Peperoncino. Il grande medico
È buffo che in inglese la spezia più piccante al mondo sia chiamata chile. E poi vi è un continuo dibattito sulla corretta ortografia: chile, chilli o chili? E perché non scrivere addirittura chilly? (sottile ironia dell’autore poiché «chilly» significa «freddo», quanto di più distante dal bruciore associato al peperoncino? [N.d.T.]).
Quanti si professano «custodi della verità» (per così dire), si rimettono al termine spagnolo chile anziché alla dizione americana chili, o chilli, sinonimo di cucina messicana. E dunque, chile sia. Tuttavia, poco importa come si scrive o come si pronuncia purché sappiate cosa indichi, e cioè piccantezza: una vampata persistente che può andare dal forte all’infuocato.
Il peperoncino deriva il suo ardente marchio di fabbrica dalla capsaicina, un alcaloide concentrato per lo più all’interno dei semi e delle membrane interne, e quanto più elevato è il contenuto di capsaicina, tanto più il peperoncino è piccante. È molto semplice: se non è piccante, non c’è capsaicina, se non c’è capsaicina, non è peperoncino.
La capsaicina è indistruttibile: né caldo, né freddo, né acqua riescono ad estinguerne il «fuoco», un fuoco così feroce da essere in grado di «incenerire» una vasta gamma di malattie. E quanto più il peperoncino è piccante, tanto più è efficace a livello terapeutico. Ma non abbiate paura: non è necessario avere una soglia del dolore alta per trame beneficio. Tutte le varietà di peperoncino, infatti, hanno proprietà curative.
L’effetto salutare della capsaicina viene esaltato da tutta una serie di vitamine antiossidanti presenti nel peperoncino. A parità di peso, un peperoncino contiene nove volte più vitamina A del pepe verde e il doppio di vitamina C dell’arancia. È anche ricco di minerali, tra cui potassio e magnesio.
Negli ultimi vent’anni sono stati pubblicati migliaia di studi scientifici che descrivono i benefici terapeutici del peperoncino. Ecco di seguito alcune delle notizie «più piccanti».
UN ANTIDOLORIFICO SPERIMENTATO
Quando si morsica un peperoncino, la capsaicina scatena il rilascio di un neurotrasmettitore, chiamato sostanza P, che ordina al cervello di trasmettere il dolore lungo le fibre nervose. Tuttavia, la capsaicina sviluppa una tolleranza alla sostanza P: quanti più peperoncini si mangiano, minore è lo stimolo della capsaicina che innesca il rilascio di tale sostanza. Contemporaneamente, promuove il rilascio di somatostatina, un ormone che calma le infiammazioni. Ecco perché i più irriducibili amanti del peperoncino riescono a trangugiare serenamente una salsa habanera, un condimento così piccante da lasciare i neofiti letteralmente agonizzanti. Di fatto, le papille gustative si desensibilizzano al bruciore.
Le persone che lamentano dolori importanti producono anch’esse molta sostanza P, e la capsaicina influisce sul dolore in modo analogo. Quando si spalma sulla pèlle una pomata a base di capsaicina sulla zona dolorante, subito si percepisce una sensazione di calore e di bruciore causata dalla sostanza P. Tuttavia, l’applicazione ripetuta, solitamente per un periodo di tre giorni, riduce e alla fine blocca la sostanza P, eliminando il dolore e rilasciando somatostatina che promuove il processo di guarigione.
Vari studi hanno dimostrato che le pomate contenenti capsaicina, approvate dalla Food and Drug Administration (FDA), l’ente per il controllo degli alimenti e dei farmaci
statunitense, possono esercitare un effetto anestetico profondo e duraturo su svariate condizioni dolorose. La maggior parte degli studi indica che le pomate a base di capsaicina recano sollievo nel 75% dei soggetti che ne fanno uso, e agisce efficacemente anche in presenza di dolori importanti. Lo Zostrix, ad esempio, è una pomata contenente capsaicina approvata dalla FDA e acquistabile su ricetta medica, che viene prescritta per alcuni degli eventi più dolorosi in cui si può incappare, come le nevralgie associate alla mastectomia o il dolore postoperatorio nei casi di amputazione.
L’unico svantaggio della pomata è il bruciore iniziale, che in alcuni individui può causare arrossamento cutaneo e irritazione. Ciò nonostante, il resoconto di uno studio pubblicato sugli Archives of Internal Medicine dichiara che la pomata a base di capsaicina era il trattamento di elezione preferito da 100 pazienti anziani affetti da osteoartrite grave a carico delle ginocchia.
Di seguito sono elencati gli ambiti di impiego in cui tale pomata si è rivelata più efficace.
Artrite. La capsaicina non solo offre sollievo dal dolore alle persone affette da osteoartrite, ma gli studi indicano che aumenta anche la produzione di liquido sinoidale, il quale lubrifica le articolazioni e contribuisce a prevenire la distruzione della cartilagine. Tutto ciò si traduce in una riduzione del dolore e un’aumentata flessibilità.
In uno studio condotto dai ricercatori della Facoltà di Medicina dell’Università di Miami, alcuni soggetti affetti da osteoartrite al ginocchio applicarono alla parte dolorante, quattro volte al giorno, una formula con capsaicina titolata allo 0,025%, altri applicarono una normale pomata. Dopo due mesi, i pazienti trattati con capsaicina registrarono una apprezzabile riduzione del dolore e, nell’arco di tre mesi, l’81% riferì una diminuzione dei sintomi dell’artrite, tra cui la rigidità mattutina. Viceversa, solo il 54% degli individui che ricevettero il placebo riferì un miglioramento. Lo studio è stato pubblicato su Seminars in Arthritis and Rheumatism.
Dolore neuropatico. Uno studio realizzato presso l’Università della California di San Francisco ha evidenziato che l’applicazione di una pomata ad elevato contenuto di capsaicina riduceva significativamente il dolore nevralgico (neuropatia) debilitante e cronico associato a svariate tipologie di disturbi. Sette pazienti su dieci sperimentarono un miglioramento fino al 50%.
Uno studio pubblicato sul British Journal of Clinical Phaxmacology, condotto su 200 pazienti che avevano subito lesioni ai nervi, ha dimostrato che la pomata a base di capsaicina «riduce significativamente» il dolore lancinante e la sensazione di formicolio e intorpidimento.
Nevralgia posterpetica. Il fuoco di Sant’Antonio (herpes zoster), che tipicamente colpisce soggetti di mezza età o anziani, si manifesta con la comparsa di vescicole su base eritematosa scatenata dallo stesso virus che durante l’infanzia aveva provocato la varicella. In molte persone sofferenti di herpes zoster, la riattivazione del virus produce danni a carico dei nervi dando luogo a un quadro estremamente doloroso che può durare per settimane (e talvolta anni) definito «nevralgia posterpetica». La FDA ha approvato un cerotto cutaneo, commercializzato con il nome di Qutenza e acquistabile su ricetta medica, contenente capsaicina sintetica pura e concentrata per alleviare la nevralgia posterpetica.
Neuropatia diabetica. Nell’ambito di uno studio, un’équipe di ricercatori ha assegnato in modo casuale una pomata a base di capsaicina e un placebo per il trattamento di 250 persone affette da neuropatia diabetica, una complicanza frequente del diabete che determina un danno nervoso sovente a carico delle gambe e dei piedi. I pazienti che utilizzarono la pomata di capsaicina registrarono una riduzione dei sintomi approssimativamente del 70%.
«Fatta eccezione per il temporaneo bruciore iniziale, la capsaicina offre parecchi vantaggi rispetto agli analgesici orali», scrissero i ricercatori sulla rivista Archives of Internal Medicine, menzionando tra questi la totale sicurezza, un minor numero di effetti collaterali e un minor numero di interazioni con altri farmaci.
Dolore cervicale. I medici dell’Ospedale Militare Walter Reed di Washington D.C. hanno trattato 23 pazienti con cervicalgia cronica mediante una pomata contenente capsaicina titolata allo 0,025% e prescrivendone l’applicazione quattro volte al giorno. Dopo un mese, i medici sottoposero ai pazienti un questionario; tra le domande vi era questa: «Se il dolore tornasse e vi fosse data una scelta, scegliereste di utilizzare nuovamente la pomata?». Il 75% dei pazienti rispose affermativamente. Lo studio fu pubblicato sull’American Journal of Physical Medicine & Rehabilitation.
Mal di testa. In 52 persone sofferenti di emicrania a grappolo, la capsaicina applicata sul naso ridusse drasticamente i sintomi dolorosi. Secondo i risultati pubblicati sulla rivista Pain, il 70% dei pazienti aveva tratto beneficio dall’applicazione di capsaicina sulla narice corrispondente al lato del capo in cui si sviluppava l’emicrania.
BRUCIAMO I GRASSI CON IL PEPERONCINO
La piccantissima capsaicina innalza la temperatura corporea, aumenta la sudorazione e accelera il ritmo metabolico, un effetto che ha aiutato molte persone a perdere peso ed altre a prevenirne l’aumento. Mangiare peperoncini può dunque favorire il calo ponderale in svariati modi.
Accelerazione del metabolismo. Diversi studi indicano che il consumo di peperoncini aumenta la velocità con cui si bruciano calorie. L’effetto può durare da 20 minuti a 6 ore.
Riduzione dell’appetito. In uno studio condotto da ricercatori olandesi, i soggetti che assunsero un integratore di capsaicina prima dei pasti mangiarono meno grassi e introdussero meno calorie. I risultati vennero pubblicati sull’Intemational Journal of Obesity.
Nell’ambito di un altro studio, apparso sul British Journal of Nutrition, gli individui che consumarono peperoncini a colazione provarono meno appetito a pranzo e mangiarono meno, e quanti mangiarono peperoncini durante l’aperitivo prima di cena mangiarono meno calorie e grassi durante il resto del pasto.
Scioglimento del grasso durante l’esercizio fisico. Secondo quanto riportato da uno studio giapponese pubblicato sul Journal of Nutritional Science and Vitaminology, assumere un integratore a base di capsaicina prima di fare dell’esercizio aerobico consente di bruciare più grasso.
Riduzione degli adipociti. In una ricerca condotta su animali, il consumo alimentare di peperoncino ha ridotto il numero di adipociti e contribuito a prevenirne la formazione di nuovi, anche nei soggetti nutriti con una dieta iperlipidica.
Prevenzione delle complicanze dell’obesità. I ricercatori hanno scoperto che la capsaicina è in grado di ridurre l’insulino-resistenza e prevenire la steatosi epatica in soggetti animali, due condizioni prediabetiche frequentemente riscontrate negli americani che adottano una dieta ad alto contenuto di grassi e zuccheri.
UNA SPEZIA CHE SCALDA IL CUORE
Studi demografici condotti in tutto il mondo dimostrano che le popolazioni dei paesi in cui si consuma peperoncino presentano una percentuale inferiore di malattie cardiovascolari rispetto alle persone che vivono in paesi in cui la cucina non è piccante. La scienza indica che mangiare più peperoncini può contribuire a:
Prevenire la formazione di coaguli. Esaminando i rapporti clinici dei paesi che consumano peperoncino, gli scienziati hanno notato un’incidenza inferiore di embolie, ovvero condizioni determinate dalla presenza di coaguli potenzialmente pericolosi nel circolo ematico che possono condurre a infarti o ictus. Gli studi indicano che la capsaicina agisce come un farmaco anticoagulante aiutando l’organismo a dissolvere la fibrina, una sostanza che concorre alla formazione di coaguli.
Migliorare i livelli di colesterolo. Secondo uno studio riportato dal British Journal of Nutrition, alcuni ricercatori australiani hanno osservato che negli adulti sani che introducono circa 30 grammi di peperoncino nella dieta quotidiana aumenta la resistenza ai lipidi ossidati che si vanno a depositare sulle pareti delle arterie provocandone l’ispessimento. Un ulteriore studio pubblicato su Phytotherapy Research indica che, in animali da laboratorio, gli integratori di capsaicina riducono i livelli di colesterolo LDL dannoso e aumentano quelli di colesterolo HDL che ha invece una funzione protettiva.
Ridurre il ritmo cardiaco. Secondo uno studio apparso sull’European Journal of Clinical Nutrition, gli adulti sani che consumano circa 30 grammi al giorno di peperoncini per almeno un mese presentano un ritmo cardiaco a riposo (segno di un cuore più forte e sano) inferiore rispetto a quanti seguono una dieta non piccante.
Prevenire le aritmie. Studi condotti su animali hanno evidenziato che la capsaicina riduce la tachicardia ventricolare e la fibrillazione ventricolare, due gravi irregolarità del battito cardiaco che possono mettere a repentaglio la vita. Secondo tali studi, pubblicati sull’European Journal of Pharmacology, la capsaicina esplica un’azione simile ai calcioantagonisti, ossia i farmaci prescritti nel trattamento di tali disturbi.
Ridurre il danno post-infarto. Nell’ambito di un esperimento condotto su animali, i ricercatori hanno osservato che la capsaicina riduce il danno arrecato alle cellule cardiache in seguito a un infarto. Riferendo i risultati sulla rivista Circulation, i ricercatori ritengono che la capsaicina protegga il cuore stimolando i nervi del midollo spinale, i quali a loro volta attivano i nervi del muscolo cardiaco che garantiscono la sopravvivenza.
Una passione per il dolore
Stiamo parlando di quelle rare persone che non riescono a mangiare costine o pollo se non abbondantemente conditi con una salsa infuocata contenente almeno IO peperoncini e poi chiedono ancora il bis, oppure di coloro che affondano i denti in un naga jolokia, uno dei peperoncini più piccanti del pianeta, e proseguono come se nulla fosse.
Si dice che il gusto per il peperoncino sia un piacere acquisito, ma avere la tenacia di testarne la «temperatura» e aumentare sempre più il livello di piccantezza è una vera e propria dipendenza. Esistono migliaia di amanti del peperoncino che si mettono alla prova e si sfidano l’un l’altro a salire un gradino più su, quasi fosse una gara alla conquista dell’Everest. Esiste persino un metodo scientifico per tenere traccia dei punti: la Scala di Scoville.
La Scala di Scoville misura i livelli di capsaicina presenti in un peperoncino sulla base della quantità di acqua zuccherata necessaria per diluirne la piccantezza finché non diventa impercettibile e raggiunge il livello di un comune peperone dolce. Un milione di gocce d’acqua sposta l’indice verso l’alto di 1,5 unità. Ciò colloca il peperone dolce su un valore 0 e la capsaicina pura al 100% su un valore pari a 16 milioni di unità. La sensazione di autentico dolore inizia intorno alle 100.000 unità e sale fino a 750.000. Un jalapeño, ad esempio, si attesta tra le 2.500 e le 8.000 unità; il tabasco, nonché la salsa omonima, e il peperoncino di Cayenna (usato nella maggior parte della ricerca medica) vanno dalle 30.000 alle 50.000 unità.
La varietà Scotch Bonnet adoperata nel jerk giamaicano si aggira tra le 150.000 e le 325.000, mentre i Bird’s Eye, i peperoncini impiegati nella preparazione della salsa piripiri portoghese e dell’harissa tunisina fanno il loro ingresso tra le 100.000 e le 225.000 unità. Si ritiene che il peperoncino più piccante in assoluto sia il naga jolokia proveniente dall’India che, su tale scala, batte tutti superando I milione di unità Scoville. Dei vari peperoncini in cui ci si può verosimilmente imbattere, l’habanero arancione è uno dei più piccanti, attestato tra le 150.00 e le 325.000 unità.Tuttavia, qualche anno fa, è stato creato un ibrido dell’habanero denominato Red Savina, il quale è passato in testa alla classifica sfondando il tetto delle 500.000 unità!
LA CAPSAICINA E LA PREVENZIONE DEI TUMORI
Dai reperti di decine di studi, inclusi quelli eseguiti nel mio laboratorio presso il Centro Oncologico M.D. Anderson, risulta che la capsaicina provoca la morte delle cellule tumorali in soggetti animali e colture di cellule umane. A onor del vero, i primi studi sul cancro e il peperoncino avevano prodotto risultati discordanti; alcuni suggerivano che il consumo di peperoncino era addirittura responsabile di determinati tipi di neoplasie, tra cui il tumore del colon. Tuttavia, è stato provato che la capsaicina reperibile in commercio e utilizzata nei primi studi poteva essere stata contaminata da impurità potenzialmente cancerogene, mentre la ricerca più recente e quella tuttora in corso impiega capsaicina pura.
Un’ulteriore divergenza sorse quando i ricercatori dell’Università dello Utah trovarono una correlazione tra il consumo alimentare di peperoncino e un’elevata incidenza di tumori gastrici nei messicani emigrati in America e nelle comunità Cajun e creole degli Stati Uniti. Tuttavia, tale situazione non è data in tutte le nazioni in cui si mangia peperoncino, per cui sono più propenso a credere (e con me numerosi altri scienziati) che vi sia qualcos’altro nella dieta di tali individui che sta incrementando il rischio tumorale. Inoltre, come leggerete fra poco, i peperoncini di fatto fanno bene allo stomaco.
La verità è che, nell’ultimo decennio, circa un centinaio studi in vitro e in vivo condotti su animali hanno evidenziato una forte correlazione tra consumo di peperoncino e prevenzione dei tumori, tra cui quelli a carico del seno, dell’esofago, dello stomaco, del fegato, della prostata, del cervello e le leucemie.
Carcinoma della prostata. Nel corso di un esperimento, i ricercatori del Cedars-Sinai Medical Center di Los Angeles osservarono che la capsaicina aveva indotto la morte delle cellule tumorali, in una percentuale pari all’80%, in animali affetti da car cinoma della prostata farmacologicamente indotto, e le dimensioni delle masse tumorali residue erano
circa un quinto di quelle osservate nei topi non trattati. La capsaicina aveva inoltre ridotto i livelli di antigene prostatico specifico (PSA), un bioindicatore che segnala la presenza di un tumore maligno nell’individuo maschio. Il dottor H. Philip Koeffler, primario del reparto di ematologia e oncologia del Cedars-Sinai, dichiarò che non è da escludere che la capsaicina possa essere impiegata in futuro per prevenire le recidive del carcinoma della prostata negli uomini già colpiti da tale patologia.
Carcinoma mammario. L’équipe del Cedars-Sinai sta riscontrando un analogo successo per quanto riguarda il cancro al seno. Secondo la rivista Oncogene, la capsaicina avrebbe inibito cellule di carcinoma umano della mammella in esperimenti in vitro e ridotto la massa tumorale del 50% in animali da laboratorio. I ricercatori riferiscono che la capsaicina «può essere potenzialmente impiegata nel trattamento e nella prevenzione del carcinoma mammario umano».
Come estinguere il «fuoco»
Afferrare un bicchier d’acqua è la peggior cosa che si possa fare se avete la bocca rovente a causa del peperoncino. Il motivo è che il peperoncino non è solubile in acqua, anzi: questa ravviva ancor più il bruciore.
I grassi e l’alcol sono le uniche sostanze in grado di ridurre la sensazione, sebbene siano efficaci solo in misura ridotta. La birra, il latte, il burro di arachidi e il gelato funzionano meglio.
Non strofinatevi mai gli occhi o il viso dopo avere toccato del peperoncino, poiché il residuo oleoso rimasto sulle dita è irritante e provoca un bruciore che può protrarsi persino per diverse ore. Qualora capitasse, sciacquate ripetutamente gli occhi con acqua fresca o una soluzione salina finché il bruciore non accenna a diminuire.
Se la pelle brucia o è irritata dal contatto con il peperoncino, lavatela con acqua e sapone o strofinatela con dell’alcol, poi tamponatela con un batuffolo di cotone imbevuto di latte intero.
BUONO PER LO STOMACO
I peperoncini hanno la pessima reputazione, peraltro assolutamente falsa, di provocare nello stomaco lo stesso bruciore che danno in bocca. Gli studi hanno dimostrato l’esatto contrario, cioè non provocano ulcere né emorroidi. Ecco ciò che sappiamo.
Ulcere. Sorpresa! Non solo il peperoncino non provoca ulcere ma di fatto contribuisce a prevenirle.
«Le ricerche condotte negli ultimi anni hanno rivelato che il peperoncino e la capsaicina (il suo principio attivo) non sono causa di formazione di ulcere ma un fattore di beneficio», scrive un’équipe di ricercatori indiani su Critical Reviews in Food Science and Nutrition. «La capsaicina non stimola bensì inibisce la secrezione acida, stimola la produzione di agenti basici, la secrezione di muco e, in particolare, il flusso ematico della mucosa gastrica, fattori che contribuiscono a prevenire e rimarginare le ulcere».
Sulla rivista Digestive Diseases and Sciences, alcuni ricercatori della Malesia hanno dichiarato che gli individui privi di ulcera mangiano 2,6 volte più peperoncino rispetto a quanti sviluppano un’ulcera, mentre un’équipe di ricercatori coreani ha riscontrato che la capsaicina è tanto potente da uccidere l’Helicobacter pilori, il batterio che figura come causa principale delle ulcere gastriche.
Da ricerche condotte su animali a Singapore è emerso che dosi equiparabili al consumo tipico di peperoncino fatto da un uomo proteggono il rivestimento delle pareti gastriche dai danni associati all’alcol. Un altro studio è giunto a risultati analoghi per quanto riguarda disturbi di stomaco correlati all’abuso di aspirina.
Sempre a Singapore, secondo uno studio condotto su animali e pubblicato sul Journal of Gastroenterology and Hepatology, è stato osservato che l’assunzione a lungo termine di peperoncino protegge lo stomaco da ulcerazioni da stress acuto, una complicanza seria in pazienti gravemente malati che sovente provoca emorragie gastriche.
Indigestione. Riferendo i propri risultati sul New England Journal of Medicine, alcuni ricercatori italiani hanno osservato che 2,5 grammi di peperoncino rosso in polvere al giorno riducono la sintomatologia in persone affette da dispepsia funzionale, un disturbo cronico della digestione ad eziologia ignota e con sintomi simili a quelli dell’indigestione. Entro la terza settimana di trattamento, i soggetti affetti da dispepsia riferivano un miglioramento dei sintomi del 60%.
ALTRE SCOPERTE «PICCANTI»
Psoriasi. Diversi studi hanno evidenziato che la pomata contenente capsaicina contribuisce a ridurre l’arrossamento e il prurito della psoriasi, un disturbo cutaneo cronico su base infiammatoria per cui non esistono cure note.
Nell’ambito di uno studio, ad alcuni soggetti affetti da psoriasi più o meno grave venne applicata per diversi giorni una crema con un contenuto di capsaicina titolato allo 0,01 o allo 0,025% su un lato del corpo e sull’altro un placebo. In capo a sei settimane la pomata alla capsaicina aveva ridotto del 68% la desquamazione, l’arrossamento e l’edema rispetto al 44% imputato alla pomata placebo. Lo studio fu pubblicato sul Journal of the American Academy of Dermatology.
Diabete di tipo 2. Secondo uno studio australiano comparso sull’American Journal of Clinicad Nutrition, la quantità di insulina necessaria ad abbassare la glicemia dopo un pasto risultava inferiore nei soggetti che avevano mangiato del peperoncino rispetto a quelli che avevano consumato un pasto non piccante.
ALLA SCOPERTA DEL PEPERONCINO
Il peperoncino è la spezia di cui si registra il maggiore consumo, tant’è che in tutto il mondo si mangia peperoncino in quantità venti volte superiori a qualsiasi altra spezia!
Milioni di persone hanno una tale passione per il piccante che esistono centinaia di club e siti web dedicati agli irriducibili del peperoncino in cui possono scambiarsi reciprocamente desideri e ricette; esistono poi almeno due riviste specializzate che non scrivono d’altro che di peperoncino, una mini-industria di salse piccanti assolutamente decisa ad appiccare il fuoco ai palati dei consumatori, e persino un istituto internazionale no-profit dedicato alla preservazione dei codici genetici di tutte le specie di peperoncino e contemporaneamente alla produzione di varietà sempre più piccanti. È un fatto sconcertante da comprendere, ma esistono oltre 3000 varietà di peperoncini.
È così difficile immaginare la cucina indiana senza i peperoncini che solitamente si crede abbiano origini indiane. I peperoncini, invece, provengono dal continente americano. Cristoforo Colombo li «scoprì» lungo la rotta segreta che lo fece approdare sulle coste americane durante l’affannosa ricerca della terra del pepe nero (informazione che gli arabi tennero nascosta per secoli agli europei). Colombo dunque non trovò il pepe (era 8000 chilometri distante dall’India), ma si imbattè nel «pepe rosso», il peperoncino appunto. Quando il grande navigatore lo riportò con sé in Spagna, fece immediatamente scalpore e venne battez- zi zato il «pepe dei poveri». In ogni caso, fu forse uno dei doni più preziosi che il Nuovo Mondo offrì al Vecchio Continente.
Entro il XVII secolo, il peperoncino era ormai noto in tutto il pianeta e oggigiorno svolge un ruolo fondamentale nelle culture gastronomiche di India, Africa, Asia, Caraibi, Messico, America Centrale e gli stati del sud e del sud-ovest degli Stati Uniti. Il peperoncino conferisce piccan-tezza ai curry dell’India meridionale, ai jerk giamaicani, alle salse e ai moles messicani, i sambal della Malesia, il kimchi coreano, il rendang indonesiano, il nam prik tailandese, l’harissa nordafricana e il piripirì portoghese. Figura inoltre in svariate miscele di spezie, condimenti e salse.
Esistono oltre 3000 varietà di peperoncini, e quanto più piccolo e rosso è il peperoncino, tanto più è piccante.
I Cajun, i creoli e i giamaicani (ma anche molti altri) fanno letteralmente a gara per vedere chi riesce a creare le salse più infuocate; sono disponibili in numerose varietà e gradazioni di piccantezza, e vengono adoperate come condimento in tutta l’area dei Caraibi e negli Stati Uniti del sud, dalla Louisiana all’Arizona.
Il Messico è celebre per la sua cucina piccante, e a ragione. Quella messicana è la cultura del peperoncino più avanzata e si dice che i messicani abbiano il palato più raffinato al mondo per sviluppare ricette a base di peperoncino. Sono dei veri maestri nell’uso di una straordinaria varietà di peperoncini freschi ed essiccati per conferire sapore, aroma, consistenza, colore e piccantezza del tutto peculiari a un’intera gamma di piatti. Il solo Messico è la patria di oltre 150 differenti varietà di peperoncino e, grazie alla proliferazione dei ristoranti messicani negli Stati Uniti, negli anni Ottanta le salse tex-mex hanno sottratto al ketchup il primato di condimento preferito dagli americani.
Anche l’India può contare su un’infinita varietà di peperoncini, ognuno con un aroma, un sapore e una piccantezza del tutto particolari. I peperoncini verdi moderatamente piccanti vengono cucinati al burro con pomodori, melassa e altre spezie in una vera ghiottoneria chiamata mirchi ki bhaji. I peperoncini vengono inoltre farciti di spezie tostate e macerati in olio di senape per preparare il mirch ka achar, da sempre un cavallo di battaglia della gastronomia indiana da consumarsi con pane fritto. I curry neri dello Sri Lanka contengono peperoncini Bird’s Eye, probabilmente i più piccanti al mondo, nonché peperoncini rossi di Cayenna. Gli indiani tipicamente stemperano il piccante servendo come accompagnamento contorni rinfrescanti, detti raita, spesso a base di cetrioli e yogurt o piatti di riso.
I peperoncini danno mordente anche alle cucine cinesi Sichuan e Hunan. Una delle pietanze più piccanti è il pollo Kung pao, la cui salsa di fagioli contiene abbastanza peperoncino da stuzzicare le papille gustative anche del più satollo divoratore di peperoncino.
I peperoncini rivestono importanza anche nella cucina caraibica poiché aggiungono carattere a cibi di base ricchi di amido e altrimenti insapori come il riso con piselli, i fagioli, i cereali e la manioca. Stimolano inoltre la sudorazione che funge da «condizionatore d’aria» naturale sotto il sole implacabile di quei luoghi.
CONSIGLI PER L’ACQUISTO
I peperoncini sono bacche caratterizzate da una buccia spessa e lucida che racchiude una cavità in cui si nasconde un rivestimento membranoso pieno di semi. I frutti del peperoncino sono disponibili in un vasto assortimento di forme, colori e gradi di piccantezza. Le dimensioni possono andare da meno di 2 centimetri a 20 centimetri e oltre. Ma ce un dettaglio importante: quanto più il peperoncino è piccolo, tanto più è piccante.
I peperoncini si trovano in commercio freschi, essiccati interi o sminuzzati, in polvere, in scatola o in barattolo e sott’aceto. Sul mercato sono reperibili diverse varietà, ma i peperoncini disponibili sia freschi che essiccati tipicamente dipendono dalla zona, dai negozi e dalle comunità etniche insediate nella regione.
I peperoncini freschi sono verdi finché non giungono a maturazione, dopodiché diventano rossi, gialli, marroncini, viola o neri. Quando acquistate peperoncini freschi, assicuratevi che il frutto sia consistente ed abbia una buccia esterna liscia, lucida e di un bel colore brillante. Devono essere sodi e pesanti, non flosci né ammaccati sulla punta o scoloriti. Il raggrinzimento della buccia è segno che hanno cominciato a seccare o non sono maturati sulla pianta, per cui è meglio evitarli.
I peperoncini freschi possono essere conservati in frigorifero per circa due settimane. Avvolgeteli in un foglio di carta da cucina o metteteli in un sacchetto di plastica lasciandolo parzialmente aperto. Possono anche essere congelati in una apposita busta sigillata da freezer.
Se passibile, acquistate il tipo di peperoncino indicato nella ricetta. Sebbene vada sempre bene sostituire un tipo con un altro, ricordate che ognuno ha un suo sapore caratteristico ben riconoscibile nel risultato finale.
Ma soprattutto esiste una enorme differenza di sapore tra il peperoncino fresco e quello essiccato, anche se la piccantezza non varia. Alcuni l’hanno paragonata alla differenza che passa fra un pomodoro fresco e uno secco. Il processo di essiccazione fonde gli zuccheri e altre sostanze, per cui il peperoncino secco sviluppa un aroma più complesso. Se mentre cucinate sostituite il peperoncino fresco con quello secco, o viceversa, aspettatevi un sapore decisamente diverso.
I messicani considerano tale differenza di gusto talmente importante da dare nomi diversi allo stesso tipo peperoncino fresco o essiccato. Ad esempio, il poblano viene chiamato ancho se essiccato mentre il jalapeno affumicato viene detto chipotle.
È più probabile che troviate una maggiore varietà acquistando peperoncini essiccati: molti negozi ben fomiti espongono un’infinita varietà di sacchetti di cellofan; potreste addirittura trovare una ghirlanda di peperoncini interi essiccati, detta ristra, ancora appesa sul filo dove è stata posta a seccare. I peperoncini essiccati hanno un aspetto diverso a seconda della varietà ma, in ogni caso, cercate quelli che hanno ancora un bel colore vivido; se hanno perso colore, è probabile che abbiano perso anche parte del sapore. I peperoncini essiccati si conservato indefinitamente in un luogo asciutto e lontano dalla luce.
Il peperoncino macinato viene prodotto principalmente per l’impiego in miscele di spezie e per comodità accanto ai fornelli. Nei supermercati è disponibile in due varietà: il peperoncino rosso in polvere e il peperoncino Cayenna.
In America, il comune peperoncino in polvere non è peperoncino puro bensì viene preparato macinando peperoncini misti ad altre spezie, ad esempio cumino, origano e sale, e tipicamente viene consigliato per ravvivare il gusto del chili con carne. Non illudetevi che sia peperoncino puro a meno che non sia indicato sulla confezione.
Il peperoncino Cayenna in polvere è invece peperoncino puro macinato, ottenuto dal peperoncino rosso lungo di Cayenna. Anche questo è molto piccante e lo si può trovare nel reparto spezie di qualsiasi supermercato. Molti negozi specializzati offrono altre varietà di peperoncino in polvere in varie gradazioni di piccantezza. Il peperoncino ancho macinato, ad esempio, è meno piccante di quello di Cayenna, ed è molto diffuso nella cucina messicana. Il livello di piccantezza dei peperoncini in polvere varia a seconda della percentuale di semi inclusi nella macinatura. Le varietà più piccanti hanno un colore più arancione che rosso. I negozi di prodotti asiatici, indiani e latini vendono peperoncini selezionati in polvere confezionati in sacchetti.
I peperoncini vengono coltivati in tutto il mondo ma le piantagioni principali si trovano in Messico, California, Texas, Nuovo Messico, Arizona, Thailandia, India, Caraibi, Africa e Asia. Si stima che l’India sia il maggiore produttore di peperoncini al mondo. Oltre ai jalapeno, i peperoncini anchos del Messico e gli anaheim di Nuovo Messico e California sono le varietà più comunemente adoperate negli Stati Uniti.
Il peperoncino può contribuire a prevenire e/o curare:
Cefalea tensiva |
Indigestione |
Colesterolo |
Psoriasi |
Diabete di tipo 2 |
Tumori |
Ulcera |
Ictus |
Osteoartrite |
Malattie cardiovascolari |
IL PEPERONCINO IN CUCINA
Nonostante la sua piccantezza, il peperoncino conferisce un gusto importante al cibo. Nondimeno, non dovrebbe mai essere adoperato da solo come spezia, bensì come base portante per altri aromi, e si abbina praticamente a qualsiasi assortimento di spezie.
Non è possibile privare il peperoncino della sua piccantezza ma è possibile attenuarla scartando i semi e tagliando via le membrane interne, ossia le due sedi in cui si concentra il piccante. Le membrane sono più piccanti dei semi e si raggruppano in prossimità del picciolo, che risulta essere pertanto la parte più forte del peperoncino. Per dare un sapore più dolce ai piatti, lavate e asciugate il peperoncino, eliminate il picciolo e tagliate il frutto nel senso della lunghezza con uno spelucchino ben affilato sotto l’acqua corrente.
I peperoncini interi essiccati andrebbero fatti rinvenire in acqua calda per circa 20 minuti o finché non diventano sufficientemente morbidi e flessibili; quindi, si può procedere a tagliarli e adoperarli secondo le indicazioni della ricetta. È possibile rimuovere i semi del peperoncino essiccato spezzando il frutto e dando dei colpetti per far fuoriuscire i semi.
Un avvertimento: la capsaicina è volatile e può provocare bruciore se viene a contatto con la pelle. Indossate sempre dei guanti di plastica o gomma quando manipolate qualsiasi peperoncino, e assicuratevi di non toccarvi gli occhi né altri punti della pelle scoperti. Il bruciore provocato dall’habanero, ad esempio, è così intenso che può causare la formazione di vesciche sulla pelle, come è già successo nel caso di persone particolarmente sensibili. Inoltre, evitate di aspirarne i vapori.
In condizioni ideali, per lavorare i peperoncini bisognerebbe disporre di un coltello e un tagliere dedicati poiché, anche dopo il lavaggio, sulla superficie degli utensili rimangono residui di capsaicina. Se eliminate i semi e gli scarti dei peperoncini nel tritarifiuti, assicuratevi di lavarlo successivamente con acqua molto fredda. L’acqua calda produce una reazione violenta per cui i vapori irritanti si diffondono nell’aria; non per altro, la capsaicina viene utilizzata negli spray al pepe per autodifesa.
Se avete qualche esitazione a cucinare con il peperoncino, iniziate sempre con dosi minori: è sempre possibile aumentare la piccantezza ma difficile (anche se non impossibile) ridurla. Se un piatto risulta troppo piccante, aggiungete un poco di zucchero, latte o panna. Una vecchia diceria afferma che mettere una patata intera nella pentola per mezz’ora assorbe parte del piccante.
I peperoncini essiccati possono essere adoperati interi nelle preparazioni a cottura lenta; in tal modo il piccante filtra lentamente e si lega al cibo. È anche possibile metterli a bagno in acqua calda per ammorbidirli e poi inciderli con un coltello affilato prima di aggiungerli in pentola.
Per intensificare il sapore dei peperoncini secchi, tostateli a secco prima di metterli a bagno. Lo stesso effetto si può ottenere mettendoli sotto il grill.
Per conferire una piccantezza moderata ai piatti cotti a fuoco lento, praticate delle incisioni su un peperoncino fresco intero e aggiungetelo al cibo durante la cottura, quindi scartate il peperoncino prima di servire.
La sperimentazione di nuove ricette al peperoncino non è mai motivo di noia: grazie alle numerosissime varietà, il peperoncino offre un’avventura gastronomica infinita.