Mentre mette al sicuro nella sua biblioteca il libro di Alfonso Gatto e altri di suo nonno salvati dall’allagamento, il ragazzo che non è più un ragazzo pensa a quanto deve essere stato meraviglioso e doloroso per Marino, a pochi giorni dalla fine, imbattersi per caso in quella poesia e trovarci dentro tutto quello che sentiva per lui, gli stessi oggetti, lo stesso silenzio, il silenzio buono d’averlo intorno che, da un po’ di anni, non riusciva a sentire più.
E chissà se il grammofono che gli era miracolosamente tornato prima, e quel libro poi, gli avevano dato una nuova speranza, l’illusione di potergli di nuovo parlare a distanza, come faceva prima che Ginevra venisse deportata.
Tutti e due, fino in fondo, si sono interrogati sulle variazioni del silenzio nella loro vita. Su quello buono, su quello cattivo e su quello che Almo ha capito tra le braccia di Letizia, che è molto semplice e molto chiaro. Che è una cosa che si chiama rimpianto.
E il ragazzo che non è più un ragazzo sorride amaramente quando pensa che del loro amarsi e del non riuscire mai davvero a odiarsi, del loro fingere di disprezzarsi e del loro cercarsi sempre, nessuno ha mai capito niente; e allora quando hanno tumulato Marino nel cimitero di Sant’Urbano, tra le lacrime degli amici si è levato all’improvviso il saluto romano dei camerati, Riposo, camerata Marinelli, gloria e riposo. E quando, nel cimitero di Este, hanno sepolto Almo, anche lui morto a giugno, il 5 giugno 1984, e faceva caldo, ed era estate ormai, hanno dovuto chiamare un’autoambulanza perché un paio di operai in pensione venuti dal Polesine si erano sentiti male. Erano arrivati fin lì, in bicicletta, sì, in bicicletta, non avevano voluto sentire ragioni quei vecchi rincoglioniti, Glielo dobbiamo al compagno Marinelli che per una vita pedalando e pedalando è venuto a trovarci e a difenderci.
Niente. Fin oltre la polvere, la fede o forse la maledizione li ha inseguiti.
Lui continua a mettere via i libri e sta mettendo via per sempre anche loro, ma squilla il cellulare e dall’altra parte gli arriva la voce di Libera: “Iolanda, mia madre, all’improvviso s’è ricordata del ragazzo, il ragazzo con la cicatrice: si chiamava Lorenzo, Lorenzo Giannutri. Viveva a casa di alcuni zii che l’avevano adottato, ma in verità lui era il figlio di Cesira, sì, la governante che è stata accanto a Adele tutta la vita. Cesira l’aveva avuto da un uomo, forse qualche padrone per cui lavorava prima, non si sa chi. Lo Sfregiato, lo chiamavano, poverino, ed è morto in guerra, in Corsica. È sepolto là.”
Ecco perché il silenzio da buono era diventato cattivo, e quello cattivo era poi finito nel rimpianto; era venuto a mancare il ragazzo con la cicatrice.
E questi sono gli occhi perfetti, il punto di vista che lui cercava, e anzi, senza nemmeno saperlo, è quello che ha sempre avuto, perché attraverso quegli occhi lui ha guardato alla storia, attraverso quella voce lui l’ha raccontata, e quell’entrare e uscire da loro, da Almo e Marino, quel diventare comunista e fascista, anticomunista e antifascista a seconda di chi avesse accanto, quel suo essere indeciso, incapace di scegliere l’uomo più giusto, la fine più giusta, il nome di suo figlio più giusto, corrispondevano esattamente all’atteggiamento di Lorenzo Giannutri, lo Sfregiato, il ragazzo con la cicatrice, che ha scelto entrambi i fratelli, perché entrambi ha amato incondizionatamente.
E no, questa non è una via di mezzo clerico-agrario-fascista, e non è nemmeno un compromesso storico, anzi è una scelta persino più radicale di quelle a cui Almo e Marino hanno sacrificato la vita.
È la fede di un uomo verso altri uomini e non verso un’idea. E proprio per questo è un’idea ancora più forte. È un’idea fissa quella rappresentata da Lorenzo Giannutri, di carne e non di manifesti, di devozione e non di passione, talmente presente, talmente convinta, che non s’è accontentata mai di stare intorno.
Che vuole dire, “intorno”? I nemici stanno intorno, i falsi amici ti stanno intorno, i fantasmi ti stanno intorno.
E allora il ragazzo che non è più un ragazzo prende il libro di Alfonso Gatto, lo apre alla pagina del pesciolino rosso di Marino, e nel verso, La tua voce manca e il silenzio d’averti intorno, come avrebbe fatto Almo, cancella.
Con la penna rossa, cancella “intorno”, e scrive “accanto”.
Li dissacra, per renderli sacri. Li riunisce per sempre. Tutti e due. Anzi, tutti e tre.
E suo figlio è pronto, ma adesso è pronto anche lui, non ha più paura, il ragazzo che non è più un ragazzo, che non lo è più per davvero e forse è diventato un padre, un uomo o qualcosa del genere.