Pippo

1943

Quando il Duce ha rotto gli indugi e ha benedetto la piazza scalmanata, La guerra sia con voi, bastava vedere com’era vestito per capire che subito in Grecia Zeus ci avrebbe infilzato come spiedini con il suo fulmine, e che anche dalle altre parti non sarebbe andata meglio.

E sì che tra tutti i difetti che ha, non gli si può certo rimproverare la mancanza d’un sano senso di superstizione, al Benito; e allora come è potuto succedere che, proprio il giorno in cui Il giorno è giunto e Inchiodiamo gli albioni bastardi al bagnasciuga, quello si sia affacciato al Balcone vestito esattamente come la parodia d’un poliziotto di Scotland Yard? Ma chi gli ha consigliato di mettersi quella divisa da tirapiedi della Regina Vittoria, con cappello e frontino da sentinella del Big Ben, da galoppino di Sherlock Holmes?

La verità è che l’uccellaccio del malaugurio assomiglia sempre di più al suo Puparo con gli Uncini; gli è cambiata anche la voce, al Musso, più sottile, più nasale, meno dallo stomaco e dai coglioni, e pure il saluto romano, che prima era uno spettacolo e tirava su quel braccio come un’erezione del popolo per poi stenderlo duro per aria a fottere il sole, s’è ridotto adesso a una frocissima alzata di gomito, uno scattino nervoso da pagliaccetto a molla che esce dalla scatola.

E di pagliaccetti sono piene le finestre delle case, perché così sono chiamati dalle madri e dalle mogli gli stracci dei loro uomini quando erano bambini. I loro uomini che sono ancora incastrati al fronte.

Marino aveva cominciato a vedere i primi spaventapasseri nei condomini della periferia e s’era chiesto cosa volessero significare quei panni piccini stesi sui davanzali, con un lumino rosso e uno bianco accanto.

Poi l’usanza s’era diffusa, tacitamente, di famiglia in famiglia, e nel giro d’una settimana da ogni palazzo, villa e catapecchia, sventolavano biancheria e vestiti da poppanti o giù di lì, e pure le scarpette e gli zoccoletti hanno messo fuori alcuni, come piatti dove poggiare i fuochi, e allora s’è capito che quello era un modo per ricordare chi non tornerà più e pregare qualcun altro – il Duce che s’arrenda, Zeus che si dia una calmata, Hitler che si ritiri, Pippo che non caghi fuori dal vaso celeste – di far tornare a casa i vivi, spesso così giovani che l’odore dei loro pagliaccetti lo tengono ancora sulla pelle.

Ed è soprattutto Pippo, che non lo sa che quando passa piange tutta la città, lo spauracchio maggiore.

Per i tedeschi che, nel piazzale del Collegio vescovile, si sono accampati in bunker e igloo di sabbia e cemento; per Marino che continua imperterrito a far le sue ronde notturne; e per Gino Cescon che, in attesa che nazi e fasci sbaracchino anche dal Nord, comincia a manovrare il suo squadrone rosso ripartendo naturalmente, in omaggio agli eroi che furono, dal retro del cimitero.

’Sto uccellone migratore americano è brutto forte, e c’ha una forma appaccottigliata peggio del Gobbo Maledetto savoiardo; il Pippone, come un incubo di lamiera, s’intrufola sempre di notte, dopo il coprifuoco, e c’ha dei sensori attaccati al collo che se te la stai facendo sul serio una pippa nel buio della tua cameretta e sul più bello l’atto impuro provoca un violento cigolio del letto, quello ti caca in testa un filotto di bombolotti che in un secondo passi dalla raggianza dell’orgasmo a quella della luce divina.

Il San Bernardo dei Cieli, lo chiamano i tifosi dei cowboy, peccato che per liberare gli oppressi ancora invischiati nel letame crucco repubblichino, il Cagnaccio Volante abbia la brutta abitudine di sgolarsi da solo la grappa salvifica che tiene nella borraccia e, ubriaco come certi calabroni che sbattono da un vetro all’altro della stanza, abbia già fatto esplodere – per errore, dice Radio Londra – un teatro, mezzo quartiere attorno a un olmo secolare e il ponte che collega la città alla campagna.

Ciò nonostante, Marino non salta una notte e mai il negozio e la casa delle TreTrevi, e se proprio non può uscire per stare accanto a Letizia e al figlio Carlo magari febbricitante, manda qualcun altro a veder se è tutto a posto.

Per la verità i tedeschi, da quando sono arrivati, si sono comportati da galantuomini; forse sono stati fortunati a pescare una guarnigione educata nei castelli della Westfalia e non nei casini di Monaco, o forse i crucchi hanno capito che le probabilità di spuntarla sono poche e allora è meglio non far troppo i gradassi, ché poi la ritirata diventa dura se il Pippo te lo trovi alle calcagna anche per le strade.

Ginevra è tornata, con Emma e Anna, come una volta; come una volta proprio no, perché il negozio tiene aperto solo tre giorni la settimana.

Non c’è più un soldo in giro, pazienza, ci vuole pazienza, dice la vecchia Emma e, per carità, è vero che persino i più ricchi di quei tempi se aprono i portafogli fanno corrente con la porta spalancata della bottega, ma la verità è che i pochi che ne hanno, di certo, non si fanno beccare a spenderli dalle ebree.

Come a Trieste, Ginevra insiste nel suo sberleffo al mondo, e allora finestra aperta, musica dal grammofono e cappotto nero che nella danza ostinata tramuta la camera, l’unica della piazza pienamente illuminata, in una girandola di ombre, di bronzee fantasmagorie i cui riflessi si prolungano fin giù, sulle colonne dei portici.

Marino si ferma sempre lì sotto a fumare la sigaretta della staffa, e stanotte gli pare che lei l’abbia sentito, perché all’improvviso il chiasso s’è affievolito e ha tirato su la testa e ha visto, sul vetro, il viso specchiato di lei, fermo, in attesa, e sono rimasti lì tutti e due a chiedersi se l’altro fosse immobile e in ascolto e forse lei gli chiede, Novità da lui? e Marino le risponde, No, e tu? e lei fa no con la testa e s’allontana dalla finestra, e dal cielo arriva l’ennesimo rombo del terrore, il ringhio del Pippo pronto a liberarsi della sua merda liberatoria e allora lei ricomincia a ballare, e lui torna a casa e si guarda indietro e non c’è più nessuno dei suoi amici, dei suoi fedelissimi, lo Sfregiato, Ercole, Ettore, Rodolfo, tutti più giovani di lui, tutti partiti, e prova una certa vergogna mentre pensa che a suo fratello non è andata poi così male perché Almo, a differenza loro, ha una possibilità di sopravvivere.