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L’oscillazione di rami diede a Victor un preavviso sufficiente a gettarsi a terra prima che gli spari iniziassero. Ancora una volta, furono spari silenziati. Foglie distrutte e pezzi di cespugli gli caddero sulla schiena e la testa. Lui rotolò verso sinistra, giù dal fianco della collina, il modo più rapido per sfuggire alla linea di tiro.
Il nuovo arrivato aveva coperto la distanza in fretta, coordinando i movimenti con l’altro tiratore mediante auricolari, per poter accerchiare Victor. Tuttavia, correre per seicentocinquanta metri in una foresta e su per un pendio, dopo aver scalato un muro di tre metri, aveva sicuramente sfiancato il tiratore, a prescindere dalla sua forma fisica. Doveva avere una frequenza cardiaca altissima e una mira relativamente scarsa. Non che ci volesse un buon tiro per tenere Victor bloccato in attesa dell’arrivo dell’altro tiratore.
Con un nemico diciotto metri più avanti, un altro forse trentacinque metri alle spalle ma svelto a sopraggiungere, a Victor restavano solo due direzioni da poter prendere. Andare a sinistra significava concedere agli aggressori il terreno più alto, e a quattrocentocinquanta metri c’era un muro che non poteva superare, se non voleva ritrovarsi crivellato di colpi alle spalle e con cinque guardie del corpo armate al di là. Andare a destra significava salire su per la collina, e un bersaglio lento diventava presto un bersaglio morto. Tuttavia, non poteva neppure rimanere dov’era, visto che ogni secondo che passava dava all’altro uomo il tempo per raggiungerlo e riguadagnare un raggio di tiro.
Victor scelse di andare a destra, tenendosi basso. Mentre avanzava, il sottobosco fu squarciato da proiettili del nuovo arrivato, ma abbastanza distanti da dirgli che il tiratore era meno abile del collega, oppure la sua precisione risentiva molto del battito accelerato e della troppa adrenalina. Victor sforzò le gambe il più possibile, combattendo la gravità mentre scalava la collina, sapendo che, se fosse inciampato o avesse rallentato, il suo nemico stavolta avrebbe centrato l’obiettivo. Per poco non scivolò su un tratto di roccia muschioso, ma continuò a correre finché non raggiunse un albero abbastanza grosso da fornirgli riparo. Si mise su un fianco per massimizzare la protezione, mentre prendeva grandi boccate d’aria. Aveva surclassato un aggressore, ma non poteva surclassarne due capaci di comunicare tra loro.
L’albero aveva un tronco che si divideva in due, sporgendo dalla terra con un angolo di quarantacinque gradi. I due tronchi gemelli si intrecciavano tra loro. Victor si mise dietro la parte più spessa dei tronchi e sbirciò oltre la fessura tra i due. Una lucertola corse via.
Intravide il secondo tiratore precipitarsi nella sua direzione, avvicinandosi mentre il suo bersaglio si acquattava dietro un riparo. Il tiratore era a quasi trenta metri, mezzo sepolto nel sottobosco, l’arma spiegata e pronta, puntata verso Victor. Era camuffato in una tuta da cecchino e aveva un MP5SD come gli altri due. Con la spalla sinistra poggiata ai tronchi, Victor uscì rapidamente allo scoperto e sparò una raffica.
Il tizio si tuffò per nascondersi.
Victor si girò, sapendo che il primo tiratore avrebbe approfittato del momento per accorciare le distanze. Ci mise un secondo per vederlo, mentre si muoveva da un albero a un altro, in fretta ma composto. Victor fece fuoco giusto mentre l’uomo spariva dietro una massa di rami bassi. Colpi perforanti esplosero nel fogliame. Victor non aveva sperato di colpire i tiratori, perché colpire bersagli in movimento in un ambiente ricco di ripari non era mai facile, ma sapeva che quei due avrebbero tentato di accostarsi mentre pensavano che lui fosse preso a nascondersi; inoltre, gli uomini con la tuta da cecchino in movimento non erano difficili da vedere tanto quanto quelli fermi.
Avendo guadagnato alcuni secondi mentre i tiratori si mettevano al riparo, Victor li usò per sfrecciare su per la collina, piazzandosi ancora una volta dietro un albero non appena se ne presentò uno abbastanza grande. Era stanco, affannato, con i muscoli invasi dall’acido lattico. Sarebbe bastato restare allo scoperto un secondo di troppo per ricevere una pallottola nella schiena. Respirò a fatica, sentendo lo sporco e il sudore sulle labbra. Combatté l’istinto di trincerarsi e combattere, sapendo che erano troppo distanti l’uno dall’altro per poter ingaggiare battaglia nello stesso momento, e che se fosse rimasto in quel posto troppo a lungo lo avrebbero accerchiato. Doveva continuare a muoversi, altrimenti non sarebbe mai uscito vivo dal bosco. La sua unica possibilità di salvezza era trovare una piccola rupe, dei massi o un crepaccio: un terreno da poter sfruttare per controbilanciare lo scontro a fuoco. Si armò di coraggio per un’altra corsa. Sopra di lui scricchiolarono delle foglie. Ondeggiarono rami. Victor udì un qualcosa di duro sbattere contro un tronco e cadere sul sottobosco su per la collina, forse cinque metri a est.
Si buttò a terra un istante prima che la granata esplodesse.
Terra e piante saltarono in aria. Schegge di metallo ardenti si piantarono nel tronco sopra Victor. La corteccia sfrigolò. Il sicario inalò l’odore pungente dell’esplosivo ad alta potenza. Non era ferito, malgrado la forte vicinanza allo scoppio. Il raggio letale per una moderna granata a frammentazione era di circa cinque metri, e il raggio di ferimento di circa quindici, ma il percorso dello shrapnel sale viaggiando, e Victor era stato più in basso della granata.
Rimase immobile, sperando di convincere i due tiratori di essere morto e perciò trascinarli allo scoperto. Udì il rumore di un’altra granata che passava tra i rami sopra di lui. La osservò cadere tre metri più su per la collina e si appiattì a pancia in giù, le mani alle orecchie. La granata esplose e schizzarono altra terra e foglie distrutte, altri shrapnel squarciarono il sottobosco. In aria salì del fumo.
I due non si sarebbero fatti convincere così facilmente della sua morte. Altri due metri più vicino e l’elevazione non lo avrebbe salvato. Il rumore di una terza granata che sventrava la vegetazione impedì a Victor di alzarsi e correre. Sembrava più bassa, più vicina.
Sbatté in terra a mezzo metro dal volto di Victor. Una tipica granata a frammentazione aveva una miccia che durava dai tre ai cinque secondi. Un secondo per la fuga lasciava dai due ai quattro secondi prima che l’arma facesse a brandelli il cranio di Victor con schegge roventi d’acciaio ad alta velocità, e disintegrasse ciò che restava della sua testa con l’onda di sovrapressione. Dai due ai quattro secondi, se il tiratore non avesse indotto una detonazione prematura. Non c’era abbastanza tempo per alzarsi e uscire dal raggio letale.
Restava solo un’opzione.
Victor afferrò la granata e la scagliò nella direzione da cui era venuta, tirò il braccio indietro, udì il forte scoppio tre secondi dopo, sentì il flusso d’aria dovuto all’esplosione giungere verso di lui e udì gli shrapnel bombardare l’albero dietro il quale si era protetto. Gli fischiarono le orecchie. Dubitava che i nemici fossero rimasti colpiti, ma la loro vicinanza allo scoppio li aveva sicuramente sorpresi, se non disorientati. E quella era proprio la distrazione che gli serviva.
Saltò in piedi e corse, non verso l’alto stavolta ma a sud lungo il fianco della collina, in direzione dell’affioramento, con un piano in mente.
Corse per due secondi prima di udire gli scatti smorzati di un MP5SD che faceva fuoco; probabilmente era il primo tiratore, che era alla destra di Victor, a ovest, mentre il secondo era troppo a nord per poterlo vedere. Victor sfrecciò lungo la pendenza regolare, per altri cinque metri, dieci, il cuore che gli batteva sempre più forte, il bruciore nelle gambe che si faceva sempre più intenso, combattendo contro il folto sottobosco, schivando gli alberi. Gli spari cessarono e lui capì di non essere più sotto tiro. Entrambi si sarebbero messi al suo inseguimento, ma era esattamente ciò che Victor voleva. Dopo altri venti metri, fece una breve pausa dietro un masso muschioso, sparò alla cieca alcuni colpi verso la zona da cui era venuto per rallentare gli inseguitori e ricominciò a correre. Scavalcò rampicanti che si attorcigliavano sul terreno. Dopo quaranta metri si gettò a terra, dove gruppi di cespugli legnosi crescevano tra gli alberi più alti, si girò e ricaricò l’MP7. Prese una grossa boccata d’aria calda.
Adesso, a est, venti metri più su, Victor vedeva l’affioramento dal quale aveva sparato con il Longbow. Non era interessato al fucile, visto che a breve distanza era inutile, ma l’affioramento era un indicatore perfetto. Si accovacciò. Non riusciva a sentire i due tizi correre nel sottobosco, dunque stavano giungendo con cautela, aspettandosi un’imboscata, e questo gli dava tempo. Se erano convinti che stesse tornando al suo nascondiglio, ancora meglio.
Victor si guardò attorno e scorse del sangue su un tronco, proprio dove immaginava. Ai piedi dell’albero, il tizio a cui aveva sparato giaceva di schiena, le braccia e le spalle spalancate. Aveva quattro piccoli fori sul petto. Non male, visto il tempo limitato che aveva avuto per mirare. Tolse al cadavere il poncho con cappuccio coperto di falde di iuta e vegetazione, e se lo infilò. Poi prese le cuffie e la ricetrasmittente dell’uomo. Fissò la ricetrasmittente alla propria imbracatura, si mise le cuffie, si infilò il cappuccio e scambiò la sua arma con l’MP5SD del morto.
Adesso la situazione era un po’ più bilanciata.
Strisciò in avanti, si piazzò in una massa di cespugli, inginocchiandosi al fianco di un albero, e attese. Inclinò la testa in avanti per sfruttare al massimo il cappuccio. Passarono cinque secondi, poi dieci. Venti.
Una voce stridula sussurrò qualcosa all’auricolare. Parlava in inglese: americano, con un accento del Sud. «Qui è Cowboy Daddy. Sono al suo nascondiglio. Lui non c’è. Gamma, tu vedi nulla? Passo.»
«Cowboy Gamma. Negativo. Passo.»
«Dove ti trovi?»
Ci fu una pausa, poi il secondo tizio disse: «Sono venti metri a ovest, sto salendo alla base dell’affioramento. Passo.»
Grazie molte.
«Ricevuto. Occhi ben aperti. Passo e chiudo.»
Victor si riposizionò e fissò il sottobosco. Vide un ramo sottile tremare circa quindici metri a ore undici, vicino al punto più basso dell’affioramento. Il tiratore si muoveva lentamente, tenendosi basso, e sarebbe stato invisibile con la tuta da cecchino, se Victor non avesse saputo esattamente dove guardare. Il tizio girò la testa verso Victor ma non sembrò vederlo, grazie al poncho rubato. Non era efficace quanto una tuta da cecchino completa, con falde attaccate anche a gambe e braccia, ma i suoi nemici si aspettavano che Victor fosse molto più visibile.
Victor puntò il mirino dell’MP5SD sul baricentro del tiratore e selezionò l’opzione sparo singolo.
Fece fuoco una volta. Due. Un colpo doppio.
I clic silenziati riecheggiarono sommessamente tra gli alberi. L’uomo con la tuta da cecchino cadde all’indietro nel sottobosco. Victor si avvicinò alla svelta, muovendosi da un albero a un altro nel caso in cui il tiratore di nome Cowboy Daddy avesse udito gli spari e fosse andato a indagare da un terreno più alto. Victor vide il cadavere disteso a terra, con due colpi al cuore.
«Cowboy Gamma, erano spari? Passo» chiese una voce nell’auricolare di Victor.
«Ricevuto» rispose Victor, imitando il forte accento del Sud dell’uomo morto. «L’ho fatto fuori.»
Victor aspettò, sperando che la sua imitazione fosse stata buona. Teneva lo sguardo fisso a est, verso il suo nascondiglio. Il rilievo era troppo ripido perché si potesse vedere, ma sarebbe riuscito a scorgere il tiratore, se fosse venuto in quella direzione.
«Bravo» rispose infine Cowboy Daddy. «I cowboy hanno rubato un altro manzo.»
«Ben detto» fece Victor.
«Ma adesso ascoltami» disse Cowboy Daddy. «Abbiamo un altro problema. Il nostro amico non ha abbattuto il suo bersaglio prima che noi lo uccidessimo, il che significa che il nostro cliente sarà molto incazzato. Non so te, ma io voglio un altro assegno. Perciò vediamo se riusciamo a sbarazzarci noi stessi del signor VIP. Passo.»
«Ricevuto. Passo» rispose Victor.
«Supera un’altra volta il muro e cerca di individuare il signor VIP. Se lo vedi, fallo fuori. Ammazzali tutti, se necessario. Io userò il fucile del nostro amico, e vedremo se so sparare meglio di lui. Dobbiamo fare in fretta, se vogliamo risolvere la situazione. Passo e chiudo.»
Victor contò fino a dieci e avanzò furtivamente verso nord per venti metri prima di dirigersi a est e su per la collina per altri trenta. Si avvicinò al suo nascondiglio lentamente, ancora cauto malgrado le istruzioni, ma rilassandosi un poco quando scorse la bocca del proprio fucile che si muoveva da sinistra a destra.
Avanzò in semicerchio finché non si trovò alle spalle del tiratore e vide le sue gambe sporgere da sotto il rivestimento protettivo. Dieci passi cauti portarono Victor a un metro e mezzo dagli scarponi del tiratore.
«Qui è Cowboy Daddy» disse il tizio con il fucile. «Non vedo un cazzo da qua. Non c’è da meravigliarsi che quel coglione abbia mancato l’obiettivo. Cowboy Gamma, va’ sul posto più in fretta che puoi e abbatti quello stronzo. A che distanza sei? Passo.»
Victor era troppo vicino per azzardare una risposta, anche solo sussurrata, perciò rimase in silenzio mentre si avvicinava.
«Cowboy Gamma, qui è Cowboy Daddy. Conferma la tua posizione. Passo.»
Victor avanzò furtivamente, finché non fu a pochi centimetri dai piedi dell’uomo. Gli diede un colpetto alla suola di uno scarpone e schizzò dietro un albero sulla destra. Il tizio balzò in piedi per indagare su cosa fosse successo. A volte i trucchetti più semplici erano i migliori. Victor sbatté il calcio dell’MP5 sulla nuca dell’uomo, nel punto di congiunzione tra la colonna vertebrale e il cranio. L’americano crollò in avanti, le membra afflosciate, e restò immobile.