Tamarindo. Un rimedio popolare molto amato



Avete mai sentito parlare del tamarindo? È probabile che lo abbiate già assaggiato. Il tamarindo, infatti, è la spezia fondamentale che conferisce alla salsa Worcester il suo caratteristico sapore e, inoltre, ne prolunga la data di scadenza.

In molti paesi africani, i baccelli e i semi dell’albero del tamarindo non sono famosi come prodotto alimentare bensì come rimedio popolare tradizionalmente usato per combattere le infezioni del tratto respiratorio, la febbre, i disturbi digestivi e la stipsi, nonché per accelerare la rimarginazione delle ferite e prevenire i colpi di sole. Un recente lavoro di revisione sull’impiego del tamarindo nella medicina tradizionale dell’Africa Occidentale e Orientale, comparso sulla rivista Journal of Ethnopharmacology, citava ben 60 riferimenti scientifici. In varie parti del mondo il tamarindo viene adoperato per curare molti altri problemi di salute; ad esempio, viene usato come gargarismo per alleviare il mal di gola e come linimento per le articolazioni doloranti. La spezia possiede un tale potere curativo che, in esperimenti condotti su animali, i ricercatori indiani hanno scoperto che era in grado di neutralizzare il veleno di uno dei serpenti più letali al mondo: la vipera di Russell.

L’azione terapeutica del tamarindo deriva dai potenti agenti antiossidanti, tra cui l’acido tartarico (presente anche nelle banane e nell’uva), che si concentrano nei pericarpi. L’acido tartarico è anche la sostanza che conferisce al tamarindo il caratteristico sapore acidulo. Inoltre, la polpa costituisce un’ottima fonte di calcio e vitamine B come ribofla-vina e tiamina. Insieme, tutte queste sostanze ed altri fitonutrienti fanno del tamarindo una spezia curativa dalle molteplici virtù.


PROPRIETÀ TERAPEUTICHE DEL TAMARINDO

La ricerca preliminare indica che il tamarindo può contribuire a proteggere e curare gli occhi.

Sindrome dell’occhio secco. La secchezza oculare è il motivo primo che spinge a farsi visitare da un oculista e il 30% degli americani soffre di sindrome dell’occhio secco, una patologia oculare prodotta da un’alterazione del film lacrimale con sintomi di dolore, bruciore e sensazione di sabbia (corpo estraneo) nell’occhio. Alcuni ricercatori italiani hanno trattato 30 pazienti con occhio secco utilizzando un collirio a base di acido ialuronico (un trattamento comune) o tamarindo. Dopo tre mesi, i pazienti a cui venne somministrato il collirio con tamarindo riferirono un grado di sollievo notevole dai vari sintomi: bruciore, difficoltà a inumidire l’occhio sbattendo le palpebre e sensazione di avere un corpo estraneo nell’occhio. I ricercatori ipotizzano che l’estratto di tamarindo agisca così efficacemente, cioè lubrificando meglio e più a lungo l’occhio offrendo sollievo, perché la sua struttura molecolare è simile alle mucine (sostanze proteiche presenti nelle secrezioni mucose) della cornea e del dotto lacrimale.

La ricerca è ancora allo stadio preliminare e, alla data di pubblicazione di questo libro, il collirio con estratto di semi di tamarindo, o meglio polisaccaridi da semi di tamarindo (TSP), non è ancora disponibile.

Cheratite batterica. In una ricerca condotta su animali, l’impiego congiunto di un collirio a base di polisaccaridi da semi di tamarindo e un antibiotico ha contribuito ad accelerare la risoluzione di un’infezione a carico della cornea definita cheratite batterica.

Congiuntivite. Analogamente, l’uso di un collirio con TSP ha contribuito ad accelerare la risoluzione della congiuntivite in animali da laboratorio

Cataratte e degenerazione maculare senile. L’esposiz.ione ai raggi UVB del sole, dannosi per le cellule, non costituisce soltanto un fattore di rischio per i tumori della pelle, ma aumenta anche il rischio di cataratte e degenerazione maculare senile, due patologie oculari frequentemente riscontrate nelle persone anziane. In uno studio in vitro, alcuni ricercatori italiani hanno scoperto che il collirio a base di tamarindo protegge le cellule della cornea dal danno da radiazioni UVB.


LE MOLTEPLICI VIRTÙ DEL TAMARINDO

Gli scienziati stanno scoprendo parecchi altri ambiti in cui il tamarindo può prevenire e curare le malattie.

Colesterolo. Un gruppo di ricercatori del Pakistan ha invitato i partecipanti all’esperimento, 30 adulti in salute, ad assumere estratto di tamarindo oppure un placebo per un mese. Al termine di tale periodo, i soggetti che assunsero tamarindo presentavano un calo del colesterolo totale pari a 13 punti e di ben 20 punti per i valori di colesterolo LDL (quello «cattivo»); inoltre, la pressione diastolica, ossia la lettura della minima, era leggermente calata.

Nell’ambito di una ricerca condotta su animali, alcuni scienziati brasiliani hanno notato che il tamarindo riduce i livelli di colesterolo totale e LDL, aumenta i valori di colesterolo HDL (quello «buono») e induce un calo dei trigliceridi e altri lipidi ematici. Sulla rivista Food and Chemical Toxicology i ricercatori conclusero che «nel complesso, questi risultati indicano le potenzialità terapeutiche degli estratti di tamarindo nel ridurre il rischio di sviluppo di aterosclerosi in soggetti umani».

Uno studio in vitro realizzato dalla stessa équipe di ricercatori ha evidenziato che il tamarindo influisce sulle cellule del sistema immunitario umano (neutrofili) stimolandone l’attività antinfiammatoria tesa a ridurre i processi flogistici alla base della malattia cardiovascolare.

Calcoli renali. Il tamarindo viene consumato quotidianamente nelle zone tropicali dell’India meridionale ove la cucina locale è piccante e per lo più vegetariana, entrambi elementi che si prestano bene all’uso di questa spezia acidula. Tra la popolazione dell’India meridionale i calcoli renali vengono riscontrati raramente in confronto agli abitanti del nord, zona in cui il tamarindo è molto meno diffuso. Può esserci un collegamento tra il consumo di tamarindo e la bassa incidenza di calcoli renali nell’India meridionale? Per scoprirlo alcuni ricercatori dell’Istituto Nazionale di Nutrizione di Hyderabad ha invitato 4 uomini ad adottare una dieta ricca di cibi che inducono la formazione di cristalli di ossalato di calcio, vale a dire la sostanza di cui sono composti la maggior parte dei calcoli renali. Dopo una settimana, alla dieta fu aggiunto dell’estratto di tamarindo. I ricercatori fecero un esame completo delle urine dei soggetti sia prima che dopo l’introduzione del tamarindo, e osservarono che l’inserimento dell’estratto nella dieta aveva abbassato i livelli di diversi parametri che incrementano il rischio di formazione dei calcoli. Sulla rivista Nutritional Research gli esperti conclusero che «il consumo di tamarindo offre in qualche misura protezione contro la recidiva formazione di concrezioni di ossalato di calcio negli uomini».

Tumori. Alcuni ricercatori indiani hanno scoperto che il tamarindo rallenta la crescita di tumori del colon in animali da laboratorio.

Diabete di tipo 1. In India il tamarindo è un trattamento tradizionale per il diabete. Nell’ambito di esperimenti condotti su animali, i ricercatori indiani sono riusciti a ridurre I la glicemia in soggetti affetti da diabete di tipo 1 (una patologia autoimmune che distrugge le cellule pancreatiche deputate alla produzione di insulina) farmacologicamente indotto. Il tamarindo «può sortire effetti positivi nei casi di diabete mellito di tipo 1», conclusero gli scienziati sul Journal of Ethnopharmacology.


ALLA SCOPERTA DEL TAMARINDO

Originario dell’Africa tropicale, il maestoso albero del tamarindo, che può raggiungere un’altezza di 30 metri e una circonferenza di 9 metri, è apprezzato soprattutto per l’ombra offerta dalla folta chioma nei paesi della «fascia tropicale» che circonda il nostro globo. Gli alberi di tamarindo sono praticamente indistruttibili: il profondo apparato radicale e il tronco robusto dal legno duro consente all’albero di sopravvivere ai venti forti, e la pianta è particolarmente resistente alla siccità. Misteriosamente, sotto la vasta chioma di foglioline a pennacchio color verde pallido, che si incurva come i rami di un salice piangente, non cresce altra vegetazione, il che rende il cerchio d’ombra del tamarindo un luogo perfetto per un picnic o un pisolino pomeridiano. È uno spettacolo vedere le fronde mentre si piegano sotto il peso degli affusolati baccelli e le foglioline richiudersi di notte. Man mano che i frutti si scuriscono sotto il sole, producono quel gusto acidulo di susina che contraddistingue la spezia.

Al contrario di altre spezie tropicali che devono essere colte a mano e maneggiate con cura, tutto ciò che occorre per raccogliere il tamarindo è una persona sufficientemente coraggiosa da arrampicarsi sull’albero e scuoterne i rami.

Una volta effettuata la raccolta, le bucce e i semi vengono rimossi e la polpa viene pressata in panetti lasciati ad acidificare. Quando la polpa viene esposta all’aria, comincia a ossidarsi e a scurirsi, diventando quasi nera; inoltre, assume un sapore forte, pizzicorino e intensamente acidulo che la rende perfetta come agente acidulante.

Il tamarindo è per l’Oriente ciò che il limone è per l’Occidente. È l’agente acidulante più diffuso nella maggior parte dei paesi tropicali ed è un ingrediente fondamentale della cucina indiana, tailandese, indonesiana e malese. Viene adoperato come pasta e sotto forma di sciroppo e succo, ma solo la pasta di tamarindo è abbastanza forte per reggere i sapori della cucina indiana del sud, ove viene utilizzato per aromatizzare preparazioni particolarmente piccanti come curry di pesce, vindaloo e piatti di verdure. Viene aggiunto anche alle zuppe di verdura dette sambar e alle minestre chiamate rasam. Si usa inoltre preparare una salsa al tamarindo in cui intingere degli involtini fritti detti saniosa. Nell’India settentrionale, invece, sono gli gnocchetti di pastella fritta chiamati dahi vada a galleggiare in una salsa a base di tamarindo e yogurt.

Il tamarindo, chiamato assam in Asia, viene adoperato nelle marinate indispensabili per preparare i celebri satay malesi e nelle salsine di accompagnamento a questo piatto. Viene anche usato nelle minestre agre e piccanti della tradizione cinese, tailandese e di Singapore. La pasta di tamarindo è ciò che conferisce pungenza alle sauté dell’arte culinaria asiatica. In Thailandia la polpa viene cosparsa di zucchero e consumata direttamente come dolcetto; nelle Indie Occidentali i semi vengono zuccherati e lavorati dandogli la forma di palline, mentre nelle Filippine a tale preparazione si aggiungono patate dolci per approntare un delizioso dolce detto champoy.

In Giamaica il tamarindo viene adoperato nelle marmellate, negli sciroppi e nella salsa pickapeppa, assai diffusa anche negli Stati Uniti.

Il tamarindo ha un sapore fresco e rinfrescante che lo rende perfetto come bevanda nelle terre tropicali. In India il drink viene aromatizzato con acqua di rose e succo di limone e sorseggiato dopo cena nella sere più calde. Il tamarindo viene inoltre diluito e zuccherato per preparare soft drink in Giamaica e nei paesi latino-americani.

In tutta l’area dei Caraibi, Messico e America Latina, il tamarindo è un dolciume molto popolare, dolce e acidulo al tempo stesso; i pulparìndo, noti anche con altri nomi, sono palline o barrette di pasta di tamarindo addolcita e rivestite di zucchero, talvolta speziate con peperoncino.

Oltre alla salsa Worcester, il tamarindo trova impiego anche in un altra diffusissima mistura usata come condimento: l’angostura.

Il «segreto» della salsa Worcester

La salsa Worcester è un’invenzione inglese cui si giunse per caso nella prima metà del 1840. Secondo la leggenda gastronomica, i proprietari di una farmacia di Worcester – una cittadina ai piedi della scenografica catena collinare delle Cotwolds Hills nella campagna inglese – avevano preparato, secondo un’antica ricetta indiana, un barile di aceto speziato per un cliente che non era mai più andato a ritirarlo.

L’intruglio rimase a riposare e fermentare nella cantina del negozio per anni. I proprietari, John Weeley Lea e William Henry Perrin, convinti che fosse andato a male incaricarono un commesso di sbarazzarsene. Il commesso, tuttavia, percepito l’effluvio che proveniva dall’intruglio, decise di assaggiarlo.il barile di aceto non era affatto andato a male, anzi il sapore era cambiato in modo curioso e quanto mai interessante.

I proprietari imbottigliarono la salsa e la vendettero con il nome di «Lea & Perrin’s Worcestershire Sauce». Il resto, come si dice, è storia. La salsa, ora distribuita e arcinota

in tutto il mondo, viene adoperata per insaporire le carni grigliate ed è un ingrediente popolare del cocktail Bloody Mary. La H. J. Heinz, l’azienda che produce il ketchup americano, nel 2005 acquistò la Lea & Perrin’s e tuttora commercializza la salsa con la sua etichetta originale.

Si dice che la ricetta sia un segreto, sebbene si sappia che contiene tamarindo, chiodi di garofano, acciughe, cipolla e aglio. Esistono molte altre marche che producono imitazioni della salsa Worcester, ma gli intenditori affermano che nessuna di queste è all’altezza, neanche lontanamente, della ricetta segreta della Lea & Perrin’s.


Il tamarindo può contribuire a prevenire e/o curare;


Calcoli renali

Cataratta

Colesterolo

Pressione alta

Diabete di tipo 1

Tumori

Congiuntivite

Infezioni oculari

Sindrome dell’occhio secco

Degenerazione maculare senile


CONSIGLI PER L’ACQUISTO

La maggior parte delle drogherie indiane e asiatiche vende il tamarindo in panetti avvolti nella plastica, una massa fibrosa e vischiosa di polpa che, ossidandosi allaria, si scurisce assumendo un colore che va dal marrone scuro al nero. Il sapore e l’aroma si estrae mettendo a bagno la pasta in acqua bollente e strizzandola. I panetti di tamarindo vengono importati dall’India e dalla Thailandia. I due prodotti sono abbastanza diversi per aspetto e sapore benché forniscano entrambi l’aroma acidulo cercato. Quello indiano è piuttosto asciutto con una consistenza quasi cartacea; la varietà tailandese ha un aspetto più raffinato ma è estremamente appiccicosa; sebbene quest’ultima sia esteticamente più piacevole, il tamarindo indiano è più facile da gestire.

Il tamarindo viene anche commercializzato come concentrato e come polvere, ottenuta per essiccazione e macinatura. Anche questi devono essere diluiti. Il concentrato è più agevole da adoperare in cucina: molti indiani che vivono negli Stati Uniti acquistano e utilizzano il concentrato per comodità. È reperibile in grossi contenitori di vetro in qualsiasi drogheria indiana e ha un aspetto molto simile alla composta di mele. Se non avete familiarità con il tamarindo, vi conviene acquistare un concentrato per i primi esperimenti culinari. Il tamarindo in polvere, detto anche crema di tamarindo o polvere assam, è più difficile da reperire.

A causa dall’elevato contenuto acido, il tamarindo è molto stabile e non richiede particolari accorgimenti per la conservazione. I panetti possono essere tenuti in sacchetti ermetici per impedire che si secchino.


IL TAMARINDO IN CUCINA

Il tamarindo ha un sapore simile al limone o al lime ma con qualcosa in più; ha un profumo particolarmente aspro, da far arricciare il naso, per cui tenetelo a mente quando cucinate; ne basta molto poco. La spezia conferisce pungenza e aggiunge un colore bruno, ricco e appetitoso a salse gravy, sauté, minestre, stufati, curry, chutney e salse in generale che lime e limone non sono in grado di dare.

In veste di ingrediente, vi imbatterete nella polpa di tamarindo per lo più nelle ricette indiane che, notoriamente, abbondano con le spezie. Ciò nonostante, i ricettari solitamente prevedono «acqua di tamarindo» o «succo di tamarindo», due termini che vengono usati indifferentemente per indicare la stessa cosa; l’acqua/succo di tamarindo può essere preparata usando il tamarindo in qualsiasi forma.

Per preparare l’acqua di tamarindo a partire dal panetto, staccate un pezzetto di polpa di circa 2 centimetri e mezzo per lato e mettetelo a bagno in 1/2 tazza d’acqua bollente per 15 minuti. Rimestate e premete con un cucchiaio, quindi colate cercando di strizzare il più possibile la polpa ed eliminatela.

Per preparare l’acqua di tamarindo con il concentrato, fate rinvenire 1/4 tazza di tamarindo in 1 tazza di acqua bollente per circa 15 minuti e poi filtrate. L’acqua si mantiene in frigorifero solo per pochi giorni, ma è possibile prepararne un buon quantitativo e poi metterla in freezer in vaschette per i cubetti di ghiaccio. Quando volete preparare un piatto dolce e salato o avete bisogno di un acidulante per vivacizzare una ricetta, aggiungete semplicemente un cubetto di acqua di tamarindo.

La polpa e l’acqua di tamarindo non possono essere utilizzate in sostituzione l’una dell’altra.