38
Lavarone, Italia
Le Alpi erano un buon posto dove nascondersi. Le montagne lo erano sempre. Per definizione, erano remote e poco popolose. C’era un’infinità di luoghi dove rifugiarsi. Essendo abile nell’alpinismo, nella scalata e nelle tecniche di sopravvivenza, Victor poteva approfittare del terreno e del clima, sfruttandoli a proprio vantaggio e contro i nemici. Amava anche il panorama, la quiete, la sensazione di isolamento. A Adrianna sarebbe piaciuta la zona e, se Victor non avesse avuto la necessità di restare nascosto, l’avrebbe invitata a raggiungerlo.
L’altopiano di Lavarone era situato a nordest del Paese. Era una zona rigogliosa e rurale, composta da vari paesini e borghi. C’erano poco più di mille residenti, sparsi su ventotto chilometri quadrati di boschi e pascoli. Turisti e gente di passaggio erano abbastanza comuni da permettere a Victor di confondersi tra loro. In un tratto di centosessanta chilometri si trovavano tre confini internazionali.
Aveva una stanza all’Albergo Antico nel centro della città. Era una struttura perfetta per nascondersi per qualche giorno; abbastanza grande da garantire l’anonimato, ma non così grande da impedire di tenere traccia degli altri clienti; abbastanza moderna da garantire servizi decorosi, ma non così moderna da avere telecamere di sorveglianza ovunque. L’atrio era strettamente funzionale, non il genere di spazio dove le persone potessero ciondolare. Anche l’ubicazione era buona. Dalla sua finestra, Victor poteva vedere la strada all’esterno e subito accanto passava la superstrada. Ancora una volta, non era il tipo di posto dove la gente si aggirasse senza ragione. La vicinanza alla superstrada lo avrebbe anche aiutato a fuggire in fretta, se necessario. Le tariffe modeste comportavano che le mazzette che Victor pagò ai dipendenti fossero piuttosto ragionevoli. In disparte, chiese loro di fargli sapere se qualcuno avesse domandato di lui, direttamente o indirettamente. Anche il cibo era eccellente, il che rendeva un po’ più piacevole il periodo di eclissamento.
Victor era in Italia da due giorni e a Lavarone da uno, perlopiù trascorso su un pedalò sul lago e poi a visitare l’enorme Belvedere Gschwent. Aveva letto in passato della fortezza e di rado si lasciava sfuggire l’occasione di vedere una parte della storia militare, se ne aveva l’opportunità. Il Belvedere Gschwent e il museo erano anche un buon posto dove scoprire eventuali pedinatori, ma Victor non aveva visto nessuno di sospetto da quando era giunto nel paese.
Non sapeva cosa aspettarsi, ma aspettarsi il peggio gli veniva facile e naturale. Essere ottimisti era un privilegio riservato ai normali cittadini e agli assassini morti. Svolse una controsorveglianza e adottò misure precauzionali con un’attenzione perfino maggiore del solito. Il fallimento dell’operazione Yamout non gli usciva mai dalla mente, in particolare il fatto che il fallimento fosse dovuto all’intervento di una terza parte. Una terza parte che lui era stato costretto a uccidere e che gli aveva sparato a sua volta. Si massaggiò il braccio. Gli faceva ancora male. La ferita non era un grosso problema, ma ciò che i mandanti della squadra di sorveglianza avrebbero potuto fare in risposta era molto più serio.
Victor aveva distrutto il loro computer, sul quale lo avevano ripreso tramite telecamere nascoste nella suite presidenziale, ma dovevano esserci delle copie di riserva di quei filmati, ne era certo. I capi della squadra dovevano avere il suo volto, la sua voce, e forse in quello stesso istante lo stavano rintracciando. Lo scontro con gli uomini di Petrenko alla stazione ferroviaria avrebbe dato ai suoi inseguitori ancora più informazioni su di lui.
Petrenko non sarebbe stato un problema. Victor aveva lasciato il bielorusso troppo spaventato perché si azzardasse a vendicarsi. Dunque si poteva mettere da parte almeno un nemico potenziale.
Restava il datore di lavoro.
Non c’erano internet café a Lavarone, perciò Victor prese un autobus per una delle città limitrofe più grandi. Là trascorse due ore a eseguire una controsorveglianza, poi entrò nel solitario negozio e si sedette davanti a un computer. Era da prima del fallito attentato a Yamout che non controllava la casella di posta fornita dalla CIA. Come si aspettava, gli richiedevano di mettersi in contatto per un rapporto sull’azione di Minsk. Victor aveva saltato la telefonata prestabilita, ma non c’erano commenti a riguardo. Il tono dell’email era neutrale, privo di elementi che tradissero quanto era arrabbiato il suo capo per la sopravvivenza di Yamout. La voce non si sarebbe dimostrata felice, questo era scontato.
Victor si massaggiò il tricipite destro prima di digitare una risposta, nella quale fissava l’orario in cui avrebbe chiamato. Alcuni giorni senza attività estenuanti erano stati positivi per la ferita, che si stava rimarginando bene. Non c’era stata infezione e il dolore stava diminuendo. Non prendeva analgesici. Il dolore, sebbene portasse con sé dei lati negativi, era l’indicatore migliore di come la ferita stesse guarendo.
Passò il resto del pomeriggio a esplorare città e paesini sull’altopiano di Lavarone, prendendo autobus e andando a piedi, parlando di tanto in tanto con amichevoli persone del posto della loro bella regione, ma senza mai rilassarsi veramente.
Tornò all’albergo a sera, con un portatile compatto appena acquistato nascosto in uno zaino. In camera sua, accese il computer, lo connesse alla rete internet dell’albergo, scaricò e installò il programma richiesto e telefonò al suo datore di lavoro.
«Che cosa è successo?» pretese di sapere la voce.
«Niente convenevoli, stavolta?»
«No, oggi no, visto che la settimana scorsa ha fallito. E sono morti quattro civili.»
«Dal momento che mi ha dato un periodo di tempo così limitato per uccidere un trafficante di armi protetto da dieci uomini armati, in un luogo riservato, dovrebbe riconoscere che tale commissione aveva possibilità di successo molto scarse.»
«Non si aspetti la seconda metà della tariffa» ribatté il datore di lavoro. «E non pensi di essere rimasto con un solo lavoro da svolgere, dopo questa débâcle. La credevo migliore, sul serio.»
«Date le circostanze impreviste in cui mi sono imbattuto, se lei avesse avuto qualcun altro capace di portare a termine quel lavoro, avrebbe dovuto usarlo al posto mio.»
Una pausa, poi la voce chiese: «Quali circostanze?»
«Non so da dove lei tragga informazioni» disse Victor «ma non potrebbero essere più imprecise. Quei quattro civili che ho ucciso non erano civili.»
«Allora chi erano?»
«Non lo so» rispose Victor. «Ho scorto uno di loro quando sono arrivato in albergo. In un primo momento ho pensato che fosse un uomo di Yamout. Invece non erano alleati né di Yamout né di Petrenko. Erano una squadra di sorveglianza, per così dire. Non hanno sparato o combattuto come i vostri tipici artisti da marciapiede. Avevano piazzato telecamere di sorveglianza nella suite di Petrenko, collegate a un computer nella suite di fianco. Quando ho attaccato Yamout, i quattro sono intervenuti, ed è solo questa la ragione per cui loro sono morti e Yamout è vivo.»
Il datore di lavoro rifletté sulla rivelazione per un lungo momento, poi disse: «Se sono intervenuti, allora sono...»
«No» lo interruppe Victor. «Quando Yamout ha chiesto aiuto, loro non hanno fatto nulla. Se fossero stati soci, gli avrebbero almeno risposto. Hanno ignorato anche la richiesta di aiuto di Petrenko.»
«Ha parlato con qualcuno di loro?»
«Brevemente. Non mi hanno detto niente di utile, ma parlavano in russo, anche se non credo fossero russi. O bielorussi. L’unico che ho visto alla luce del giorno era abbronzato e aveva i capelli scuri. Ho immaginato che fosse del Medio Oriente, dando per scontato che lavorasse per Yamout, ma poteva benissimo essere sudamericano o mediterraneo. O solo originario di quei posti.»
«Come descrizione, mi pare un po’ generica.»
«Ho forse detto che non lo fosse?»
«Immagino non avessero documenti identificativi addosso, dico bene?»
«Avevano patenti di guida bielorusse.»
«Autentiche?»
«Falsificate in maniera competente.»
«Dunque sono dotati di mezzi.»
«E di addestramento, esperienza, finanze e un servizio di intelligence accurato, a meno che Yamout e Petrenko non avessero pubblicizzato il loro incontro sul settimanale Trafficanti di armi.»
«Dunque mi sta dicendo che dei servizi segreti stavano conducendo un’operazione contro Yamout o Petrenko e noi ci siamo intromessi?»
«È l’ipotesi più probabile» concordò Victor. «Oppure sono degli agenti privati che lavorano per una qualche organizzazione o un individuo.»
«Ha detto che avevano piazzato telecamere di sorveglianza nella suite di Petrenko, giusto?»
«Sì.»
«Dunque, a rigor di logica, stavano controllando Petrenko, altrimenti avrebbero spiato Yamout nel suo Paese, no? Potrebbero essere stati poliziotti o agenti nazionali che cercavano di pizzicare Petrenko mentre commetteva uno dei suoi molti crimini.»
«Nessuno di loro ha cercato di arrestarmi» spiegò Victor. «Lo avrebbero fatto, se fossero appartenuti ai servizi di sicurezza bielorussi. Io penso che fossero interessati a ciò di cui Yamout e Petrenko stavano discutendo, e non tanto agli individui in sé.»
«Ad ogni modo, siamo compromessi. Quanto è esposto, lei?»
Victor attendeva quella domanda. Sapeva che il suo datore di lavoro avrebbe prestato molta attenzione alla risposta.
«In misura minima» disse Victor. «Io sono un tipo prudente, e i quattro uomini della squadra di sorveglianza sono tutti morti. Ho crivellato il disco rigido del loro computer con un intero caricatore pieno di pallottole 9mm. Nessuno sarà in grado di recuperare i filmati.»
«Bene» rispose l’agente, con un sospiro di sollievo che avrebbe potuto nascondere meglio, considerando le ripercussioni se Victor avesse risposto diversamente. «E che mi dice del giorno dopo? Ho saputo che c’è stato un numero considerevole di morti in una stazione ferroviaria. Non è opera sua, vero?»
«Sono fuggito in auto» rispose Victor. «Tutto ciò che è successo il giorno seguente è probabilmente dovuto a Petrenko, che ha cercato di colpire i nemici sospettati di avergli dato la caccia.»
«Lo suppongo anch’io.»
Dal tono, Victor non riuscì a capire se gli avesse creduto, ma non c’era niente che il datore di lavoro potesse fare per dimostrare che l’incidente alla stazione centrale di Minsk fosse opera sua. Qualsiasi filmato delle telecamere di sicurezza sarebbe stato nel migliore dei casi inconcludente.
«Bene» disse la voce dopo un momento. «Se non si è esposto, non c’è niente di cui preoccuparsi. Le farò sapere se ci sono cambiamenti, ma fino ad allora potrà continuare a comportarsi come di consueto. Non avrò bisogno di lei nell’immediato, ma rimanga in Europa. Tornerà presto al lavoro.»
Dopo aver terminato la chiamata, Victor rimase immobile nell’oscurità, in compagnia dei suoi soli pensieri. Esaminò uno dei portafogli che aveva sottratto alla squadra di sorveglianza, come aveva già fatto più volte. Fatta eccezione per la patente bielorussa e del contante, era vuoto. Dovevano esserci delle impronte, certo, e, se la persona a cui appartenevano si trovava sui database di qualcuno, senza dubbio la CIA avrebbe potuto identificarla, ma Victor non voleva che il suo datore di lavoro sapesse qualcosa sui suoi aggressori prima di lui. Se i sospetti di Victor si fossero rivelati corretti, allora si sarebbe ritrovato in una posizione molto precaria con la CIA.
Pensò agli eventi all’albergo Europe. C’erano zone grigie delle quali non riusciva a ricordare ogni dettaglio, ma gli succedeva sempre così dopo un combattimento. Certi eventi restavano vividi per anni, mentre altri, non necessariamente meno significativi, svanivano dalla sua memoria nel giro di pochi minuti. Victor non capiva le ragioni fisiologiche o psicologiche che vi stavano dietro, e non voleva neppure saperle. Mentre controllava le sue altre caselle di posta, trovò una risposta da parte di Alonso, risalente alla settimana prima. L’email spiegava che Alonso sarebbe rimasto in Europa per un solo giorno ancora e se volevano incontrarsi avrebbero dovuto farlo in fretta. Ormai erano passati alcuni giorni, perciò la commissione europea di Alonso doveva essere stata affidata a un altro professionista. Nell’email si aggiungeva anche che, a posteriori, Hong Kong non era stata poi così divertente e Alonso non consigliava di andarci. Victor cancellò il messaggio. Avrebbe potuto usare il denaro ottenuto dal lavoro di Hong Kong, ma era stato ritirato per qualche ragione. Magari il cliente ci aveva ripensato, oppure il bersaglio era stato investito da un treno.
Victor scoprì di essersi lasciato sfuggire anche un ulteriore lavoro da parte di un altro intermediario. Un kazako che lavorava fuori Mosca, per cui lui non eseguiva incarichi da anni, aveva una commissione non specificata ma molto pericolosa che valeva una tariffa potenzialmente alta. Voleva proporla a Victor. Quando Victor rispose all’email chiedendo maggiori informazioni, il messaggio fu respinto. La casella di posta del destinatario non era più attiva, dunque era stato forse ritirato come il lavoro di Hong Kong, o forse era già stato affidato a un altro sicario. Le altre caselle di posta erano tutte piene di email non richieste e nient’altro. Nessuno offriva lavoro. Victor era fuori dal mercato da più di sei mesi, dunque non c’era da stupirsi che gli intermediari stessero andando altrove.
Non pensava che il suo datore di lavoro sarebbe diventato un problema, quantomeno per il momento. Tuttavia, la voce all’altro capo del mondo desiderava sicuramente sapere tanto quanto lui chi stesse dietro la squadra di sorveglianza che Victor aveva ucciso, e lui voleva scoprirlo per primo. Gli sarebbe stato d’aiuto tenere per sé ciò che sapeva, ma non sarebbe passato molto tempo prima che il committente scoprisse che quegli ulteriori cadaveri non erano di civili. Nascondere informazioni non avrebbe migliorato la sua posizione precaria con la CIA.
Un altro giorno di convalescenza e si sarebbe spostato a Bologna. Se voleva identificare gli uomini che aveva ucciso a Minsk prima che lo facesse il suo datore di lavoro, gli sarebbe servito aiuto.