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«Non manca molto» fece Abbot.
Xavier Callo era in un appartamentino di un grosso palazzo in una qualche zona di Minsk. Era arrivato con Abbot e Blout alcune ore prima e aveva trascorso gran parte del tempo a poltrire sul divano, guardando sceneggiati americani doppiati in russo. Aveva cibo e bevande in abbondanza, perlopiù cibo spazzatura e bevande gassate, ma era stato Blout a fare la spesa ed evidentemente quello scimmione non sapeva cosa significasse mangiare in modo sano. Tuttavia, il cibo era sempre cibo e, sebbene magro, Callo era un uomo d’appetito. Buste di patatine vuote e carte di dolciumi erano disseminate sul pavimento attorno ai suoi piedi nudi. Non gli davano il permesso di portare scarpe.
Abbot era vicino alla finestra e Blout era da qualche parte nell’appartamento. Almeno uno dei due era sempre presente a fianco di Callo. Lo lasciavano pisciare soltanto con la porta aperta e Blout fuori dal bagno. Callo aveva dato allo stronzo qualcosa da ascoltare.
Stavano aspettando che succedesse qualcosa, questo era chiaro come il sole. Callo non aveva idea di cosa aspettassero i suoi rapitori. Non gli avevano dato alcuna indicazione e lui non intendeva chiederne.
Era stanco. Non c’erano orologi nell’appartamento, ma Callo sapeva l’ora e la data avendo controllato il canale di informazione alla tv mentre nessuno lo osservava. Lo aveva fatto più volte ed era molto orgoglioso della sua astuzia. L’appartamento consisteva in due camere da letto, un bagno, un salotto, una sala da pranzo, una cucina e un ingresso. Era in ordine e pulito ma quello spazio, mobili compresi, probabilmente costava meno del viaggio di Callo ad Atene. Chiunque gestisse quell’operazione, la CIA o altri, era chiaramente taccagno. Se chi contava non avesse badato a spese per trovare un alloggio più carino, forse i due orchi a guardia dell’uomo si sarebbero rilassati un poco. Callo sentiva le palpebre pesanti. «Posso andare a letto?» chiese, quando non riuscì più a combattere la stanchezza.
«Stai scherzando» rispose Abbot senza guardarlo.
«Allora mi addormenterò qua.»
«Fa’ come credi» disse Abbot. «Ti sveglierò quando avremo bisogno di te.»
Callo si sentì subito meno stanco. Per cosa avevano bisogno di lui? Blout entrò in salotto e fece un cenno ad Abbot, che lo seguì in una camera da letto, lasciando Callo da solo per la prima volta. L’uomo prese in considerazione la possibilità di precipitarsi alla porta, ma il pensiero fu breve. Lo avrebbero acciuffato prima che riuscisse ad aprirla, e sicuramente lo avrebbero picchiato forte per quel gesto. Era meglio restare a sedere. In fin dei conti, non avrebbero potuto trattenerlo all’infinito.
Callo mise la tv in modalità muta e si spostò sul divano per avvicinarsi al punto dove prima si trovava Abbot e udì delle voci parlare in russo, forse da una radio. Erano troppo sommesse perché riuscisse a capire cosa dicevano.
Abbot rientrò all’improvviso e Callo tornò con un balzo al centro del divano. Abbot non diede a vedere se aveva notato quella mossa. Infilò in mano a Callo un cellulare e poi prese un foglietto di carta da una tasca dei jeans. Lo tenne davanti a lui.
«Ecco cosa farai» fece Abbot, con un’espressione intensa, una certa severità nel suo accento britannico. «Telefonerai a Gabir Yamout. Dirai a chi ti risponde ciò che c’è scritto su questo foglio. Parli arabo, giusto? Puoi parafrasare, usa parole tue, ma sarà meglio che dici tutto quanto.»
Callo prese il foglietto e lesse alla svelta cosa c’era scritto. «Sì, lo parlo. Ma non capisco. Non ha senso.»
«Non devi capirlo» fece Abbot. «Devi solo dirlo.»
«Sì, ma...»
Prima che potesse finire, Abbot gli diede un forte schiaffo. Il telefono cadde ai piedi di Callo. La guancia gli faceva male. Guardò Abbot, di colpo spaventato. Notò che Blout era tornato nella stanza.
«Telefona a Yamout» ripeté freddamente Abbot. «E di’ quello che c’è scritto su quel cazzo di foglio.»
Callo raccolse il telefono e digitò il numero.
«Per cortesia» disse Callo. «Comunque, non risponderà nessuno. Partirà la segreteria telefonica. E poi mi richiameranno.»
Abbot fece spallucce. «Tu accertati soltanto di fingerti spaventato.»
Callo non comprese, ma si mise ad ascoltare il cellulare squillare per dieci secondi, finché non partì la segreteria telefonica.
Callo ripeté ciò che vedeva sul foglio. Erano solo poche brevi frasi, una bugia bell’e buona, e lui non ebbe bisogno di fingersi spaventato. Prima che potesse finire l’ultima riga, Abbot gli strappò di mano il telefono e riagganciò. «Bene.»
L’uomo sembrava sinceramente soddisfatto e Callo riuscì a ricambiarlo con un lieve sorriso, anche se gli faceva ancora male la faccia. Blout tornò nell’altra stanza.
Callo guardò di nuovo il foglio. «Oh no» disse. «Ho dimenticato la parte sull’albergo. Mi dispiace.»
Abbot si strinse nelle spalle. «Non importa. I dettagli non importano. Quello che conta è la dizione, e la tua è stata eccellente. Molto convincente.»
«Davvero? Grazie.»
Blout tornò con uno zaino che mise sul tavolo da pranzo. Lo aprì e tirò fuori un portafoglio. Lo gettò ad Abbot, che lo svuotò. Callo osservò le sue carte di credito, ricevute, contanti e altre cartacce cadere sulla moquette. Poi Abbot buttò via il portafoglio e usò il piede per disseminare il mucchio di oggetti sul pavimento.
«Che sta facendo?» chiese Callo. «Quella è la mia roba.»
Abbot non rispose. Callo guardò Blout, che stava frugando nella borsa.
«Era solo questo ciò che volevate farmi fare?» Callo ebbe il coraggio di chiedere.
Abbot si arrotolò le maniche della camicia. «Quella era solo la metà del tuo compito, e sei stato magnifico. Hai fatto un bel lavoro. Come ho detto, molto convincente. E noi vogliamo esattamente questo. Ma adesso vogliamo che tu ti dimostri convincente anche nella seconda parte.»
Callo annuì, desideroso di soddisfarli. «Posso farcela.»
Abbot fece uno strano sorriso. «Sono certo che andrai benissimo.»
Blout si mise un paio di guanti di lattice. Ne diede un secondo paio ad Abbot.
«Quando farò la seconda telefonata?» chiese Callo.
Abbot scosse il capo e si tirò i guanti sulle manone. «Le telefonate sono finite. Adesso devi convincere i tuoi amici arabi che sei stato aggredito come hai detto loro.»
Callo guardò alternatamente Abbot e Blout. «Ma io ho detto che sono sfuggito ai miei aggressori.»
«Ah» fece Abbot con un cenno del capo, intrecciando le dita per sistemare i guanti. «Ma ti hanno trovato di nuovo.»
Blout avanzò con fare minaccioso. Callo fissò Abbot, arrivando finalmente a comprendere, gli occhi colmi di lacrime, un lieve scuotimento di testa.
Abbot si accostò a Callo, tirò indietro il gomito destro e serrò la mano a pugno.
«Scusami amico» disse. «Ma avresti dovuto aspettartelo.»