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Victor li udì qualche secondo prima di vederli. Entrarono alla svelta, dall’ingresso sulla parete di fianco al lavello: cinque uomini pieni di determinazione, quattro armati. Un fucile. Tre pistole. Non avevano le movenze né l’aspetto di professionisti, ma il modo in cui tenevano le armi mostrava che non erano alieni dalla violenza.

Il gorilla reagì in fretta, voltandosi e afferrando la Colt, ma l’ordine di fermarsi e le armi puntate su di lui gli fecero cambiare idea. La guida mostrò i palmi, mentre Georg prese a calci una cassa dalla rabbia, o forse dal disgusto.

Victor rimase com’era. A parte il montacarichi, non c’erano uscite abbastanza vicine da fargli azzardare una fuga, ed era impossibile aprire e chiudere la saracinesca senza finire crivellato di proiettili. Finché non avesse capito cosa stava succedendo, non poteva fare niente.

Mentre entrava, l’ultimo intruso gridò: «Oh, mia cara Georg. È un piacere trovarti qua.»

Il tizio era basso, di corporatura esile, con indosso un completo a buon mercato. Era disarmato, ma Victor gli riservò la massima attenzione. Gli altri si avvicinarono, uno tenendo di mira Georg, la guida e Victor. Gli altri due tenendo di mira il gorilla. Quello con il fucile lo puntò verso Victor. Tipico.

Georg allungò le mani con fare interrogativo. «Che ci fai qua, Krausse?»

L’uomo con il completo a buon mercato si mise alla luce. Forse era quarantenne. Aveva radi capelli neri e corti. La pelle delle guance e della fronte butterata.

«Potrei chiederti la stessa cosa, Georg» rispose Krausse, guardandosi attorno. «Ma a quanto sembra stai conducendo un affare, e senza avermi messo al corrente.»

«Esci da qua, Krausse» gridò Georg «e porta con te i tuoi pagliacci. Tu non c’entri niente con quello che stiamo facendo.»

«Oh, invece sì» rise lui. «Noi siamo soci in affari, ricordi?»

«Lo eravamo» lo corresse Georg.

Krausse fece un sorriso malizioso. «Questo lo decido io.» Guardò Victor. «Chi è quello?»

«Che importanza ha? Non è nessuno.»

«Ha importanza.» Krausse fece un cenno in direzione di Victor. «Chi sei?»

Victor si mostrò noncurante. «Come ha detto lei, nessuno.»

«Sarai nessuno se non mi dici cosa ci fai qua.»

Victor lanciò un’occhiata a tutti gli uomini di Krausse. I tre con le pistole erano irrequieti; si muovevano in continuazione e deglutivano. Quello con il fucile era più calmo, più concentrato, gli occhi che quasi non battevano ciglio. A ogni respiro rilassato e regolare muoveva le narici del naso piatto e deforme.

Dopo un istante, Victor disse: «Sto facendo un acquisto.»

«E cosa stai acquistando?»

«Dei fiori per mia madre.»

Due uomini di Krausse sorrisero.

Krausse fece un sospiro. «Sei divertente, cazzo.»

«Sto leggendo un libro di barzellette.»

Georg si guardò alle spalle. «Facci un favore. Taci.»

«Ben detto» fece Krausse. «Non c’è alcun bisogno che la cosa si faccia spiacevole. Io sono qua solo per avere la mia giusta quota nella transazione.»

«Intendi dire che sei qua per rubare» disse Georg.

Krausse rispose con un sorrisetto. «Se vuoi metterla così, mia cara, non ti contraddirò.» Si rivolse a Victor. «Che cosa stai comprando? E stavolta pensa alla risposta, prima di parlare.»

Victor rimase in silenzio.

«Sta comprando esplosivi» disse Georg dopo qualche secondo. «Un’arma, roba del genere.»

«Interessante.» Krausse inarcò le sopracciglia e annuì rivolto a Victor. «Anche quelli sono per tua madre?»

«Le piace tenersi attiva.»

Krausse rise e i suoi uomini fecero altrettanto, abbassando un poco le armi. Victor osservò il tizio con il fucile guardare gli altri e scuotere il capo dall’incredulità. La canna del fucile si abbassò leggermente.

Krausse tornò a guardare Georg. «Dove diavolo hai trovato questo tizio?»

«È stato lui a trovare me.»

«Lo immaginavo. Quanto esplosivo sta comprando?»

Georg si strinse nelle spalle. «Una quantità ragionevole.»

Krausse sorrise a Victor. «Allora, conoscendo Georg, pagherai un prezzo irragionevole.» Guardò uno dei suoi uomini. «Toglietegli il denaro.»

L’uomo che si avvicinò a Victor era alto all’incirca quanto lui, quasi un metro e novanta, ma più grosso di collo, spalle e vita. Aveva un volto duro, serio. Puzzava.

«Sei armato?»

Victor rispose: «No, a meno che tu non consideri un’arma il caffè.»

Con la coda dell’occhio, Victor sorprese Georg a guardarlo. Non ricambiò lo sguardo.

Il tizio abbassò la pistola mentre si avvicinava. «Tieni le mani in vista.»

Tastò Victor con la mano sinistra. Non con l’accuratezza del gorilla di Georg, ma comunque a fondo. Poi gli tolse di mano i soldi e li mostrò a Krausse. Nel farlo, si girò di fianco. Victor aspettò un secondo e fece un piccolo passo verso destra.

Krausse non parve felice. «Non sono tanti.»

Prima che qualcuno potesse rispondere, squillò un cellulare. Victor riconobbe la suoneria: Musica sull’acqua di Händel. Krausse fece fatica a tirarlo fuori dalla tasca dei pantaloni. Guardò lo schermo per un istante, poi rifiutò la chiamata.

«Odio questi aggeggi. Ti dominano la vita» disse, rimettendo il telefono in tasca. «Bene, mi stavi dicendo dov’è il resto dei soldi.»

Victor non disse nulla. Lanciò un’occhiata agli altri tre uomini di Krausse. Non erano rigidi come all’inizio. Apparivano sempre più padroni di sé e rilassati con il passare del tempo. Più a loro agio.

«Mi avrebbe accompagnata a prenderli, dopo aver ricevuto la roba» spiegò Georg.

«Allora adesso può accompagnare me.» Krausse guardò il tizio con i soldi. «Contali.»

Di spalle a Victor, l’uomo mise la pistola nella tasca sinistra della giacca e iniziò a sfogliare la mazzetta.

«Posso prendere il materiale per cui sono venuto qua?» chiese Victor.

Krausse disse: «Ti ho già detto quanto sei spiritoso?»

«E se ve lo chiedessi per favore?»

Krausse rise, rivolgendosi ai suoi uomini con un’espressione di divertito sbalordimento. Questi sorrisero o gli risposero con un’alzata di spalle, le armi ormai abbassate. Victor fece un altro passetto laterale. Quello che contava i soldi era ormai frapposto tra lui e i due armati alla sua sinistra. E viceversa.

Victor parlò a Krausse senza guardarlo. «Sei certo di non voler cambiare idea?»

«Oh, ne sono piuttosto certo» fece Krausse.

«Allora non mi lasci scelta.»

Victor strizzò la tazza di caffè che aveva nella mano sinistra. Il coperchio saltò e lui infilò la mano all’interno, estrasse un coltello nero a serramanico, tirò fuori la lama e la piantò nella schiena dell’uomo davanti a lui. Questi si irrigidì e gridò, facendo cadere i soldi. Victor lasciò andare il coltello, estrasse la pistola dalla tasca dell’uomo e la puntò alla testa di Krausse prima che qualcuno potesse reagire.

L’uomo con il coltello nella schiena gemette e cadde in ginocchio. Per un attimo, nessuno si mosse né parlò. Banconote da cento euro finirono sul pavimento.

Victor guardò alternatamente gli altri tre uomini. Avevano risollevato le armi ed erano ansiosi, con gli occhi rivolti a lui e a Krausse, in attesa di ordini. Nessuno sembrava abbastanza stupido da sparare mentre Victor aveva la pistola puntata sul capo, ma lui non poteva esserne certo.

Krausse batté lentamente le mani. «Una prestazione notevole.» Lanciò a Victor uno sguardo truce. «Bravo.»

Victor ricambiò l’occhiataccia. «Dovresti vedere cosa faccio quando mi chiedono il bis.»

«Allora non te lo chiederò.»

«Non ce n’è bisogno» fece Victor. «Voglio solo ciò per cui sono venuto.»

L’uomo con il coltello nella schiena si piegò in avanti e cadde di fianco. Si mise in posizione fetale. Attorno a lui si formò una pozza di sangue. Victor lo aveva pugnalato tra la colonna vertebrale e il rene sinistro. Una ferita potenzialmente mortale, ma avrebbe potuto salvarsi, se curato in tempo.

Victor aveva scelto di non farlo morire sul colpo, nell’eventualità che ispirasse uno degli altri a cercare una sciocca vendetta che avrebbe portato anche lui a morire. Questi tizi erano probabilmente amici e Victor sperava soprattutto che si preoccupassero di aiutare l’uomo ferito.

Gli uomini di Georg erano fuori dal campo visivo di Victor, ma con la coda dell’occhio riusciva a scorgere Georg; sebbene comprensibilmente nervosa per il mutamento della situazione, non era affatto in preda al panico. Victor sperò che i tre avrebbero avuto l’intelligenza di tenersi fuori dall’azione. Avere una pistola puntata al cervello non pareva avere molto effetto su Krausse. Non sorrideva più, ma era calmo, più infastidito che spaventato.

«Allora, come facciamo?» chiese.

«Intanto, fa’ gettare le armi a terra ai tuoi uomini.»

Krausse scosse il capo. «Non ci penso proprio.»

«Non ho intenzione di ripetertelo.»

Krausse annuì, come se avesse previsto esattamente quella risposta. «Sei svelto, amico, ma sappiamo entrambi che non sei abbastanza svelto da sparare a me e a tutti i miei uomini prima di finire ucciso. Non hai istinti suicidi, giusto?»

«Ultimamente no.»

«Bene. E io so che se chiedessi ai miei uomini di spararti, tu mi uccideresti ancor prima che finisca la frase.»

«Prima che tu finisca la prima parola.»

«Ti credo» disse Krausse. «Dunque, siamo in stallo, e non metteremo giù le armi.»

Non era Krausse la minaccia, ma i suoi scagnozzi, però il capo aveva ragione, erano disposti troppo bene perché si potesse azzardare un attacco. Se non lo fossero stati, Victor avrebbe già sparato a tutti quanti.

Disse: «Lascerò i soldi dove sono e poi uscirò da qua. E voi me lo lascerete fare.»

«E il resto dei soldi?»

«Sono nel cestino all’angolo tra Ballindamm e Alstertor.»

«Affare fatto.»

«Non proprio. Dov’è il materiale?» chiese Victor a Georg.

Georg rimase in silenzio.

«Diglielo» le ordinò Krausse.

Georg parlò con voce sommessa, sconfitta. «È in un furgone qua vicino. Ce lo accompagno io.»

«No, no, no.» Krausse scosse il capo. «Tu sta’ qua. Non abbiamo finito.»

«Prenderai tu tutti i soldi» disse Georg. «Vattene, adesso.»

«Tu mi hai ingannato, Georg. E non è neppure la prima volta. So di quell’affare che hai fatto con quegli stronzi di Monaco senza di me. Che uomo sarei, se lasciassi impunita una tale mancanza di rispetto? È per questo che sono venuto, per discutere del tuo tradimento» spiegò Krausse. «Digli dov’è il furgone e dagli le chiavi. Non ti serviranno più.»

«No.»

«Diglielo.»

Georg si raddrizzò, con aria sprezzante. «No.»

«Diglielo, Georg, altrimenti i miei ragazzi sfogheranno la loro frustrazione su di te, finché non ti deciderai a collaborare.»

«Fottiti!»

Victor capì cosa stava per accadere nel silenzio che ci fu prima che Georg estraesse la pistola. Quando la donna lo fece, Victor si stava già muovendo, guadagnando un secondo di vantaggio sugli altri. Si tuffò dietro una pila di casse un attimo prima che uno degli uomini di Krausse aprisse il fuoco. Il rimbombo della pistola riecheggiò nel magazzino.

Prima che Georg riuscisse a sollevare del tutto la sua piccola pistola, ricevette il proiettile alla spalla sinistra, che la schizzò di sangue. Incespicò, riuscì a sparare a Krausse ma mancò il bersaglio, facendo un foro nel muro alle spalle dell’uomo. Corresse la mira per sparare una seconda volta.

Una raffica di fucile la colpì allo stomaco.

Georg cadde all’indietro, franando sul telo ammucchiato nei pressi dell’ascensore. Il sangue luccicò sulla plastica.

Gli uomini di Georg andarono nel panico ed estrassero le armi. Il gorilla fu il primo a cadere, colpito simultaneamente al petto e alla schiena. La guida visse un po’ più a lungo.

Quando la sparatoria ebbe fine, Victor udì il tintinnare di bossoli usati ma, accovacciato dietro le casse, non riusciva a vedere Krausse o i suoi uomini. L’uomo che aveva pugnalato era muto, svenuto. Victor non sapeva cosa sarebbe successo e alzarsi non gli sembrava il modo migliore per scoprirlo. Se intendevano sparare anche a lui, le casse gli avrebbero fornito una certa protezione, ammesso che ci fosse qualcosa all’interno. Altrimenti, lo avrebbero quantomeno tenuto nascosto.

«Adesso puoi uscire» disse Krausse.

«In realtà, sto bene dove sono.»

Krausse rise. «Dimmi, mio nuovo migliore amico, quanto tempo pensi di rimanere là dietro?»

Victor controllò la pistola, una Glock 17. A parte qualche graffio, sembrava tenuta piuttosto bene. Estrasse il caricatore, vide che conteneva FMJ da 9mm e lo reinserì senza fare rumore. Fece scorrere con cautela il carrello per guardare nella camera di caricamento. Sembrava pulita ma ci soffiò comunque, nell’eventualità che ci fosse dello sporco. Le Glock erano affidabili, tuttavia non era mai male assicurarsi che tutto fosse a posto. Victor caricò un colpo nella camera, muovendo lentamente il carrello per limitare il rumore.

Disse: «Diciamo che ci resterò finché non ve ne andrete.»

«Stai iniziando a piacermi» rispose Krausse. «Dico sul serio. Ma sai bene che non ce ne andremo.»

Victor pensò in fretta. Non sarebbe potuto restare là a lungo. Più tempo impiegava ad agire, più tempo avrebbero avuto per circondarlo. Si tolse la giacca del completo.

«E il nostro accordo?»

«Il nostro accordo?» Krausse rise ancora. «Ti riferisci all’accordo che abbiamo fatto mentre mi puntavi la pistola in faccia? Se ti riferisci a questo, adesso la tua capacità di contrattazione si è indebolita parecchio.»

Prima che iniziasse la sparatoria, Krausse e l’uomo con il fucile erano alla destra di Victor, gli altri due uomini sulla sinistra. Victor pensò che se si fosse mosso alla svelta e Krausse e il tizio con il fucile non si fossero spostati troppo, li avrebbe facilmente abbattuti prima che loro potessero rispondere al fuoco. Il problema erano i due alla sinistra, e il fatto che, se lui avesse ucciso Krausse e il tizio con il fucile, avrebbe ricevuto dei colpi alle costole dagli altri due. Oppure, se avesse ucciso quei due, sarebbe stato crivellato dalle pallottole di fucile.

Victor sentiva sussurrare ma non riusciva a decifrare le parole. Immaginò, tuttavia, l’argomento della conversazione. Lui, o meglio, come ucciderlo. Probabilmente non capivano molto di tattica militare, ma non era difficile accerchiare una persona, quando si era quattro contro uno. E perfino Sun Tzu avrebbe fatto fatica a trovare una difesa efficace contro tale attacco. Pensa, si disse Victor.

Sopra di lui, tremolò un neon.

Victor udì dei passi avvicinarsi da entrambi i lati. Entro pochi momenti lo avrebbero attaccato da tutte e due le parti in contemporanea. Sarebbe morto nel giro di qualche secondo. Non c’era tempo per elaborare un piano.

Fece fuoco.