Terza media, maturità classica, laurea. Lui e i suoi fratelli hanno sempre preparato gli esami lì dentro. Una tradizione di famiglia. Come se tutti quei libri disposti sugli scaffali neri e con il dorso proteso alla luce, avessero il potere di influenzare lo studio; controllarne la regolarità e la precisione.
Sulla parete di destra sono disposti i classici greci e latini; appena sotto l’omnia di Mussolini; sotto ancora i quaderni del Vittoriale e i libri di D’Annunzio.
A sinistra invece la saggistica. Uno strano Mein Kampf vicino a uno strano Capitale. E poi una sfilza interminabile di trattati contro il Comunismo. Quello che gli ha sempre fatto paura si chiama Murati vivi, un reportage sui deportati polacchi in Siberia, dove in copertina, attraverso le grate di una cella, si intravede un fiotto di sangue che imbratta una falce e un martello. E ancora l’omnia di Pitigrilli, Curzio Malaparte, Mario Mariani fino a Ezra Pound in una leccata edizione in pelle bianca e il futurismo e Marinetti raccolti in una custodia di velluto blu.
Il ragazzo che non è più un ragazzo ha conosciuto suo nonno attraverso quei 6723 volumi. Perché nonno Marino è morto sette anni prima che lui nascesse. Causa del decesso: angina pectoris.
Da ragazzino, complice un precoce subbuglio di ormoni, aveva pensato che il nonno fosse morto per un’estrema attività erotica. Perché quando si infilava in osteria, sentiva uomini ebbri che si vantavano di aver messo “alla pecorina” qualche povera disgraziata. Poi aveva scoperto che il nome corretto dell’organo sessuale femminile è “vagina”.
Fu così che a dieci anni, condusse dentro la biblioteca la sua bionda vicina di casa, e quando la vide, prona sul pavimento a guardare un libro giallo infilato nella parte più bassa della libreria, le saltò addosso urlando: “Vangina pectorina!”
Il libro giallo è ancora lì. Si siede a terra e lo prende. Parlo con Bruno, di Mussolini. Il diario del lutto di un padre che ha perso il figlio aviatore in un incidente aereo. Il suo Brunone pieno di capelli, il suo Brunone pieno di medaglie, il suo Brunone precipitato, avvolto in un sudario di lenzuola simile a una nuvola, come se un pezzo di cielo l’avesse voluto accompagnare fin giù.
Io invece parlo con te che stai per nascere. Come devo chiamarti? Bruno, no di sicuro. Perché tu non guiderai gli aerei. E nemmeno il motorino. E allora: Almo o Marino? Quale dei due è il nome più giusto? Chi dei due era l’uomo più giusto?
Interroga i libri con lo sguardo. Ma stavolta non gli rispondono. Sono stanchi, arrugginiti. L’hanno già aiutato in troppi esami. O forse, per la prima volta, lui li ha colti impreparati.
Nel silenzio della casa abbandonata, mentre i gatti in giardino strofinano i musi nel nevischio di novembre, il ragazzo ripone il libro giallo nel suo incastro. Vede un foglietto sgualcito in fondo allo scaffale, schiacciato contro la parete. Lo prende e lo apre piano, per non romperlo. È un appunto. C’è uno strano segno, come un pesciolino rovesciato. E, di seguito, due parole: ALMO GATTO.