Primo silenzio
8 novembre 1935
Ettore Rocca ha chiamato la sera per dire che Marino sarebbe passato l’indomani, molto presto, intorno alle 7.30.
La valigia di Almo è già pronta. Controllata almeno una dozzina di volte da Adele, da Nina, da Maria, da Faliero, e anche dalle piccole. Non c’è voluto molto a farla. Chiunque della famiglia voglia partire ha ben poco da tirarsi dietro.
Quando s’è sposato Sergio, Adele gli ha infagottato tutto ciò che rimaneva negli armadi di Carlo; così, solo per fare scena, visto che il ragazzone è il doppio del padre.
E però, non appena ha ricevuto la telefonata dell’attendente di Marino, Adele ha messo sotto tutti; sì, anche Sergio, che la piccola Mara è corsa a svegliare alle undici di sera per farlo tornare. E quello, quando la sorellina gli ha detto: “Devi darci una mano a sistemar casa,” non ci credeva.
“Ma come: se ve ne andate fra poco, a che serve? E poi perché tutta ’sta urgenza?”
Tant’è: gli ordini della Regina Madre non si discutono e allora, a parte Orio, che in fabbrica ha il turno di tenebre, tutti pancia a terra a grattare le chiazze e le croste e sui mobili fino all’ultima capriola di polvere; e i vetri delle finestre, sfregarli come da piccoli i denti: trasparenti, trasparenti devono essere; le tende e i tre tappeti, poi, sbattuti e stirati che non facciano una grinza o una ruga.
E le manovre durano fino a notte fondissima, mentre Cesira cucina un pollo, un capretto e una torta margherita, e ogni tanto va fuori e torna in casa con mazzi di garofani e pure una manata di rose rosse, sì, tutti i fiori sono rossi o quasi, e li sparpaglia per ogni dove, sul camino, sui tavoli e i davanzali; e davvero non si sa dove sia andata a prenderlo, a quell’ora lì, tutto quel ben di Dio infilato nei vasi e nella stufa; e a proposito, anche i vasi, più d’una dozzina, chissà da dove sono saltati fuori e se non li ha rubati e li ha comprati sul serio, come la nuova palandrana in lana cotta per l’Almo confinato, Adele deve proprio aver firmato un bel po’ di cambiali.
E c’è un furore negli occhi vigili della madre, nei suoi comandi miranti a un ordine tanto perfetto quanto inspiegabile, che i figli si domandano se non stia poco bene, se non si sia un po’ rincitrullita, eppure, con il passare dei minuti, l’euforia che s’è impossessata di Cesira a cui non par vero di tornar ai vecchi ricchi tempi di Villa Kunkler, prende tutti, e allora si danno un gran da fare anche se non sanno il perché, e non rispondono a Lara che chiede, Ma chi si sposa? E neppure a Mara che avendo il lontano ma vivissimo ricordo di tutta quella gente che mangiava e piangeva, piangeva e beveva in memoria di suo padre, domanda, Chi è morto?
E terminate le operazioni con la casa tirata a festa, l’opulenza della carne spennellata con tre strati d’olio e il dolce inzuccherato più a coltre che a velo, il tutto messo ben in ostentazione in salotto, sopra a un vecchio carrello zoppo che Faliero ha dovuto tirar fuori dal fienile e aggiustare, Adele chiude occhio una mezz’ora e, subito dopo l’alba, si sveglia e dà il via al ricomponimento della sua sparecchiata bellezza.
E vorrebbe lasciarla dormire un po’, la Cesira, ché per farsi lo chignon, imbellettarsi con la cipria e l’ultima punta della matita per gli occhi, non le serve.
Il vestito poi, l’unico che ha tenuto e l’unico che il consorte le aveva regalato, è una meraviglia: un gonnellone bordò con maglione bianco e stola grigia, che è sempre rimasto sotto spirito, trattato come una reliquia, perché quello sarà il suo abito da sposa il giorno in cui, da qualche parte, si ricongiungerà con Carlo.
Ma all’ultimo, davanti allo specchio, dove lei è già pronta con un’ora d’anticipo rispetto al tempo in cui è stata annunciata la venuta di Marino, le viene un’idea. Il colpo finale. Sì, ci vuole un ultimo sforzo per perfezionare la sua rivalsa, la sua sadica vendetta contro il fascista che ha rinnegato la sua famiglia.
“Cesira, svegliati, Cesira...”
“Che c’è, signora? Ma che ore sono?”
“Abbastanza presto da fare il bussolà.”
Il bussolà, gonfio e croccante, se ne esce dalla stufa alle sette in punto. E s’aggiunge sui vassoi a tutto il resto.
Adele torna in camera. E lo aspetta.
Vieni pure. Ogni cosa sarà splendente e rossa socialista; ogni cosa sarà ricca, grande, piena di calore, che ti verrà una nostalgia e una rabbia che vorrai mandarci tutti in Sardegna. Perché di tutto quello che vedrai, tu non potrai averne una briciola. Nemmeno del tuo dolce preferito.
Si mette al collo il doppio filo di perle.
Adesso sente bussare.
Cesira si muove subito.
Lei rimane impassibile.
Sorride.
Gli darà una lezione, uno schiaffo così violento che le sue squadracce non hanno mai rifilato a nessuno.
E così imparerà. Non si rovina la vita d’un fratello. E soprattutto non si scrive di lui: Di misere condizioni economiche. Questo, più del confino, non le è andato proprio giù.
“Signora...” le dice Cesira sulla porta.
“Sì?” continua a guardarsi allo specchio.
“Se vuole scendere.”
“È giù da solo o c’è anche Nina?”
“Nina c’è. Ma lui non è venuto,” soffre insieme a lei.
Doveva immaginarselo; troppo vigliacco per affrontarla. Troppo furbo per non prevedere che lei gliel’avrebbe fatta pagare.
Segue Cesira al piano di sotto.
Il ragazzo con la cicatrice non si è nemmeno tolto la giubba. Fermo, con lo sguardo rapito dalle pietanze sul vassoio e il bagaglio, destinato ad Almo, già in mano.
“Vuoi sapere l’ultima?” la voce di Nina arriva dalla cucina.
“Cosa?” chiede distrattamente Adele e fa un sorriso di circostanza al ragazzo.
“Diglielo tu, visto che sei il suo degno emissario,” Nina entra in salotto e lo provoca. Anche lei s’è preparata. Tutta una serie di insulti e maledizioni. Su qualcuno li deve pur abbattere.
“Allora?” insiste. “T’hanno tagliato anche la lingua?” e la battuta è davvero un eccesso perché quell’anche si riferisce alla ferita indelebile che il ragazzo ha sulla guancia.
“Smettila,” la fulmina sua madre.
È un rimprovero muto ma severissimo anche lo sguardo di Cesira.
Nina si siede.
“Che cosa mi devi dire?” si sforza d’essere gentile Adele.
“Dovrei portar via anche il grammofono,” le fa il ragazzo intimidito.
Lei esita. È sorpresa e non capisce. Di certo non serve ad Almo. Come potrebbe trascinarsi un simile catafalco fin laggiù. E poi, di sicuro, non glielo permetterebbero. È Marino che lo vuole. Ma perché?
No, non è un dispetto. La stupida rivendicazione di qualcosa che, peraltro, nemmeno è suo. Da quando se n’è andato non ha mai chiesto, voluto niente.
“Quello che aveva in camera, quando stavate a Villa Kunkler,” continua imbarazzato il ragazzo con la cicatrice.
“Che avevano in camera,” precisa velenosa Nina. “Lui e il fratello, che il tuo padroncino ha fatto arrestare.”
Adesso è il ragazzo che la squadra torvo. Non per avergli dato del tirapiedi insulso. No, non è per quello. È che non ci sta a sentir Marino trattato in quel modo. Se solo Nina, se solo tutti sapessero. E però “il padroncino” è stato chiaro: guai a lasciarsi scappare una sola parola.
“Se non vuole darmelo,” il ragazzo fatica non poco a controllarsi, e torna a rivolgersi a Adele. “Riferisco.”
“È di sopra; la prima camera, a sinistra,” gli risponde lei secca e addirittura si sposta dalla prospettiva delle scale, come a volergli lasciare via libera.
“Mamma!” Nina scatta in piedi. “E gliela dai vinta così?”
Non le risponde. Sparisce in cucina insieme ai suoi tarli.
Perché il grammofono? A cosa ti serve?