuno aveva parcheggiato l’auto nel posto sbagliato e doveva rimuoverla. Victor udì lo sferragliare di posate o di tazze; immaginò che qualcuno stesse sparecchiando un tavolo vicino a Petrenko.

«Esatto» rispose Victor. Si mosse a passo svelto, cercando tracce dei suoi nemici, ma non vedendo nessuno.

«Come hai avuto questo numero?» chiese Petrenko.

«Secondo te?»

Una pausa, poi: «Cosa vuoi?»

«Farti delle domande.»

«Prosegui.»

«Faccia a faccia.»

Petrenko rise brevemente. «Certo. Perché non ci incontriamo al parcheggio? Possiamo andare a fare un giro con la mia macchina, e parleremo di tutto ciò che vuoi.»

Victor raggiunse le scale mobili. Guardò giù, verso l’atrio, dove si raggruppava un certo numero di caffè e tavole calde. Decine di persone sedevano ai tavoli a bere, altre decine passavano a frotte incessanti. Nessuna traccia di Petrenko.

Victor protese il braccio con il telefono verso l’atrio e contò fino a cinque. A quattro, l’annuncio all’altoparlante cessò. Udì Petrenko schioccare di nuovo le dita, stavolta più in fretta, con maggiore insistenza. Victor si voltò di spalle alle scale mobili e seguì le indicazioni che portavano alle scale.

«Preferirei un posto un pochino più distante» disse Victor al cellulare.

«Perché?»

Dietro la voce di Petrenko, Victor udì un sordo clangore metallico. Poi, alcuni secondi dopo, udì lo stesso identico suono. Victor cominciò a scendere le scale. Coprì il microfono del telefono per smorzare la propria voce e nascondere l’eco delle scale.

«Perché» rispose «negli ultimi dieci minuti ho ammazzato tre dei tuoi uomini e non passerà molto prima che qualcuno se ne accorga.»

Victor udì un altro rumore metallico.

«D’accordo» fece Petrenko, apparendo più sicuro. «Capisco cosa intendi dire. Neppure io voglio il coinvolgimento della polizia.»

Victor scese in fondo alle scale ed entrò nell’atrio, attento a notare qualsiasi traccia di un tiratore in osservazione ma, come previsto, non c’era nessuno. Tenne la mano sul microfono. Sollevò lo sguardo sui vari cartelli ferroviari che sporgevano dalle pareti o erano appesi al soffitto. Vide quel che cercava e cambiò direzione.

«Che cosa vuoi da me?» chiese Petrenko.

«Voglio conoscerti.» Victor camminò a passo svelto tra la folla, superando una serie di bancomat e schivando una fila di gente bramosa di soldi.

Petrenko ridacchiò. «Nient’altro?»

«E convincerti a non uccidermi.»

«Dovrai darmi un buon motivo per non farlo.»

Victor immaginò Petrenko sorridere. Camminò più in fretta, evitando un gruppo di giovani in cerchio, che mangiavano panini e bevevano frullati.

«So esattamente cosa darti.»

Petrenko rise. «E cosa sarebbe?»

«La tua vita» rispose Victor, ma non nel microfono.

Petrenko si irrigidì. Non parlò né si mosse. Victor era dietro di lui. Alla sinistra c’era un bagno pubblico. Un anziano inserì delle monete e spinse il tornello, che emise un suono metallico.

«Sono certo che non ci sia bisogno che ti dica di non voltarti» fece Victor.

Petrenko deglutì. «I miei uomini sono nei paraggi.»

«No» fece Victor. «Tre sono nel centro commerciale e mentre tu stavi parlando con me hai inviato il quarto alle scale mobili. Tra un momento si accorgerà che io non sono sceso da là, ma un momento è tutto ciò che mi serve.»

Petrenko allontanò il telefono dall’orecchio. «Cosa vuoi?»

«Comincia a camminare.» Victor gettò i telefoni in un cestino. «Verso l’uscita.»

Petrenko cominciò a camminare. Non si affrettò. Victor camminò dietro di lui, osservandolo con la coda dell’occhio mentre controllava l’eventuale arrivo degli altri due uomini.

«Cammina più alla svelta, se non vuoi che ti spezzi le ginocchia.»

Petrenko affrettò il passo. «Non uccidermi. Ti prego.»

«Che lo faccia o meno dipenderà da te.»

«Griderò aiuto» disse lui, con voce spezzata.

«Allora ti sparerò alla colonna vertebrale e sarai finito prima che qualcuno ti venga in soccorso.»

Uscirono dalla stazione. Adesso che la pioggia era cessata, fuori faceva un po’ più caldo rispetto a quando Victor era arrivato.

«Da che parte vado?» chiese Petrenko.

«Da che parte ti piacerebbe andare?»

«A sinistra.»

«Allora andremo a destra.»

Victor stava vicino a Petrenko, ma non troppo. Amici o colleghi si sarebbero mantenuti a una discreta distanza. Camminarono per alcuni minuti, mentre Victor indicava a Petrenko se girare a destra o a sinistra e quando attraversare la strada. Si fermarono in un vicolo.

Victor chiese: «Come sapevi che aspetto avessi?»

«Penso non valga la pena mentire» rispose Petrenko, guardandosi alle spalle.

«Guarda in avanti» gli ordinò Victor. «E menti pure, se ritieni che io ti crederò. Ma ti taglierò un dito ogni volta che mi sentirò ingannato.»

«Uno dei miei uomini ti ha visto nella suite dell’albergo prima dell’attacco.» Petrenko restò con il fiato in gola. Deglutì e riprese a parlare. «Ho usato i miei contatti all’interno della polizia per ottenere un identikit e metterlo in circolazione. Posso darti soldi» disse Petrenko, per prendere tempo. «Droga, donne. Tutto ciò che vuoi.»

«Non voglio soldi. Né droga o donne. Ormai devi aver capito che il mio bersaglio era Gabir Yamout, non tu, ma tu mi hai dato comunque la caccia. Ho ucciso i tuoi uomini, ti ho attaccato nella tua città, non potevi permettere che la cosa restasse impunita, altrimenti avresti perso la tua buona reputazione. Io ti capisco. Ma, come te, non posso ignorare un tale gesto.»

«Be’, allora muoviti» disse con sprezzo Petrenko. «Mi hai trovato, no? Uccidimi e finiamola qua. Non ho alcuna intenzione di farti divertire.»

«Non sono qua per divertirmi.»

«E allora, perché sei qua? Se fossi venuto per uccidermi, lo avresti già fatto.»

«Esatto» rispose Victor. «Non ti voglio morto. Ti voglio vivo.»

«Perché?»

«Il mio bersaglio era Yamout, non tu. Il fatto che tu ti sia trovato in un fuoco incrociato è stato una coincidenza inevitabile. E me ne scuso.»

«Scuse accettate» rispose piattamente Petrenko.

Victor disse: «Dimenticati di me.»

«Che cosa?»

«Ritira l’identikit. Di’ ai tuoi uomini che sono morto, se questo ti aiuterà a salvare la faccia. Di’ loro che sono rimasto ucciso in uno scontro a fuoco con i tuoi scagnozzi.»

«Perché?»

«Perché te lo dico io» rispose Victor senza alcuna emozione. «Perché ti ucciderò, se non lo fai. Torna alla tua vita e io tornerò alla mia.»

«Non funzionerà mai. Nessuno ci crederà, senza vedere il cadavere.»

«Ci sono tre cadaveri in una stanza sul retro della stazione. Perciò, cerca di far funzionare la cosa. E, se non funziona, tornerò. Se sono riuscito a trovarti adesso, ci riuscirò anche in futuro.»

Petrenko si irrigidì. «Ti credo» disse, deglutendo. «Davvero. Hai vinto tu. Farò come vuoi.»

«Allora affare fatto?»

«Sì» fece Petrenko. «Affare fatto. Ma rispondi a questa domanda: perché vuoi lasciarmi vivo? Perché non uccidermi?»

«Io uccido solo se c’è uno scopo» spiegò Victor. «E uccidere te non impedirà al mio identikit di circolare. È questo ciò che mi interessa. Se ti uccidessi adesso, per assicurarmi che non venga mai a galla dovrei spazzare via tutta la tua organizzazione. E semplicemente non ne ho il tempo.»

«Ma chi diavolo sei?»

«Chi sono io non ha importanza. Ciò che conta è che ti sto lasciando in vita, e se vuoi rimanere vivo non mi rifarai più questa domanda.» Victor si piazzò davanti a Petrenko per guardarlo in faccia e disse: «Resta fermo immobile, se ami la vita.»

Petrenko, il volto luccicante di sudore, osservò con terrore Victor infilare la mano nel suo taschino della camicia, lasciandoci qualcosa.

Poi il sicario fece un passo indietro. «Ti ho messo in tasca un regalino. È un contenitore di trinitrossipropano. Lo conosci sicuramente meglio con il nome più comune: nitroglicerina. È solo una piccola quantità ma, se fai movimenti improvvisi, o se respiri in modo troppo affannato, ti farà un buco nel petto delle dimensioni di un pugno.»

«O mio dio!»

«Sta’ attento» fece Victor, portandosi un dito alle labbra. «Fossi in te, mi limiterei a sussurrare.» Si allontanò, nascondendosi alla vista del bielorusso. «Se verrò a sapere che un bielorusso sta chiedendo di me, tornerò, ma lo scoprirai solo quando mi vedrai di fianco al tuo letto.» Si ritrasse. «E ricorda, cerca di muoverti molto, molto lentamente.»

La squadra assoldata da Burliuk ci mise sei strazianti minuti prima di trovare Petrenko. L’uomo non aveva osato muoversi, perciò aveva telefonato, ed era fradicio di sudore quando udì gridare il suo nome. Apparvero due idioti, rossi in volto e trafelati. Erano sfiancati tanto quanto sciocchi.

Con voce lenta e sommessa, Petrenko spiegò la situazione. I due uomini lo guardarono senza comprendere.

«Uno di voi due» fece Petrenko a denti stretti «lo tiri fuori.»

Nessuno dei due parlò.

«Sarà meglio che lo facciate subito.»

Il più grosso diede un colpetto di gomito all’altro, che avanzò docilmente.

«Non ti muovere» disse mentre si avvicinava.

«Taci e datti una mossa.»

Quando l’uomo fu abbastanza vicino da far sentire a Petrenko la puzza di tabacco sui suoi vestiti, infilò la mano nella tasca della camicia.

«Fa’ più piano, imbecille» sussurrò Petrenko. «È nitroglicerina. È molto instabile. Se non fai più piano, ucciderà sia me che te.»

All’uomo tremava la mano. Era più spaventato di Petrenko. Estese l’indice e il medio e li spinse lentamente nella tasca. Restò senza fiato nel toccare la bomba.

«Sta’ attento» sussurrò Petrenko.

Dopo aver fatto un respiro profondo per riprendersi, l’uomo estrasse le dita. Petrenko non riusciva a vedere cosa tenesse in mano. «Ecco» fece. «Piano piano.»

«Sembra un accendino.»

«Ed è pieno di nitroglicerina» sussurrò Petrenko. «Perciò fa’ attenzione.»

Petrenko arretrò di un passo. Il suo tirapiedi teneva l’oggetto a distanza.

«Mettilo sul pavimento» fece Petrenko, ritraendosi ulteriormente.

L’uomo aveva la faccia paonazza e sudata. Si accovacciò pochi centimetri per volta, finché non riuscì a posare con delicatezza l’accendino sul calcestruzzo. Emise un profondo sospiro mentre ritraeva la mano.

Petrenko si allontanò dall’accendino. Il suo uomo lo seguì.

«E adesso?» chiese.

«Fallo saltare in aria» gli ordinò Petrenko.

«Con cosa?»

«Sei armato, no?»

Il tirapiedi sospirò ed estrasse la pistola silenziata. «Siamo a debita distanza?»

«Certo che lo siamo» rispose bruscamente Petrenko. «Ora spara.»

L’uomo puntò l’arma, trasse un respiro e fece fuoco. L’accendino si disintegrò, schizzando liquido, ma non ci fu alcuna esplosione.

Petrenko attese. Ancora nessuna esplosione. «Ma che diamine?» Superò il tiratore, si inginocchiò e toccò con esitazione la piccola pozza di liquido. La annusò. Era semplice liquido per accendini. «Bastardo!» gridò Petrenko, poi rise.