29 marzo 2013

E quando tua madre all’1.14 del mattino mi sveglia e mi dice, Andiamo, io sento una capriola nel cuore.

Guido sotto una pioggia sottile, i semafori sembrano tuoi alleati, spenti o verdi, ogni cosa è in attesa di te, e allora metto il CD di The Sheltering Sky di Sakamoto, perché quando senti i violini salire bussi al ventre di Katiuscia, poi ti viene il singhiozzo, e forse ti commuovi mentre ti chiedi, Ma è così meraviglioso il rumore del mondo?

L’ospedale, tre piani di ascensore, le contrazioni sono sempre più lancinanti, massaggio la schiena di tua madre, è piegata dal male ma trova la forza di sorridermi, guardo la croce sul muro, Aiutaci.

Inizia il travaglio, non ci crederai, io divento freddissimo, tengo la mano di Katiuscia che grida e grida ancora, sviene e rinviene, spinge, si scardina e si raggomitola, nelle rare pause della sofferenza, tra le mie braccia.

Ogni tanto esco e prendo aria e penso di avere le allucinazioni, il giardino è pieno di conigli, zampettano e saltellano tra le pozzanghere, tremano d’emozione, tramano una festa per te.

E dopo nove ore, l’ultimo grido sovrumano di tua madre, plani sulla sua pancia, sembri immoto. Poi, una piroetta di piccole dita e un lamento che mi ricorda un ramo incrinato dalla neve.

Sei nato, sei qui.

Piango. Non sai, non ti dirò mai quanto, Lorenzo.

E scusami se dopo quattro giorni, ancora non mi viene di chiamarti così. È che quando mi guardi con gli occhi chiusi, io perdo la voce.

È che quando mi guardi con gli occhi aperti, io, dentro quegli occhi, sparisco.

E riesco solo, come uno scemo, a dirti, Amore, amore grande, amore infinito del papà. Amore mio. Il tuo nome.